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La Repubblica


L´IMPERO MEDIATICO

30-04-2004

La sera del 25 aprile il collega Fabio Fazio al termine di una intervista sulla guerra partigiana mi disse: «Ma perché lei appare così di rado in televisione? Perché la odia?». «Guardi ? gli risposi ? non è che io odii la televisione, è che la televisione di regime non ama me». Due anni fa, chi definiva un regime mediatico il sistema politico e informativo che si andava formando in Italia era giudicato un provocatore. Nel migliore dei casi era considerato un bastian contrario da non prendere sul serio. E così siamo arrivati all´approvazione della legge Gasparri, che, nonostante la prima bocciatura venuta dal Quirinale, certifica l´esistenza del duopolio televisivo e garantisce a Mediaset un futuro di sviluppo e crescita inimmaginabile, mettendo dei falsi paletti alla concentrazione. La legge è tanto più grave perché legalizza il conflitto di interessi che c´è e cresce, con il capo del governo e del partito di maggioranza che al contempo è proprietario di tre reti televisive private ed è influentissimo dominus delle tre reti Rai. Alle altre piccole emittenti private - che vivono di una pubblicità che il sopraddetto signore controlla - non restano che le briciole. Una regola inviolabile del regime è che il pensiero viene omologato e del padrone non si parla male. Chi lo fa viene emarginato prima e ammutolito poi. Per lui non valgono le regole capitalistiche del mercato che stanno così a cuore al padrone. Può scrivere libri di grande successo, può essere persona di meriti civili ma il padrone non se ne cura: lo cancella. Niente galera o confino come nel regime fascista, ma il semplice silenzio: vedi il caso Biagi. Il regime informativo come quello legalizzato dalla legge Gasparri omogeneo, solidale, uniforme nei suoi due settori dominanti, il pubblico e il privato, taglia fuori ogni possibile concorrente. Questa è un´antica e immutabile struttura del capitalismo italiano, cioè fondarsi su un patto di ferro tra pubblico e privato. Su questo principio venne fondata l´economia fascista dove due istituti pubblici, l´Imi e l´Iri, funzionavano da sostenitori e da convalescenziari dell´industria e della finanza privata. Nel regime berlusconiano questo sistema duale si è ricostituito sotto nuove forme istituzionali e di fatto. Il capo del governo detta legge ovviamente nelle sue televisioni, e comanda in quelle pubbliche. La differenza fra regime del Cavaliere e la democrazia di stampo democristiano è che allora i desideri dei dirigenti del partito venivano accolti silenziosamente o confessati solo in sede storica. «Il mio azionista di riferimento - avrebbe poi ammesso Vespa - era la Democrazia cristiana». Ora tutto avviene in chiaro e senza finzioni: il capo del governo è re delle tre televisioni, nomina i giornalisti invisi e quelli vengono platealmente licenziati. Ma a rendere i maggiori servigi di regime sono i cortigiani, che a volte realizzano i desiderata del padrone prima ancora che vengano espressi. Allora l´indesiderato non riceve scomuniche o ukase, viene semplicemente depennato. Il sistema duale mette tutti d´accordo nel silenzio degli oppositori. Proprio perché è duale ma omogeneo, proprio perché tutti nelle televisioni private e pubbliche sanno che l´unica alternativa occupazionale è di passare dalle une alle altre e che la regola di tenersi buoni il padrone vige per l´uno come per l´altro. Ecco perché la questione dell´informazione è centrale per la democrazia. Poi c´è il legame della pubblicità che vale per tutti. Perché di società pubblicitarie ce ne sono parecchie ma la più forte impone i suoi interessi e i suoi ricatti. Il tentativo di uscire dal sistema duale viene sistematicamente soffocato o ridimensionato. A farla breve la legge Gasparri non è tanto un vincolo legale quanto il timbro dell´arroganza del potere.

GIORGIO BOCCA

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