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Il percorso della filosofia durante il Cristianesimo

 

 

Se il cristianesimo impone un dogma (una verità di fede alla quale non ci si può opporre), ci si chiede cosa possa accadere alla filosofia, tesa com'è alla ricerca di una verità incontrovertibile vincolata solamente alla ragione.

Mentre per i greci il fine ultimo della vita e della filosofia è la conoscenza che deriva dal ragione fondata come epistème (come verità evidente che si impone per la sua logica), per i Cristiani il compimento della vita è la fede, per cui l'uomo si attiene alla verità rivelata non dalla necessità logica del ragionamento, ma dall'annuncio di Dio.

"[...] mentre per il pensiero greco l'autentica conoscenza di Dio è realizzata dalla philo-sophia, per il cristianesimo Dio non è conosciuto "mediante la "sophia", ma attraverso l' "annuncio" di Dio ai credenti. La fede cristiana è un ritorno al mito (come poi lo sarà pure in modo profondamente diverso, la scienza moderna), ma è un mito che (ancora come la scienza moderna) afferma di essere superiore all'epistème." (E. Severino, La filosofia antica).

Tuttavia l'uomo non rinuncerà completamente alla filosofia, intesa come esplorazione razionale del mondo, ma la trasformerà in teologia: posto il dogma della rivelazione divina (i precetti del Cristianesimo), quello che resta, entro i suoi limiti, continuerà ad essere indagato, e accesi dibattiti saranno avviati nel corso del medioevo tra le diverse scuole e visioni teologiche, soprattutto attorno alla natura di Cristo (si vedano le discussioni attorno alle eresie), dell'uomo e del mondo.

La filosofia medievale cristiana raggiungerà infatti il suo culmine nella scolastica tomista: in essa si avverte un ritorno alla ragione tipico dell'atteggiamento epistemico-filosofico indicato dalla filosofia greca (alla quale ci si rivolgerà, nello specifico della scolastica tomista, con la rivalutazione del pensiero aristotelico, soprattutto nella teologia del primo motore, e di quello platonico e neoplatonico, soprattutto sulla spinta del pensiero di Sant'Agostino).

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Sommario

Cenni sulla patristica

Dionigi Areopagita

Sant'Anselmo e l'argomento ontologico dell'esistenza di Dio

San Bonaventura

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Cenni sulla patristica

I primi anni del cristianesimo videro i padri della Chiesa impegnati nella lotta alle eresie e nella definizione di una dottrina cristiana comune: l'insieme di questi sforzi prende il nome di patristica.

I più importanti padri della Chiesa furono Sant'Agostino, Sant'Ambrogio, vescovo di Milano e consigliere dell'imperatore Teodosio (nonché promotore della conversione al cristianesimo di Sant'Agostino), Sant'Ilario da Poitiers, grande avversario dell'arianesimo, e San Girolamo, redattore della versione latina della Bibbia adottata ufficialmente nel medioevo.

Ai padri della Chiesa la religione cristiana appare come il naturale compimento degli sforzi della filosofia pagana: la ricerca filosofica greca termina con l'avvento di Cristo, egli è la parola divina che si è fatta carne, il lògos supremo finalmente rivelato.

Più tardi la patristica venne definitivamente assorbita dalla Scolastica.


DIONIGI AREOPAGITA

A Dionigi si attribuì, nel primo medioevo, la stesura della Gerarchia Celeste, testo che riscosse enorme successo nell'ambito del Cristianesimo, e di altri testi quali la Teologia mistica, I nomi divini e le Gerarchie ecclesiastiche.

Dionigi, secondo la tradizione, fu convertito al Cristianesimo dal discorso che San Paolo tenne sull'Areopago, la rupe ateniese dove si giudicavano i reati. Lo stesso Dionigi divenne il primo vescovo cristiano di Atene.
L'attribuzione dei testi a Dionigi fu messa in discussione durante il Rinascimento, quando si dimostrò un'influenza di Proclo (412-485), seguace neoplatonico di Plotino (per questo si usa chiamarlo anche con l'appellativo "pseudo-areopagita", termine oggi comunque in disuso).

Il concetto più importante attribuito a Dionigi è la definizione di Dio per negazione (teologia negativa): secondo la sua tesi Dio è così trascendente e così lontano dalla comprensione umana (e qui è evidente la contaminazione neoplatonica) che l'uomo può raggiungere la sua comprensione solamente attraverso la definizione di ciò che Dio non è. Dio non-è corpo, non-è forma, non-è luogo, non-è sensibilità, non-è pensiero, la sua stessa trascendenza assoluta implica che Dio non conosca la realtà umana.

E' una posizione che solo il cristianesimo primitivo, non ancora radicato, poteva accogliere: l'indifferenza di Dio nelle faccende terrene sembra avere molte analogie con la metafisica di Epicuro, filosofo laico per eccellenza. Successivamente la Chiesa non potrà negare l'ingerenza di Dio sulla realtà: Dio sarà l'artefice di ogni destino umano.


SANT'ANSELMO D'AOSTA
e l'argomento ontologico dell'esistenza di Dio

Sant'AnselmoSant'Anselmo nacque ad Aosta nel 1033 e morì nel 1109 a Canterbury, città di cui divenne vescovo.

Il suo testo più importante è il Proslogion (=colloquio) in cui formula l'argomento ontologico dell'esistenza di Dio (il ragionamento che ne prova logicamente e in senso incontrovertibile l'esistenza): secondo questo argomento la sua definizione è formulabile proprio partendo dalla nozione che ne danno gli uomini. Dio è la migliore e la più perfetta delle divinità possibili, al di sopra del quale non vi può essere nient'
altro. Se Dio è l'assoluta perfezione, ciò di cui nulla è maggiore, allora la sua esistenza, oltre che nell'idea, è riscontrabile anche nella realtà (posto che la realtà del pensiero sia subordinata alla realtà dell'effettiva esistenza).
La perfezione assoluta è per sua stessa definizione anche esistente
. Il carattere della perfezione assoluta divina include necessariamente anche la qualità dell'esistenza.

La sua è una argomentazione tautologica, ovvero una giustificazione che si dimostra usando le sue stesse premesse, pertanto appare incerta nelle premesse stesse:
Il punto fondamentale di tale questione è che nulla si può affermare di certo, a livello logico, riguardo la correttezza della premessa che Dio è l'essere supremo e perfettissimo.
In particolari le sue premesse saranno confutate molto più tardi da
Guglielmo d'Ockham e da Kant, il quale afferma che il solo fatto di pensare l'esistenza di un sacco di monete non ne comporta l'esistenza (sempre che Dio possa essere equiparato, in perfezione, alle monete).


SAN BONAVENTURA

Bonaventura fu il nome monastico di Giovanni Fidanza, nato a a Bagnorea nel 1217. Entrato nei Francescani, divenne Ministro Generale dell'Ordine; assieme a Tommaso d'Aquino (nato nel 1221) fu uno dei più importanti filosofi cristiani del suo tempo, accostandosi alle tesi spirituali di Sant'Agostino.

Bonaventura cerca di dare pari dignità al mondo materiale e al mondo spirituale: il mondo materiale è importante in quanto specchio della Creazione divina. L'uomo, contemplando la natura, percepisce la grandezza di Dio.
Allo stesso tempo il mondo materiale è comunque solo un vestigium (=indizio), oltre al corpo (la materia) vi è l'anima naturale degli uomini, la capacità di pensare e contemplare, la quale trova definitiva realizzazione nell'anima in stato di grazia, ovvero l'anima "abitata" dalla realtà di Dio (si notino le affinità con il neoplatonismo di
Plotino).

 



Scheda di Synt - Ultimo aggiornamento Maggio 2004

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