Starace, il piccolo grande fascista.

 

Achille Starace

 

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Messaggio dall'autore del sito.

Devo ammettere che non è stato facile trovare del materiale che rispecchiasse fedelmente la figura di questo tenace gerarca: la maggior parte dei testi contiene delle grossolane deformazioni sul suo conto, lapalissiane menzogne e astiose considerazioni. E' noto però che la storia la scrivono i vincitori e, a questi ultimi, è affidato il compito (a volte difficile, me ne rendo conto) di essere il più possibile obiettivi, obiettività che, per Achille Starace, è del tutto mancata. Non dimentichiamoci infatti che fu silurato soprattutto perché contrario all'alleanza con Hitler. Il gerarca è stato vittima tre volte: dei nemici del fascismo (che l' hanno bestialmente fucilato), degli stessi fascisti (che l'hanno fucilato moralmente) e degli storici che, post mortem, hanno ripetutamente infangato la sua figura: una specie di capro espiatorio insomma.  A lui, al suo coraggio e alla sua cieca fedeltà in un'ideale è dedicato questo sito. Di seguito troverete un'intervista ad Antonio Spinosa, autore di una biografia su St., un articolo di commento alla biografia scritta da Roberto Festorazzi, alcune foto assolutamente inedite ed altri articoli di approfondimento. Non voglio dilungarmi ulteriormente, una considerazione è però d'obbligo: il mio non è un tentativo di riabilitazione postuma (e, in ogni caso, lo St. non necessita di alcuna "riabilitazione") ma una semplice narrazione di avvenimenti da sempre mistificati. Buona lettura. Valerio tarius77@libero.it 

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Recensione Libri.

 

Intervista ad Antonio Spinosa, autore di una biografia..

Aticolo sul libro "Starace, il mastino della rivoluzione fascista".

 

 

 

L'intervista ad Antonio Spinosa.

E’ difficile, anche a distanza di quasi sessant'anni, definire compiutamente la personalità di Achille Starace (1889-1945), che per un decennio circa fu ombra del duce e anima fervente del fascismo. Gli italiani conoscono di lui solo il personaggio da pantomima, perché l'uomo vero fu sempre filtrato "dalle innumerevoli facezie del regime di cui egli era l'immancabile protagonista nella parte del sergente ottuso e del rompistivali ostinato". Ben altra persona è quella che emerge dalle pagine dell'accurata biografia che Antonio Spinosa ha dedicato a " Starace - l'uomo che inventò lo stile fascista" (Mondadori, pagine 335, euro 17,60). Apparsa la prima volta nel 1981, l'opera, riproposta nell'ambito della ricerca storica che negli ultimi anni tende a diradare tutte le ombre del fascismo, pone sotto una diversa luce l'uomo che possedeva "una furbizia e un'avvedutezza contadina, con venature di spirito levantino, insieme a un'ineguagliabile miscela di coraggio, fedeltà, obbedienza, zelo". Ma perché l'uomo che incarnava il fascista perfetto fu esautorato e allontanato e penò all'ombra di Mussolini che rifiutava di riceverlo implorando la grazia di un'udienza? Ne discutiamo con Antonio Spinosa, storico attento al profilo psicologico dei protagonisti dei suoi libri.

Spinosa, a distanza di vent'anni da quando ha scritto questa biografia, conferma il suo giudizio su Starace o qualcosa è cambiato?

II giudizio sul personaggio è negativo per i suoi aspetti formali. Bisogna però ricordare che Starace è stato per otto anni segretario del partito nazionale fascista. Mussolini non si sarebbe tenuto per tanto tempo vicino una persona inutile, perciò Starace ha certamente svolto una funzione utile. Fu lui ad inventare tutta la scenografia fascista, aspetti che erano ridicoli perché gli italiani non amano le dittature, ma erano funzionali a una dittatura.

Cosa ha fatto Starace di veramente importante quando amministrava parecchio potere?

Starace ha cercato di militarizzare il cittadino italiano. Mentre Hitler in Germania ci riuscì benissimo, in Italia è stato più difficile. l sabati fascisti, le riunioni, gli uomini inquadrati in divisa e le sfilate erano delle prove che auspicavano gloria militare dell'Italia. Anch'io sfilai con tanti coetanei e feci un corso a Brunico di quindici giorni per diventare capo centuria. Ma erano sempre parate all'italiana, non dobbiamo mai dimenticare questa particolarità del nostro carattere. Infatti, nonostante gli sforzi e l'impegno, Starace non è riuscito a militarizzare nel profondo la mentalità degli italiani. Anche se i nostri soldati hanno conquistato l'Albania e l'Etiopia, in tempi sbagliati, perché l'Inghilterra cominciava ad abbandonare le colonie e l'Italia, invece, diventava allora un Paese colonialista, il militarismo non fu mai un'ideologia fondamentale degli italiani.

L'azione politica di Starace fu quella di uno stratega o di un infatuato?

Starace voleva fare grande l'Italia. Il programma di Mussolini non riguardava soltanto il nostro, Paese, e l'Albania e l'Etiopia lo stanno a dimostrare: si voleva diffondere in Europa l'immagine di un'Italia forte e vittoriosa, non di un'Italietta come quella di Giolitti. Starace credeva molto in questa possibilità, e, da efficace comunicatore, aveva inventato tutti gli slogan che acclamavano Mussolini a cominciare da: "Salutate nel duce il fondatore dell'impero".

Lei definisce Starace più fascista che mussoliniano, per via dell'intransigenza estrema che lo faceva somigliare più a un Farinacci che al duce: come è giunto a queste conclusioni?

 Mussolini, a differenza di Starace, non aveva la tendenza militarista del suo segretario. Per essere veri fascisti non bastava indossare la camicia nera, magari di seta, come facevano tantissimi intellettuali, cosa che mandava in bestia Starace. Mussolini era un borghese, mentre Starace aveva un filo di ferro nel suo corpo, e non si piegava a compromessi. Non si piegava a niente.

Quali furono le ragioni o i contrasti che nel '39 culminarono nell'allontanamento di Starace dalla segreteria del partito fascista?

Fu tutto opera di Ciano, il quale, politicamente, si era invaghito di Ettore Muti e convinse Mussolini Starace aveva fatto il suo tempo e continuò a insistere presso Mussolini a dire che Starace era un in­competente, e così lo allontanarono pure dal comando della Milizia.

Ci sono aspetti eroici nella vita di Starace?

Direi la parte della sua vita che riguarda la trasferta a Milano. Non ricopriva ormai più nessun incarico: una delle persone più potenti del partito era diventato una specie di nullità che Mussolini si rifiutava di ricevere. Quando Mussolini si trasferì a Milano, lui lo seguì anche là. Poteva benissimo tornare in Puglia al suo paese, mettersi in salvo, invece da quel devoto che era andò a Milano senza nessuna carica, solo come uomo affezionato a Mussolini. Anche questo sacrificio fu inutile perché Mussolini continuò a non volerlo ricevere, a negargli udienza che per Starace significava tutto.

Il farsi fucilare a Piazzale Loreto fu fatalità o una sua scelta per emulare il capo anche nella morte?

Starace non pensava a se stesso, e non cercava facili primi piani. Credeva nel fascismo e in Mussolini, e non riusciva a rendersi conto come mai il duce, ascoltando delle voci negative nei suoi confronti, portate principalmente da Ciano, lo avesse abbandonato. Il suo dramma maggiore è stata l'incomprensione di Mussolini. Starace aveva ben servito il duce secondo le esigenze del regime. Di lui però si fece quasi un capro espiatorio. Gli addebitarono di tutto e lo distrussero in tutti i modi. Mussolini forse aveva delle buone ragioni per scacciarlo, ma Starace non meritava di finire stritolalo dall'ingranaggio che lui stesso aveva contribuito a formare. Cercò invano riabilitazione. Non ottenne nulla in cambio di aiuti e anni di fedeltà. Ignorato, vituperato, scelse una morte dignitosa davanti al plotone d'esecuzione.

La vita di Starace fu davvero l'esistenza esemplare di un gerarca fascista potente, di una sacra autorità del Ventennio?

Su questo non avrei dubbi. Gli italiani del Littorio si riflettevano in lui, e Starace non era uno sciocco. Durante il fascismo si diceva che non fosse proprio un'intelligenza superiore e su questa cattiveria circolavano parecchie storielle di dubbio gusto. Era l' uomo tagliato dal destino per vivere in posizione subordinata. Adorava Mussolini e lo dimostrò sempre, fino alla fine. Prima di sparargli i partigiani lo umiliarono, lo prendevano a spintoni e lui coraggiosamente li riprese, dicendo: "Fate presto, invece di picchiare e di insultare un uomo che state per fucilare”.

 

"Starace, il mastino della rivoluzione fascista".

«Una macchietta», «L'uomo che ha ridicolizzato il fascismo», «Uno stupido che voleva trasformare l'Italia in un Paese di pagliacci in divisa». Cosi è stato quasi sempre impietosamente dipinto Achille Starace, il più potente e longevo segretario del Partito nazionale fascista. Già nel Ventennio non era raro trovare sui muri scritte irridenti come «Starace chi legge», mentre le barzellette su di lui si sprecavano. In tempi recenti i giudizi non sono stati meno drastici e sprezzanti. Come quello dell'ex premier Massimo D'Alema che l'ha definito «l'emblema del cattivo gusto, del ridicolo e dell'arroganza del vecchio regime». Di Achille Starace si ricordarlo sempre il presunto servilismo nei confronti di Mussolini, la sua mania per le uniformi, le mostrine e le parate, così come per l’attività ginnica e gli slogan roboanti. Come non rammentare in effetti che fu lui a imporre agli italiani il sabato fascista e ad abolire la stretta di mano e l'uso del "Lei", troppo borghesi, per sostituirli con il saluto romano e con il "Voi"? Come dimenticare che fu sempre lui a volere italianizzare tutti i termini stranieri, con risultati spesso autenticamente comici? Ma Starace fu davvero un personaggio così ridicolo, una semplice comparsa nel grande teatro dell'Italia mussoliniana? In realtà, fu tutt'altro: A darci un ritratto inedito e veritiero di questo personaggio tanto chiacchierato e vituperato è ora Roberto Festorazzi nel suo libro " Starace - Il mastino della rivoluzione fascista", edito da Mursia. Festorazzi, giornalista e studioso di storia contemporanea, sfata innanzitutto un mito: quello di uno Starace costretto in gioventù a sgomitare per riscattarsi dalle sue umili origini. Achille Starace, nato a Gallipoli in provincia di Lecce il 18 agosto 1889, era invece uno degli otto figli di un ricco mercante e banchiere, proprietario di terreni, di fabbriche e di un mulino. Altro mito che l'autore nel libro si affretta a sfatare è quello che ha sempre dipinto il segretario del PNF come un pavido e un codardo, nonostante la mania per gli atteggiamenti guerreschi. Starace, impegnato nella Grande Guerra come sottotenente dei bersaglieri sul Carso, sul Piave e in Trentino, si comportò da valoroso guadagnandosi una medaglia d'argento, quattro di bronzo, due croci di guerra, la croce francese con stella e la promozione a capitano. Dopo il conflitto, il futuro numero due del Duce fu fra i primi a frequentare a Milano il "covo" di via Paolo da Cannobio, dove Mussolini riuniva i suoi fedelissimi. Il Duce mostrò subito di apprezzare quel trentenne pugliese che dimostrava di essere un personaggio combattivo e un efficiente organizzatore. Una notte, puntandogli dritto negli occhi il suo sguardo magnetico, gli disse: «Voi siete coraggioso, meritate di fare il segretario del Fascio di Trento. Partite subito». Lui obbedì. La missione era difficile: si trattava di italianizzare a tappe forzate la Venezia Tridentina, chiamando gli italiani a esercitare coi pienezza il controllo dei poteri. Facendo largo uso, con i suoi uomini, di olio di ricino e manganello. Starace riuscì ben presto nell’impresa. Per i meriti conquistati sul campo, nel ’21 fu nominato vicesegretario del PNF. Alla marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, a lui toccò il compito di guidare le camicie nere del Veneto e del Trentino. Nel '23 il Duce gli affidò il compito di istituire la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Contemporaneamente, Starace entrò nel Gran Consiglio del Fascismo. La sua fedeltà verso Mussolini era tale che la figlia Fanny dirà: «Mio padre respirava per ordine del Duce». Nell'aprile 1924 Achille Starace fu eletto deputato nella sua Puglia. Quindi, nel '29, ricevette da Mussolini l'incarico di recarsi a Milano per fare un'opera di pulizia drastica e radicale all'interno del partito, dove malaffare e corruzione regnavano sovrani. Infine, ecco il grande passo: la nomina a segretario del PNF. Era il 7 dicembre 1931, il bersagliere di Gallipoli aveva 42 anni. Sarebbe rimasto il delfino di Mussolini fino al 30 ottobre del '39. Mussolini voleva che il Partito diventasse Paese, da parte doveva diventare tutto. Starace, durante i suoi otto anni di "regno", trasformò in effetti il PNF in una super organizzazione di massa, attraendo nella sua orbita tutte le organizzazioni satellitari come quelle giovanili, della scuola, del pubblico impiego, degli addetti alle industrie statali. Il Partito diventò il centro propulsore del consenso popolare attorno al regime, coinvolgendo sempre più ampi settori della vita nazionale. Certo, Starace esagerò con i suoi diktat da caserma, con le sue manie per le mostrine e le partite, rendendosi sempre più impopolare. Nemico della mondanità, delle raccomandazioni, della "vita comoda", dei vizi atavici degli italiani, raggiunse il ridicolo quando, in nome dell'orgoglio nazionale, ordinò che fossero italianizzati tutti i termini stranieri, con risultati spesso grotteschi. Come non sorridere, per esempio, di fronte a film diventato filmo, cachemire trasformato in casimiro, whisky in spirito d'avena e così via? La fine di Starace non fu però decretata dai risultati impopolari della sua frenetica attività di innovatore. Il fatto è che, senza volerlo, si attirò sempre di più le invidie e le gelosie di quasi tutti gli altri gerarchi. Fra i suoi nemici giurati, Galeazzo Ciano, il genero del Duce, e il potente capo della polizia Arturo Bocchini. Si spiegano così i rapporti segreti dell'Ovra, la polizia segreta, che quotidianamente accusavano il mastino di Gallipoli di ogni nefandezza, definendolo ora un ladro matricolato o un truffatore, ora un omosessuale o, al contrario, un puttaniere, ora un pavido, un bugiardo o un traditore. Bersagliato da ogni parte, Starace ebbe un momento di rinnovata popolarità nel '36 quando, durante la guerra in Etiopia, alla testa di un imponente corpo di spedizione motorizzato in soli 15 giorni, dopo una marcia forzata di 600 chilometri, da Asmara raggiunse la città santa di Gondar. La sua avventura politica però si avviava ormai alla fine. A decretarla non furono poi solo le invidie degli altri gerarchi. Fu, invece, il suo atteggiamento risoluto di fronte all'alleanza con i tedeschi e alla prospettiva della guerra. Contrariamente a quanto si è sempre sostenuto, Starace non amava i nazisti, anche se aveva costretto i militari italiani a sfilare tenendo il passo dell'oca. Inoltre era consapevole che per l'Italia l'entrata in guerra sarebbe stata un disastro. A tale proposito, fra le tante testimonianze, Roberto Festorazzi cita quella di una nipote di Starace, Gioacchina. «Ricordo bene – racconta - quando mia madre ricevette la lettera in cui suo marito le annunciava la sua improvvisa destituzione da segretario del partito fascista». Tutto era stato causato dal fatto che Achille Starace «aveva capito che l'entrata in guerra dell'Italia a franco della Germania sarebbe stata un suicidio per il nostro Paese, che non era preparato militarmente per compiere un tale passo». Starace non aveva tenuto per sé le sue considerazioni. Furono queste le ragioni della sua defenestrazione. Pagò la sua franchezza e la sua lealtà duramente. E, se all'inizio, tanto per dargli un contentino, gli fu affidato il ruolo di Capo di Stato maggiore della Milizia, poi, nel maggio '41, gli fu tolto improvvisamente e senza alcuna spiegazione anche quello. Senza un lavoro, senza soldi, senza amici, Starace da allora subì ancora altre umiliazioni, compresa quella del carcere. Fino all'ultimo, e nonostante tutto, rimase però fedele al Duce e al fascismo. Non rinnegò né l'uno né l'altro neppure quando, ormai ridotto in miseria, a Milano dove si era trasferito dopo la nascita della Rsi, era costretto a fare la fila alle mense di guerra per poter consumare un piatto di minestra. Viveva in incognito, allora: si faceva chiamare Filippo Rossi. Il 27 aprile 1945 fu riconosciuto in strada, a Porta ticinese, e preso prigioniero dai partigiani (foto sotto).

Starace per strada.

Due giorni dopo, al termine di un assurdo e ridicolo processo sommario, fu portato in piazzale Loreto e "giustiziato". Fino all'ultimo si comportò con grande coraggio e dignità. Condotto di fronte a un muro, prima di cadere crivellato dai colpi, levò alto il braccio, teso nel saluto romano, e gridò: «Viva il Duce!». Nella piazza già penzolavano a testa in giù i corpi martoriati di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi catturati e uccisi a Dongo. Anche il corpo di Starace venne poi appeso ai ganci in quella tragica esibizione da macelleria (vedi sequenza fotografica).