Brani dalla IV lettera di Héloïse

Dio voglia ch'io sia capace di fare una penitenza adeguata al male commesso, e possa in qualche modo ricompensare, almeno con una lunga contrizione, la pena della ferita che tu hai dovuto sopportare; perchè è giusto che l'offesa che ti fu fatta nel corpo in un istante, io la ripaghi per tutta la vita con la mortificazione dell'anima; così darò almeno soddisfazione a te, se non a Dio. Ma se riconosco francamente la debolezza del mio infelicissimo animo, non trovo con quale penitenza potrei placare Dio perchè tuttora lo accuso di una crudeltà troppo grande per aver permesso quell'infamia a tuo danno; e così, non adattandomi alla sua volontà, riesco più ad offenderlo con la mia ira che a placarlo con la penitenza. E come si può parlare di vera penitenza dei peccati quando, per grande che sia la mortificazione del corpo, l'animo rimane fermo nella volontà di peccare e arde degli antichi desideri? Certo è facile confessare i peccati e accusare se stessi, e giungere fino a mortificare il corpo, esibendo una soddisfazione tutta esteriore; ma è difficilissimo svellere dall'animo il desiderio delle supreme voluttà.

Il santo Giobbe parlava giustamente quando diceva: «Lascerò libero il corso alle mie parole contro di me», volendo dire: allenterò la lingua e aprirò la bocca per confessare i miei peccati e accusarmene; ma subito aggiungeva: «Parlerò nell'amarezza dell'animo mio». San Gregorio esprime lo stesso pensiero così: «Vi sono alcuni che, aperta la bocca, riconoscono le colpe, ma nel confessarle sono incapaci di rattristarsene, ed esprimono cose da piangere quasi godendone. Perciò chi confessa le proprie colpe detestandole è necessario che parli con amarezza, perchè questa amarezza punisca quelle colpe...». Ma quanto sia rara questa amarezza della vera penitenza lo dice acutamente sant'Ambrogio: «Ho trovato più facilmente chi ha conservato l'innocenza che chi ha praticato la penitenza».

Ma quelle gioie da amanti che provammo insieme mi sono state tanto dolci che non possono nè dispiacermi nè sfuggirmi dalla memoria. Dovunque mi volga sono sempre presenti ai miei occhi e mi accendono di desideri. Anche quando dormo la loro suggestione mi tormenta. Perfino in mezzo ai solenni riti, quando più dura deve essere la preghiera, le immagini impudiche di quelle voluttà inchiodano tanto nel profondo l'infelicissimo mio animo che mi sento disposta più a quei turpi godimenti che alla preghiera. E così, mentre dovrei gemere per quel che ho commesso, piuttosto sospiro per quel che ho perduto. E non quel solo che facemmo allora, ma anche i luoghi e i momenti in cui godemmo, e tu stesso, mi siete talmente dentro l'animo che agisco come se fossi con te in quel tempo, e nemmeno quando dormo riesco ad avere pace da queste immagini. Talvolta anche i miei movimenti tradiscono i pensieri dell'animo e la parola mi prorompe incontrollata. Oh me infelice! Come potrei ben ripetere il lamento dell'animo dolorante: «Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte?». Almeno potessi aggiungere sinceramente le parole che seguono: «La grazia di dio per Gesù Cristo nostro Signore». Proprio questa grazia, o carissimo, ti porse aiuto quando con una sola piaga ti liberò dai desideri del corpo, e così insieme anche da molti peccati dell'anima. Proprio per questo, invece di esserti nemico come può sembrare, Dio ti ha favorito, a guisa di un premuroso medico che non risparmia la sofferenza pur di conseguire la salute.

Ma in me l'ardore dell'età giovanile e l'esperienza di deliziosissime voluttà accendono fortemente gli stimoli della carne, incentivi alla libidine, e tanto più possono dominare da padroni in me quanto più debole è la natura che incontrano. La gente vanta la mia castità perchè non sa che sono ipocrita. Chiamano virtù l'astinenza del corpo, e invece la virtù non è del corpo ma dell'anima. Dagli uomini posso anche essere lodata, ma presso Dio non ho nessun merito perchè egli fruga il cuore e le reni e vede nell'intimo. Mi giudicano religiosa perchè ai nostri tempi anche una piccola dose di religione è apprezzata, e per ricevere enormi lodi basta non offendere l'umano giudizio. (....) È vano seguire tutti e due i precetti quando in noi manca l'amore di Dio. Dio sa bene che in ogni momento della mia vita ho sempre più timore di offendere te che lui, e il mio desiderio è di piacere più a te che a lui. Non l'amore di Dio ma il tuo comando mi indusse a prendere l'abito religioso. Vedi dunque quanto è infelice e più miserabile di ogni altra la vita che conduco, se qui in terra soffro invano tanti guai senza speranza di una ricompensa in cielo. A lungo ho ingannato te come tanti altri, tanto da farti credere religione quello che è soltanto ipocrisia.


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