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La Meglio TV quasi negata

3-12-2003
 

di Maria Novella Oppo

Ormai siamo tutti telespettatori professionisti e ci bastano un'immagine, una faccia, una frase, per capire se si tratta di film, telefilm o sceneggiato. E basta forse ancora meno per capire se siamo di fronte a un prodotto di qualità o alla ennesima serialità americana o nostrana. Ecco perché il fatto che La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana abbia raccolto attorno a quello che è diventata Raiuno oltre 7 milioni di persone, non sorprende neanche un po'. Lo spettatore riconosce la bellezza, anche se è afflitto, fino ad esserne coinvolto, dalla trivialità dominante.

Giusto ieri Nanni Moretti, intervistato in tv, dichiarava di non credere che il pubblico abbia sempre ragione, come dicono quelli che se ne fanno un alibi per peggiorare il cinema (e il mondo), guadagnandoci. E la «meglio gioventù» di Giordana parte proprio dal rifiuto del mondo com'è, coi matti legati e i sani ammattiti appresso alle loro paure.

Quella che ci racconta forse non era neppure una generazione migliore delle altre, ma era ambizione di quella generazione poter cambiare le cose come stavano e come in parte stanno ancora. Quando non sono peggiorate, come il lungo film televisivo arriva a scoprire, nelle ultime tappe. Lo sanno i tantissimi che La meglio gioventù l'hanno già visto nelle sale, dove è stato in qualche modo relegato da ragioni non esclusivamente di mercato che ne hanno ritardato la messa in onda.

Premiato, elogiato, discusso e accompagnato da altri titoli e libri e numeri speciali di riviste, come le 500 pagine, quasi un'enciclopedia, di Diario. Tutte iniziative utili a ricordare un periodo che, ormai è luogo comune, «ha cambiato il Paese». Come se ci fossero periodi in cui tutto si ferma e altri in cui la storia accelera spericolatamente per essere di nuovo fermata nello scatto del rimpianto.

Ma non è nostalgica, nonostante le canzoni e i ragazzi coi ricci e le giacchette strette, l'intenzione di Giordana. Fin dalle prime scene c'è un vecchio televisore da buttare, già reperto di un passato insopportabile. I protagonisti preparano un viaggio che è un rifiuto e rifiutano quello che si lasciano alle spalle, pur sapendo che quello che troveranno non sarà abbastanza.

I ragazzi non restano per sempre giovani e belli, ma qualcuno c'è che ci prova, a non peggiorare troppo. E questa è la «meglio gioventù», quella che dura nel tempo. Basta non perdere la speranza che ci sia anche la «meglio politica» e magari la «meglio televisione». Un mezzo che è stato usato per i più bassi fini e che ogni tanto dà prova di poter essere lui stesso un fine, una qualità da salvare. Basta fare il gioco di provare a pensare tutti i migliori programmi che ci vengono in mente. Ognuno trovi dieci titoli e metta, se vuole, il teatro civile di Paolini insieme agli antichi Giacobini di Zardi; L'albero degli zoccoli con Twin Peaks, Perlasca e Ligabue, Maigret e Montalbano, La presa del potere di Luigi XIV di Rossellini e Berlin Alexanderplatz di Fassbinder. E se ne potrebbero aggiungere tanti altri, a dimostrare che una fiction diversa si può fare.

Per non parlare dell'informazione. Una giuria di critici televisivi, di recente (dentro il programma di Pippo Baudo che celebra i cinquant'anni della tv) ci ha provato, a scegliere i dieci programmi indimenticabili. Alla fine è risultato che quello più votato, risultato il migliore della nostra tv, è stato Il Fatto di Enzo Biagi, proprio quello censurato per ordine di Berlusconi. Un ordine eseguito da sottoposti servili, che non solo accettano il mondo così com'è, ma si adoperano attivamente per peggiorarlo. E anche se non volessero, non sono in grado di fare nient'altro.

C'è sempre un funzionario, un direttore di rete, più realista del re, che ogni tanto si trova ad amministrare un successo immeritato attraverso una film che non saprebbe mai produrre. Come nel caso della Meglio gioventù che è nato dalla tv precedente, quella della dittatura ulivista che ancora scandalizza Maurizio Gasparri. E quelli come lui («la peggio gioventù»), che volevano approfittare della tv per «riscrivere la Storia». Ma ancora non ci sono riusciti, perché per fare la Storia non basta stare col padrone della tv. E anche la tv bisogna saperla fare. Mentre per costoro, dove non arriva la censura, arriva l'autocensura. Per non parlare dell'incapacità a concepire qualsiasi cosa che non sia funzionale alla prepotenza delle loro servili ambizioni, all'edonismo del supermercato che è ancora peggio di quello del mercato. Cosicché tutto quello che si fa è insieme prodotto e promozione e i programmi non sono che confezioni sotto vuoto spinto da collocare sullo scaffale, tappe di una scalata al potere di obbedire. Col pubblico ridotto a numero da vendere allo sponsor, o direttamente al potere, perché si riproduca, assicurando nuovi scatti di una carriera appaltata al peggior offerente.

Quanto poi alla Meglio gioventù, lunedì sera è andata in onda la seconda di sei parti, ottenendo il risultato, oltrechè di raccontare al pubblico una storia in cui si riconoscerà, anche di rinnovare il parco delle presenze televisive consumate dall'abitudine. Gli attori di Giordana hanno facce nuove (o già note alla meglio tv di una volta, come quella di Adriana Asti) per il piccolo schermo, ma già famose al cinema, come quella di Luigi Lo Cascio, Maya Sansa, Alessio Boni, Jasmine Trinca e tanti altri che speriamo non diventeranno mai tappezzeria dei salottini televisivi. Il giorno in cui vedremo Luigi Lo Cascio da Bruno Vespa potremo dare addio a ogni speranza. O c'è già andato?

 

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