Articoli vari.

 

 

Starace, la verità sulla fine di un gerarca fedelissimo (da "Il Giornale" del 16 marzo 2002).

Stralcio dell'introduzione del libro "Starace - il mastino della Rivoluzione fascista".

 

 

 

Starace, la verità sulla fine del gerarca fedelissimo (da "Il Giornale" del 13/03/2002)

Achille Starace non venne arrestato per la strada mentre faceva footing, in una sorta di estremo delirio psicofisico, quasi incurante della tragedia storica che si stava consumando attorno a lui: la morte del Duce e la fine del fascismo. Fu invece prelevato dai partigiani in una stamberga, una pensioncina di quart'ordine. Sulla fine del più potente segretario del Partito nazionale fascista, catturato e ucciso a Milano nelle drammatiche giornate di fine aprile del 1945 (vedi sequenza fotografica sotto n.d.r.), giunge una nuova e più verosimile versione che contribuisce a fornire qualche dettaglio illuminante sui contorni di un'epoca. «Starace, dove vai?». «A prendere un caffè». Questa sarebbe stata la risposta surreale che il gerarca, ancora a piede libero, avrebbe fornito all'uomo che sulla pubblica via lo avrebbe identificato, consegnandolo poi ai partigiani, ossia ai suoi fucilatori. Questa la versione accreditata anche nella trasmissione «La Grande Storia - Gli uomini di Mussolini» andata in onda di recente su Raitre. Invece le cose sono andate in un modo diverso, ed è obbligatorio prenderne atto. Del resto, il racconto di Starace che viene fermato dopo il 25 aprile 1945 mentre fa la sua quotidiana corsetta inciampando tra i cadaveri, non convinceva troppo. A demolire definitivamente questa ricostruzione è Fulvio Bellini, 79 anni, una figura di primo piano della Resistenza milanese che ha sempre amato raccontare i fatti storici da un punto di vista anti-retorico. Protagonista della guerra partigiana tra le file comuniste, Bellini si è poi guadagnato una fama di eterodosso che ha finito per allontanarlo definitivamente dai suoi ex compagni di lotta. È lui a raccontare ora come gli capitò di dover arrestare Starace: «Il 25 aprile 1945 giunsi a Milano proveniente dall'Emilia. Il 27 o il 28 aprile qualcuno ci avverti che in una pensione di Corso XXII Marzo c'era un gerarca. Probabilmente si trattava di Starace. Io avevo a disposizione una Fiat 1100 sottratta alla Guardia nazionale repubblicana. Presi i miei uomini armati di mitra e mi precipitai sul posto. Era una casa popolare. Suonai al campanello e si presentò alla porta l'affittacamere, la classica megera. «E lì, mi disse subito, senza preamboli. Entrai nella stanza e vidi Starace sdraiato sul letto, con indosso la tuta da ginnastica che portava ancora quando venne fucilato. Accettò di seguirci senza fare obiezioni. Era tranquillo, e noi lo trattammo in modo corretto». Il racconto di Bellini viene completato da un particolare che getta luce sulla condizione di povertà assoluta in cui viveva il gerarca, il quale, dopo essere entrato in disgrazia presso Mussolini fino a subire la rottamazione politica e morale, aveva cessato di disporre di un qualsiasi introito. Prosegue l'ex partigiano «Ricordo come fosse ora che, mentre Starace si alzava dal letto per seguirci, la megera disse: "E a me chi paga l'affitto?"». Aggiunse che era da tre-quattro mesi che non riscuoteva la pigione dall'inquilino, il quale adduceva a scusante il fatto che non riceveva ancora la pensione dovutagli come ex funzionario dello Stato. Portammo Starace al nostro quartier generale, in piazza Durante. Il resto è cosa nota. Lei mi domanda se fosse giusto fucilarlo. In quel momento, credo di sì. Ma se tornassi indietro, oggi direi che forse lo avrei aiutato a fuggire». Consegnato dunque ai suoi carcerieri, Starace fu sommariamente processato e poi passato per le armi in piazzale Loreto, la mattina del 29 aprile. Dei momenti che precedettero la sua fucilazione possediamo anche un documento straordinario, rimasto ignoto per quasi sessant'anni. Si tratta di una fotografia che ritrae Starace condotto dai partigiani all'esterno del Politecnico (dove era stato processato da un tribunale del popolo) e messo in posa davanti all'obiettivo del reporter svizzero Christian Schiefer. Schiefer, scomparso nel '98 alla veneranda età di 102 anni, vendette uno straordinario fotoreportage alla Schweizer Illustrierte Zeitung, ma le foto di Starace (in tuta da ginnastica) le tenne per sé. Due di esse le regalò in segno di riconoscenza a un ispettore della dogana italiana di Ponte Chiasso, Alfredo Aguglia, il quale lo aveva agevolato nell'impresa di documentare fotograficamente la resa dei tedeschi al valico italo-svizzero. I due scatti della Leika di Schiefer sono stati gelosamente conservati dal figlio di Aguglia, Gerardo. Un'immagine soltanto fu pubblicata, quarant'anni dopo, il 26 aprile 1985, dal Corriere della Sera. Ma l'altra, forse ancora più bella, è comparsa solo di recente su un periodico comasco di limitata diffusione. Ci mostra uno Starace assolutamente sereno, mentre posa tra un terzetto di partigiani armati. La virago con la fascia al braccio gli sta addirittura puntando addosso la pistola, mentre l'uomo col cappellaccio, l'impermeabile bianco e l'espressione alla Humphrey Bogart, invia uno sguardo obliquo all'obiettivo della storia che lo sta immortalando.

 

 

Stralcio dell'introduzione del libro "Starace - il mastino della Rivoluzione fascista".

"Nella galleria dei gerarchi di Mussolini, la figura di Achille Starace è stata tra le più malamente interpretate, complice una vulgata che, iniziata nel Ventennio stesso, non ha mai cessato di caricaturizzarla. Dal 1945 a oggi, ogni volta che ci si è occupati di Starace, lo si è messo idealmente davanti al plotone d'esecuzione, rinnovando gli stereotipi che sono stati tramandati su di lui: lo si è rappresentato invariabilmente come uomo volgare e come caporale di giornata, una sorta di articolo da caserma di quell'avventura totalitaria tradotta nella cifra della commedia all'italiana che fu il fascismo. Le barzellette su Starace circolate negli anni in cui questi fu il numero due del regime, hanno di fatto formato nell'immaginario popolare l'idea che costui fosse stato un cretino obbediente e un cafone incorreggibile. In fondo, a Starace è toccata la medesima sorte che, misteriosamente, ricevono le personalità politicamente forti che la natura non ha dotato di statura adeguatamente marziale: basti pensare alla quantità di facezie e di barzellette che durante la Prima Repubblica sono girate sul conto di Amintore Fanfani, il più gollista dei democristiani italiani, ma certo molto meno alto del generale francese. Starace fu qualcosa di assai diverso da una macchietta. Il bersagliere di Gallipoli fu il mastino della rivoluzione di Mussolini. Creò il mito del fascismo come perfetto modello di vita, obbligò gli italiani a indossare l'orbace, impose il "voi" al posto del "lei", abrogò la stretta di mano in favore del saluto romano e istituì il sabato fascista. Trasformò in pratica l'Italia in una grande caserma, guardando soprattutto allo sport come a un metodo per educare generazioni disciplinate, ridestando l'indole guerresca del popolo italico, discendente degli invincibili legionari romani. Fantasioso inventore e supremo organizzatore della liturgia fascista, inaugurò il rito del saluto al Duce in tutte le adunate del regime. Fedele a Mussolini fino all'adorazione, ma non per questo completamente ottuso e incapace di pronunciare una parola franca al cospetto del suo capo, fu il regista coerente del culto della personalità. Certo, Starace, in questa paranoia di divise e di mostrine, di adunate oceaniche e di parate al passo dell'oca, fu l'artefice forse inconsapevole della depoliticizzazione e dello svuotamento del partito fascista, inglobato nello Stato e divenuto un docile strumento di propaganda completamente asservito al Duce tanto da esserne il megafono.Ma non lo si può ridurre a semplice comparsa nel grande teatro dell'Italia mussoliniana. Eroe di guerra, uomo di potere ma anche caratterialmente incline a una certa bonomia, Starace fu un gerarca leale e fondamentalmente onesto, generoso senza alcuna riserva nel servizio all'idea in cui credeva. Averlo rappresentato come una sorta di interprete imbecille di un credo a lui anche intellettivamente superiore, o peggio come esecutore cieco di ordini, è stata un'operazione storicamente infondata e mistificante. Riducendolo alla misura di un individuo servile, si è tramandata un'immagine falsa di Starace, mettendo oltretutto in ombra le ragioni per le quali egli, dopo il 1939, cadde drammaticamente in disgrazia presso il Duce conoscendo molte umiliazioni e l'emarginazione quasi totale. Achille Starace fu invece tutt'altro che un cretino salito ai vertici della politica per un fortuito caso della storia. Egli fu innanzitutto un rivoluzionario coerente, anzi fu uno dei pochi gerarchi del Duce a credere fino in fondo alla necessità di trasformare l'italiano in un uomo nuovo, funzionale alla missione storica che il fascismo assegnava a se stesso per lo sviluppo della nazione. Di convinzioni antiborghesi e antiliberali, Starace fu il pungolo, la spina nel fianco che il regime assegnò agli italiani per impedire ogni fisiologico adattamento a equilibri che segnassero un abbassamento della temperatura rivoluzionaria, un intorpidimento della coscienza collettiva. Ben più che una sentinella dell'idea marciante e trionfante del fascismo, Starace fu un intrepido agente di trasformazione, un grande formatore di coscienze, all'interno dello spazio politico delle organizzazioni sociali e dei coreografici eventi di massa di cui fu infaticabile programmatore e promotore. Se le debolezze e i tic di Starace ce lo rendono talora perfino umanamente simpatico, altra cosa è una oggettiva ricognizione di fenomeni storici complessi e la ridiscussione di schemi interpretativi inadeguati e fuorvianti. La categoria demonologica del nazifascismo, che ancora grava pesantemente sul nostro clima culturale determinando i più ricorrenti schemi di riferimento mentali, non può e non deve intervenire a piegare a fini ideologici la corretta interpretazione dei fatti. Questo lavoro si propone, perciò, a beneficio del pubblico interessato a una rilettura del nostro passato, al fine di restituire una luce più vera e obiettiva alla figura storica di un personaggio ampiamente travisato, vittima di un'autentica dannazione della memoria."