L'ATTACCO A PEARL HARBOR
(7 DICEMBRE 1941)
"Tora! Tora! Tora!"
IL RIENTRO | LA CALIFORNIA |
L'ATTACCO A PEARL HARBOR VISTO DAGLI AMERICANI
L'EPILOGO
(TRATTO DA "LA GUERRA DEL PACIFICO" DI B. MILLOT)
Allo scopo di facilitare il ritorno dei suoi apparecchi, la flotta giapponese si era avvicinata fino a 190 miglia da Oahu.
L'ammiraglio Nagumo aveva preso tale decisione a causa delle difficoltà che incontravano in volo alcuni aerei danneggiati e anche perché sapeva che la maggior parte di essi era a corto di carburante.
I caccia Mitsubishi tipo Zero, sprovvisti di radiogoniometro, cercavano di raggrupparsi intorno ai bombardieri per essere guidati verso le portaerei.
Alcuni apparecchi, con i serbatoi vuoti, precipitarono in mare, ma alle 13 l'ultimo aereo, quello del comandante Fuchida, appontò sull'Akagi.
Fuchida, non appena disceso dal proprio apparecchio, fece rapporto all'ammiraglio Nagumo e chiese l'autorizzazione di far partire una nuova ondata, ritenendo che esistessero ancora obiettivi da distruggere.
L'ammiraglio Nagumo e il suo capo di stato maggiore, ammiraglio Kusaka, conferirono e decisero, alle 13.30, di astenersi da un ulteriore attacco, temendo che le eventuali distruzioni sarebbero state sproporzionate ai rischi inevitabili con un avversario che stava ormai in guardia.
La flotta incominciò immediatamente a seguire la rotta del ritorno.
Fuchida insistette affinché si tentasse una ricerca delle portaerei americane, che si riteneva a ragione si trovassero nel sud-ovest. Ma anche in questo caso l'ammiraglio Nagumo rinunciò perché l'incontro con le petroliere doveva aver luogo sulla rotta nord e un intervento al sud avrebbe compromesso il previsto rifornimento.
Dobbiamo attribuire alla saggezza e alla prudenza l'atteggiamento timoroso assunto in quei momenti dall'ammiraglio Nagumo?
Egli aveva in realtà la possibilità e i mezzi per conseguire integralmente lo scopo della missione, che consisteva, il lettore lo ricorderà, nell'annientamento delle forze americane alle Hawaii.
Avrebbe potuto distruggere sistematicamente il potenziale militare di Oahu eliminando le due portaerei americane assenti da Pearl Harbor.
Ovviamente influenzato dai rapporti dei suoi aviatori, l'ammiraglio si convinse che le distruzioni già arrecate erano sufficienti e che sarebbe stato inutile esporre più a lungo le sue navi.
Preferì ritirarsi, temendo una possibile reazione degli americani. Ignorava, o volle ignorare, che questi ultimi erano incapaci, in quel momento, di organizzare una flotta in grado di minacciarlo.
L'attacco a Pearl Harbor era senz'altro un colpo durissimo inferto agli americani, ma sarebbe potuto essere assai più catastrofico se l'ammiraglio Nagumo e il suo capo di stato maggiore ammiraglio Kusaka avessero dato prova della stessa combattività e dello stesso mordente dimostrati dai loro marinai ed aviatori.
Ma prima di dare un giudizio affrettato, è interessante rilevare che l'ammiraglio Nagumo era sempre stato ostile al piano di attacco a Pearl Harbor. Si era opposto al progetto, dubitando dei risultati dati per scontati in tutte le conferenze e riunioni svoltesi al riguardo.
Ciononostante era stato prescelto per comandare l'operazione a causa della sua competenza e della sua conoscenza profonda dell'arma aeronavale.
D'altro canto, è incontestabile che l'attacco a Pearl Harbor fu perfetto, dal punto di vista tattico, nella concezione e nella realizzazione, e che i risultati superarono di gran lunga le previsioni e le speranze più ottimistiche.
L'ammiraglio Yamamoto poteva ora, dalla sua nave ammiraglia all'ancora a Kure, raffigurarsi secondo le previsioni le conquiste successive.
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