La donna a la rabiosa

Dama col Liocorno (1505) - Raffaello


Mi è sempre parso curioso che sia la Donna il pezzo più potente degli scacchi. Mobilissima e coraggiosa. Quando esce allo scoperto tiene sotto la sua minaccia tutta la scacchiera. Devasta il campo avversario con le sue diagonali improvvise. Mentre lui, il Re, sta rinchiuso là dietro, impaurito, arroccato tra le sue torri, coperto dai suoi pedoni, ostaggio dell'avversario... banale preda da proteggere. Mi sono domandata come sia stato possibile un simile rovesciamento dei ruoli tradizionali. Segue una piccola ricerca in proposito.


L'origine del gioco degli scacchi è stata argomento di molte leggende. Non è comunque credibile che sia comparso improvvisamente, creato da una sola mente particolarmente dotata. Ha avuto nel tempo una lenta evoluzione di secoli e in epoche determinate si sono verificate alcune “mutazioni ” che hanno improvvisamente segnato nette modificazioni verso il gioco moderno.

Secondo l'ipotesi più accreditata (Davidson, A short history of chess, 1949) i lontani progenitori furono i dadi. Occorre riportarsi col pensiero a due giocatori dell'antica India, privi dei mezzi moderni per annotare i punti ottenuti in ogni giocata: il sistema più semplice era tracciare per terra una linea verticale e segnarvi tante tacche trasversali. A seconda del punteggio ricavato dal getto dei dadi, ogni giocatore spostava un contrassegno contando tante tacche quante segnavano i dadi; il primo giocatore che raggiungeva la tacca finale aveva vinto. Col tempo la partita in una sola linea di tacche sembrò troppo breve: si usò una seconda linea parallela alla prima, poi una seconda e una terza... Il complesso delle linee cominciò e tracciare la tipica grata di una scacchiera. Questo sistema di segnare i punti faceva sì che ogni tanto uno dei giocatori, con un getto fortunato, raggiungesse una casa già occupata dal contrassegno dell'avversario.

Per lungo tempo ciò non ebbe alcun particolare significato, ma venne un giorno in cui si stabilì che il gettone sopravveniente potesse scacciare il primo occupante, segnando la vittoria del secondo giocatore. Dall'espulsione all'immagine della preda e della cattura il passo fu breve; il giocatore ebbe il diritto di appropriarsi del gettone avversario; questo evocò il concetto di tributo e l'idea di potere regale. Ogni competitore si considerò un re. L'aspetto antagonistico della partita, unito all'idea di cattura del nemico, delineò il concetto di una guerra in miniatura. E due re in guerra avevano naturalmente bisogno di due armate. La potenza di queste armate si modellò sul tipo delle armate indiane e dei suoi tradizionali componenti: elefanti, carri da guerra, fanteria e cavalleria. La disposizione di queste armi era, nella strategia bellica indiana, rigidamente fissata: gli elefanti al centro, i carri ai fianchi, la cavalleria in mezzo e la fanteria davanti. Il re, come capo dell'armata, era fermo al centro; ed era logico che fosse assistito da un consigliere, o primo ministro.

In un primo tempo questa concezione dei due opposti schieramenti come due armate non determinò alcuna distinzione nel movimento dei pezzi, che continuavano ad avanzare verticalmente, secondo il getto dei dadi: lo scopo della partita continuò ad essere il raggiungimento dell'ultima casa o la cattura dei pezzi avversari. Solo in un secondo momento sembrò necessario differenziare le mosse a seconda della diversa natura dei pezzi e i dadi servirono solo ad indicare quale pezzo dovesse muovere. A questo punto il Chaturanga (chatur = quattro; anga = parti di un tutto) era nato: l'ultimo passo fu la sparizione dei dadi. Le più antiche menzioni del chaturanga si trovano in tre testi scritti in antico persiano, il pahlavi, in cui i pezzi sono indicati come: Sah = il re, Farzin = il consigliere, Pil = l'elefante, Asp = il cavaliere, Rukh = il carro da guerra, Baidaq = il soldato pedone Non ci sono dubbi sull'identità del pezzo che nel gioco indiano stava a fianco del re, a guisa di saggio o di consigliere. Ma la parola Farzin potrebbe derivare dall'espressione persiana indicante il luogo in cui stava il consigliere insieme al re, cioè la tenda di comando: Mask-i-Aparzen. Ridotta sinteticamente alla parola Aparzen, da cui il passaggio a Farzen e poi a Farzin. E da Farzin venne in seguito il Vierge, quindi fersa, domina, donna ... (come da Sah-mat = il re è morto, venne “scatto matto”). Tutte e tre le fonti persiane mostrano che verso la metà del VII secolo d.C. il Chatrang era ampiamente noto in Persia: il passaggio dall'India alla Persia è indicato al tempo di Cosroe il grande (531-579, cioè VI secolo d.C.). Ma da molti indizi si ricava che l'esportazione dovette essere ben più antica (III secolo d.C.), risalente si tempi di Artaserse (226-241 d.C.). Dall'India alla Persia e dalla Persia a tutto il mondo arabo. Attraverso gli arabi giunge in occidente, sia nella penisola iberica, che in Sicilia...

Fino al 1300 il gioco degli scacchi giocato nel mondo occidentale non differì da quello arabo, le cui regole erano state integralmente importate. Ma divenuto un gioco a scommessa, sembrò troppo lento, soprattutto nella fase di sviluppo dei pezzi (proprio questa lentezza avrebbe indotto i giocatori a preferire i “partiti”, cioè i problemi, più rapidi e interessanti). Verso il XIV secolo si cominciò a dare alle caselle una diversa colorazione e iniziarono importanti modificazioni nei movimenti dei pezzi, soprattutto in Italia, meno influenzata dalla cultura araba. La Fersa risultante da promozione (regina nova) potè saltare nella seconda casa in qualsiasi direzione, anche ortogonale; il Pedone potè saltare anch'esso due case alla prima mossa; lo stesso Re ebbe, in taluni paesi, la facoltà di saltare alla prima mossa come il cavallo, o anche diversamente: da ciò ebbe origine, due secoli dopo, l'arrocco. Alcune di queste modificazioni sopravvissero fino al 500, come la spinta di due passi del Pedone; altre scomparvero dopo che la potenza della Donna, nel 500, fu enormemente accresciuta con il dominio di tutte le linee di incrocio nella sua casa, e al Re fu riconosciuta la facoltà di arroccare. Contemporaneamente l'Alfiere estese il suo dominio a tutte le case in diagonale del suo colore, perdendo la facoltà di saltare. Difficile dire se queste modificazioni, in particolare la più importante, cioè l'aumentata potenza della Donna “a la rabiosa”, fossero dovute a giocatori italiani, spagnoli o francesi. Probabilmente furono gli italiani, dato che il centro della cultura scacchistica nel 400-500 era l'Italia. Comunque queste modificazioni furono dovute a giocatori e non a problemisti”.

Giorgio Porreca - Il gioco degli scacchi


«Quartetto III» 2°movimento, Roberto Di Marino, clicca qui se vuoi leggere lo spartito


Disdegno/ Rothari, 204 / La bestia di Tiziano / Falso movimento

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