Gli effetti degli aerosol
Gli aerosol influenzano molti processi atmosferici, inclusi la formazione
delle nubi, la variazione della visibilità e il trasferimento della
radiazione solare, e giocano un ruolo principale nell’acidificazione di
nubi, pioggia e nebbia. Vediamo un po’ più nel dettaglio alcuni degli
effetti del particolato.
Sul
clima e sul microclima
L’aerosol assorbe o riflette la radiazione solare in funzione della sua
dimensione e composizione chimica e della lunghezza d’onda della
radiazione. L’aerosol ha quindi un’influenza diretta sul bilancio
radiativo terrestre, a cui è legato il clima, e l’effetto complessivo
dipenderà dal quantitativo relativo di energia luminosa riflessa verso lo
spazio (backscattering) rispetto a quella assorbita.
Le particelle di aerosol possono inoltre agire indirettamente a favore di
un raffreddamento del pianeta quando agiscono come nuclei di condensazione
per le nuvole (CCN), aumentando la probabilità di formazione delle nuvole.
La riflessione della luce solare da parte delle nuvole, più efficiente di
quella degli oceani e delle terre emerse, porta ad un raffreddamento
radiativo della superficie della Terra. Le nuvole possono avere però anche
un ruolo nei fenomeni d’assorbimento della radiazione infrarossa
terrestre, contribuendo positivamente al riscaldamento della Terra.
Il particolato ha effetti anche sul microclima urbano. Infatti, nelle
città l’inquinamento dell’aria contribuisce all’effetto “isola di calore”
poiché inibisce la perdita di radiazioni a onde lunghe di notte. Oltre a
questo, il particolato presente su città di grandi dimensioni può ridurre
anche di più del 15% la quantità di radiazione solare che raggiunge la
superficie. Questo effetto è più evidente quando il sole è basso
sull’orizzonte, poiché il cammino percorso dalla luce attraverso l’aria
inquinata aumenta al ridursi dell’altezza del sole. Quindi, a una data
quantità di particolato, l’energia solare sarà ridotta in modo più intenso
in città presenti ad alte latitudini e durante l’inverno. Rispetto alle
aree rurali circostanti, l’umidità relativa nelle città è generalmente più
bassa del 2-8%. Ciò è dovuto al fatto che le città sono più calde e che le
acque meteoriche scorrono via rapidamente. Nonostante ciò, sulle città le
nubi e la nebbia si formano frequentemente. Questo perché le attività
umane nelle aree urbane producono grandi quantità di particelle che
possono agire come nuclei di condensazione, favorendo appunto la
formazione di nubi e nebbie. Infatti, quando i nuclei igroscopici sono
molti il vapor d’acqua condensa rapidamente su di essi, in alcuni casi
anche in situazioni di sottosaturazione. Come effetto si ha un aumento
delle precipitazioni sulle città dovuto proprio al particolato (Lutgens e
Tarbuck).
Sulla
visibilità
La visibilità è definita come la più grande distanza, in una certa
direzione, alla quale viene visto e identificato un oggetto scuro alla
luce del giorno, o una fonte di luce non focalizzata nella notte (Kouimtzis
e Samara, 1995). La riflessione della radiazione solare ad opera delle
particelle di aerosol di dimensioni nell’ordine della lunghezza d’onda del
visibile è il fenomeno principalmente responsabile della diminuzione della
visibilità atmosferica.
Sugli
ecosistemi e sulle superfici
L’aerosol, in seguito a deposizione secca o umida, può contribuire
all’acidificazione (associata in particolare ad H2SO4
e HNO3) e all’eutrofizzazione (associata ai sali nitrati)
dell’ambiente terrestre e acquatico. L’acidificazione dei suoli può
portare al rilascio di elementi tossici come l’alluminio, comportando seri
danni alle piante e alle varie forme di vita acquatica. Inoltre si hanno
effetti diretti sulla vegetazione in relazione ad un’azione acida e
ossidante delle particelle, che porta al danneggiamento dei tessuti
vegetali.
Il clima e l’inquinamento atmosferico, interagendo tra loro, degradano il
patrimonio artistico, architettonico ed archeologico. Un esempio ben noto
è l’effetto di disgregazione dei materiali lapidei, in particolare quelli
a componente calcarea, causati dall’acidità delle deposizioni umide
(determinata dalle emissioni atmosferiche di biossido di zolfo ed ossidi
di azoto, ma anche, in misura minore, dalla presenza di anidride carbonica
disciolta). Anche il particolato atmosferico agisce sui materiali lapidei
annerendoli. L’erosione dei materiali è dovuta principalmente a pioggia,
deposizioni di zolfo, acido nitrico e apporto di acidità. Il più
importante agente dell’annerimento, invece, è il particolato. È stato
calcolato che l’annerimento pesa 2,5 volte di più dell’erosione sulla
pericolosità atmosferica nei confronti del patrimonio culturale (Rapporto
sullo Stato dell’Ambiente in Lombardia 2001).
Sulla
salute umana
Il particolato atmosferico viene collocato tra i principali fattori di
rischio ambientale per la salute. L’esposizione ad inquinamento
atmosferico è particolare poiché è estesa a tutta la popolazione, è
praticamente inevitabile (soprattutto per i cittadini di grandi aree
urbane) e non è riducibile a zero. Le ricerche epidemiologiche sugli
effetti del particolato atmosferico sulla salute sono relativamente
recenti. La maggior parte degli studi sul particolato effettuati finora
mostrano l’esistenza di associazioni statistico-epidemiologiche, ovvero
una supposta consequenzialità causale tra l’aumento di inquinamento e
l’aumento di patologie.
Le caratteristiche delle particelle che determinano gli effetti che esse
avranno sulla salute umana sono il dae e la composizione
chimica. Il dae determina la capacità della particella di
penetrare e depositarsi all’interno dell’albero respiratorio. Il
particolato atmosferico può essere classificato in funzione della sua
capacità di penetrazione all’interno dell’apparato respiratorio umano,
ottenendo in tal modo anche un’indicazione sul rischio per la salute
umana.
In tal senso si distinguono tre frazioni:
1) frazione inalabile: include tutte le particelle che riescono a
entrare dalle narici e dalla bocca;
2) frazione toracica: comprende le particelle che riescono a passare
attraverso la laringe e ad entrare nei polmoni durante l’inalazione,
raggiungendo la regione tracheo-bronchiale (inclusa la trachea e le vie
cigliate); a questa frazione è assimilabile il
PM10
3) frazione respirabile: include le particelle
sufficientemente piccole da riuscire a raggiungere la regione alveolare,
incluse le vie aeree non cigliate e i sacchi alveolari; a questa frazione
è assimilabile il
PM2,5.
La dimensione delle particelle risulta quindi importante per gli effetti
tossici esercitati sull’organismo, poiché più le particelle penetrano in
profondità e maggiore sarà l’effetto tossico esercitato da esse. Inoltre,
le particelle ultrafini possono superare la barriera alveolare ed entrare
nel circolo sanguigno, concorrendo ad aumentare la viscosità del plasma e
favorendo l’insorgere di trombosi, che possono portare a infarti ed
ischemie. Le particelle più piccole possiedono un’elevata superficie
specifica sulla quale avvengono i processi di adsorbimento e condensazione
e presentano un maggior contenuto di inquinanti. Queste, appartenendo alla
frazione respirabile, giungono fino agli alveoli, dove si trovano in
intimo contatto con il comparto ematico e trasportano così all’interno
dell’organismo sostanze tossiche e spesso cancerogene adsorbite sulla loro
superficie.
Per quanto riguarda la composizione chimica delle particelle, il rischio è
associato in particolare al contenuto di metalli pesanti in tracce (Pb,
Cd, As, Zn, Hg...) e di diversi cancerogeni, tra i quali gli IPA.
Importante è anche l’acidità delle particelle. L’acidità dell’aerosol
atmosferico è associata principalmente alla frazione fine (le particelle
più grosse, essendo costituite essenzialmente da materiale crostale, sono
alcaline), e dipende dal grado di neutralizzazione di composti acidi quali
acido solforico e acido nitrico con ammoniaca. Mentre i gas acidi solubili
in acqua (es. HNO3, SO2) vengono rimossi nel tratto
respiratorio superiore, i composti acidi delle particelle respirabili
giungono fin dentro i polmoni, ed è stato provato che sono responsabili
dell’insorgenza di broncocostrizione in asmatici, danneggiamento dei
polmoni e indebolimento del sistema immunitario (Kazuaki et al., 1998).
L’inquinamento atmosferico non dà origine a una malattia specifica, ma può
contribuire ad una vasta gamma di processi multi-causali. È utile
distinguere due tipologie di effetti dovuti a differenti modalità di
esposizione agli agenti inquinanti, sebbene concretamente questi tendano a
sovrapporsi.
Gli effetti acuti sono quegli effetti che si manifestano in un breve arco
di tempo (entro giorni o settimane) a seguito di un’esposizione non
prolungata (dell’ordine di giorni o settimane), ma intensa
all’inquinamento atmosferico. In caso di aumento dell’inquinamento si
verifica un brusco incremento di sintomi respiratori quali tosse, attacchi
d’asma, polmonite, aggravamento di bronchiti croniche, disturbi
respiratori, aritmia o infarto miocardio (N. Kunzli).
Una pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO Air
quality guidelines. World Health Organization, Geneva, 1999) riporta
una relazione lineare tra livelli di PM10 medio giornaliero e
aumento percentuale dei ricoveri ospedalieri: per ogni 10 µg m–3
di PM10 si stima un aumento percentuale di ricoveri dello
0,84%, concernenti principalmente patologie cardiache e respiratorie; gli
anziani risultano la categoria maggiormente colpita. Finora sono state
raccolte prove che dimostrano una relazione tra episodi acuti di
inquinamento atmosferico da PM10 e aumento della mortalità
giornaliera della popolazione. Ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della
Sanità definisce una relazione tra mortalità e livelli di PM10
e stima un aumento della mortalità giornaliera pari allo 0,070% per ogni
incremento unitario di PM10 (misurato in µg m–3)
nello stesso giorno. Le persone anziane o sofferenti di patologie
cardiache o respiratorie sono le più esposte a questi rischi.
Si considerano effetti cronici quei danni alla salute umana che
sopraggiungono a seguito di un’esposizione prolungata (mesi o anni).
Variazioni su scala giornaliera delle concentrazioni atmosferiche di
inquinanti non avrebbero influenza diretta su questi effetti a lungo
termine; questi, invece, subirebbero una significativa diminuzione
nell’arco di anni a seguito di un consistente miglioramento della qualità
dell’aria. Ricerche condotte negli Stati Uniti e in Europa mettono in luce
che l’esposizione cumulativa all’inquinamento atmosferico riduce lo
sviluppo polmonare nei bambini, accelera l’«invecchiamento» delle funzioni
polmonari negli adulti, aumenta la comparsa di sintomi respiratori di
carattere cronico e può dare luogo anche ad una maggiore incidenza del
tasso di tumore ai polmoni negli adulti.
Tutti questi effetti, considerati nella loro globalità, conducono ad una
aspettativa di vita più limitata (N. Kunzli). Studi effettuati sulla
componente acida dell’aerosol hanno evidenziato come i composti acidi
presenti nelle particelle respirabili giungano fino ai polmoni, causando
bronco-costrizioni in asmatici, danneggiamento dei polmoni e indebolimento
del sistema immunitario, mentre i gas acidi solubili in acqua (es. HNO3,
SO2) vengano assorbiti e rimossi dalle pareti umide del tratto
respiratorio superiore. Gli effetti degli inquinanti atmosferici sulla
salute umana si riscontrano in aumento di patologie respiratorie,
diminuzione degli indici di funzionalità polmonare, rischio di tumori e
leucemie dovuti principalmente al PM2,5.
Rimarrebbe al PM10 la responsabilità dei sintomi delle alte vie
respiratorie, quali la tosse (Min. Ambiente). Gli episodi acuti di
inquinamento determinano nella popolazione adulta in buona salute effetti
clinici lievi, con una piccola riduzione delle prestazioni polmonari, che
il singolo può anche non avvertire, ma che hanno grande rilevanza
epidemiologica e grande impatto sulla salute pubblica, determinando
l’aumento di numerosità delle classi di popolazione con ridotta
funzionalità respiratoria.
Per ragioni di carattere metodologico, è intrinsecamente difficile
attribuire questi effetti nocivi sulla salute umana ai singoli inquinanti.
Sebbene sia ampiamente provato che l’inquinamento da particolato fine ne
sia il maggior responsabile a livello fisiopatologico, il contributo,
singolo o combinato, di altri inquinanti (es. NOx, CO…) non può
non essere tenuto in considerazione. Dagli studi effettuati emerge come
non si possa definire una soglia di concentrazione di particolato al di
sotto della quale vi sia effetto nullo sulla salute. La WHO precisa che al
di sotto dei 20 µg m–3 la relazione PM10-effetti
sanitari negativi, può non seguire un andamento lineare, ma non si
esclude che vi siano effetti negativi anche al di sotto di tale valore.
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