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era buona la vecchia mafia? ecco una proposta di modello interpretativo

Con questa brevissima nota vorrei proporre ai colleghi che si occupano di didattica antimafia un orientamento, non so quanto nuovo, utile a mio giudizio per la costruzione di pratiche didattiche riproducibili e capaci di incidere in modo significativo, durevole ed efficace nella cultura dei giovani, pratiche necessarie per sottrarli al dominio degli stereotipi divulgati dalla pubblicistica corrente, spesso piuttosto ondivaga e superficiale, quando non in malafede.

E andrebbe a questo proposito ricordata l’opera sistematica di disinformazione condotta da taluni mezzi di comunicazione di massa, utilizzati in questi ultimi anni come veicolo occulto di interpretazioni strumentali e devastanti, volte a costruire ed incanalare un facile consenso verso quell’area grigia che talvolta non si cura nemmeno di nascondere la sua contiguità con esponenti delle cosche mafiose. Ma questo è un altro discorso.

L’impegno profuso dalla scuola in questi anni per la formazione di una cultura contro la mafia è stato generoso e continuo: e tuttavia vi è bisogno di uno sforzo ulteriore e diverso se nell’iconografia delle manifestazioni, studentesche e non, siamo ancora infestati dalla raffigurazione della piovra, metafora stantia1 e modello interpretativo ambiguo e pericoloso del fenomeno, che da essa ricava connotati di mistero ed onnipotenza, perfettamente funzionali al raggiungimento dei suoi scopi – come dire? – istituzionali.

Abbiamo forse trascurato in definitiva il tentativo di applicare nel lavoro con gli studenti i risultati delle analisi scientifiche condotte dagli studiosi: e questo ha consentito in pratica che il ruolo di "analisti della mafia" finisse per essere in buona parte delegato ai principali collaboratori di giustizia, come Tommaso Buscetta o Gioacchino Pennino, e alla produzione in gran parte giornalistica che si preoccupava di diffondere le loro interpretazioni.

Da qui il perpetuarsi di alcuni "miti" correnti sulla mafia, che gli stessi collaboratori tendevano e tendono ad accreditare per attribuire una motivazione il più possibile nobile alla loro decisione di abbandonare Cosa nostra.

Il più pericoloso di essi è quello di una mafia antica e buona, dispensatrice di giustizia e pacificatrice dei conflitti,2 contrapposta ad una nuova mafia, sanguinaria al punto da uccidere donne e bambini, e priva di regole tanto da contravvenire all’antico e rispettato codice d’onore, e da diventare produttrice e spacciatrice di stupefacenti.3

Va dunque rilanciata e consolidata l’azione di contrasto della mafia a livello culturale: per farlo con efficacia è indispensabile evitare il ricorso ad una didattica fondata sulle emozioni, qual è stata talvolta quella utilizzata dopo le stragi del 1992,4 per utilizzare una didattica fondata invece su modelli interpretativi rigorosi, capaci di dar conto di tutti i fattori e della complessa rete di rapporti dai quali è nato, ha preso forza e capacità di radicamento, e continua ad alimentarsi il fenomeno mafioso.

Io vorrei proporre di utilizzare come modello interpretativo l’ipotesi definitoria proposta da U. Santino in numerosi scritti, ipotesi che ha il pregio appunto di prendere in considerazione tutte le variabili in gioco e di consentire di coglierne le possibili relazioni.

Il fenomeno mafioso è un sistema di violenza e illegalità finalizzato all’accumulazione del capitale e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale.5

L’utilità didattica di questa ipotesi è evidente.

La si può verificare collocandola su un asse diacronico: e in questo modo riprenderà senso l’analisi, di forme ormai superate del fenomeno, pratica tutt’altro che sepolta. In altre parole, lo studio delle origini della mafia, o del suo atteggiarsi ed operare nell’Italia liberale o nel periodo immediatamente post-bellico acquisterà un significato diverso. Servirà non a fornire agli studenti informazioni ormai invecchiate su un fenomeno che si presenta oggi con tratti radicalmente diversi, e quindi è ai loro occhi irriconoscibile, ma a insegnare ai giovani a ricercare, al di là dei mutamenti indotti dal variare delle situazioni, la persistenza delle strutture profonde del fenomeno mafioso.

La si può verificare analizzando le forme della attuale presenza delle organizzazioni mafiose sul territorio: attività che servirebbe a fornire ai nostri ragazzi strumenti di interpretazione della realtà, e a restituire allo studio della storia valore, poiché essa apparirebbe uno strumento concettuale per indagare e comprendere la realtà in cui si vive.

Lo stesso studio della storia locale e di specifiche realtà territoriali, che è oggi largamente praticato, sarebbe per questa via sottratto ai cultori delle memorie erudite per diventare strumento di formazione della coscienza del cittadino.

Il porre l’accento sull’acquisizione e gestione di posizioni di potere da parte delle cosche, e sul consenso sociale di cui esse hanno goduto e godono, costringerebbe infine ad uscire dalle affermazioni vaghe e generiche, per affrontare invece in modo puntuale e concreto il rapporto tra le famiglie mafiose e quei gruppi ed uomini politici che hanno stretto con esse alleanze organiche e durature, indagando le ragioni delle alleanze avvenute, possibili e future.

Faccio un solo esempio concreto, riprendendo una indicazione di R. Spampinato:6 non sarebbe troppo oneroso, ricorrendo ad una documentazione che può facilmente essere acquisita, ricostruire la storia di antichi collegi elettorali, che talvolta coincidevano con il territorio di alcune famiglie mafiose, per raffrontarla con la storia di circoscrizioni elettorali recenti, in modo da verificare in concreto il rapporto tra mafia e potere politico.

Non mi soffermo qui ad elencare tutte le potenzialità insite nel modello, né a proporre ipotesi di lavoro: ogni insegnante che vorrà provarcisi ne troverà di valide e di utili. Mi limiterò dunque a qualche rapida considerazione conclusiva.

Il modello è leggibile a diversi livelli di complessità: può dunque essere proficuamente proposto alle classi di scuola elementare senza perdere nulla del suo rigore; lo si potrà affrontare in tutti i suoi molteplici aspetti nella scuola secondaria, e sottoporlo a verifica attraverso attività di laboratorio da inserire nel curriculum di storia.

Laboratorio vuol dire, ovviamente, reperimento, classificazione, indagine delle fonti e costruzione di dossier documentari da sottoporre al lavoro degli studenti.

L’esemplificazione potrebbe essere quanto mi varia e abbondante: ma non voglio suggerire agli insegnanti di storia ciò che essi sanno benissimo. Per quanto riguarda il passato, anche recente o recentissimo, indicazioni precise si trovano nelle opere di Lupo, Renda, Pezzino, Marino, dei libri che costituiscono cioè uno strumento di lavoro pressoché quotidiano per chiunque affronti questo tema.

E per la formazione dei dossier di cui parlavo, accanto ai documenti più noti e ormai facilmente reperibili, – atti giudiziari quali i resoconti delle udienze o le sentenze di numerosi processi7 di grande rilievo ormai definiti, gli atti delle inchieste parlamentari e così via –, gli articoli apparsi sulla stampa costituiscono vere miniere di informazioni perfettamente funzionali ai nostri scopi. Dalla loro lettura è infatti possibile non solo ricavare dati e notizie, ma anche schemi interpretativi del fenomeno in tempi e luoghi diversi, tali da consentire un’indagine sull’orientamento corrente e indotto nell’opinione pubblica in momenti successivi della nostra storia nazionale.

So di non aver detto in questo intervento nulla di originale spero perciò che esso sia discusso, criticato, demolito, ma comunque che risulti utile per continuare un discorso che è oggi più che mai necessario per la costruzione di una cultura antimafia.

Augusto Marinelli

 

1 La piovra fu utilizzata ripetutamente ed efficacemente dal grande Scalarini per rappresentare i tradizionali nemici del movimento operaio, quali il militarismo (Avanti!, 24/1/1913) e il clericalismo (Avanti!, 1/12/1924). Ma l’immagine della piovra era stata utilizzata proprio per la mafia negli anni Venti: cfr. le citazioni¦ contenute in C. Duggan, La mafia durante il fascismo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1986, passim.

2 Gaspare Mutolo ha spesso rievocato i tempi beati in cui la vecchia mafia "creava nei quartieri sicurezza e protezione: chi voleva lavorare non si rivolgeva all’ufficio di collocamento, ma al mafioso". La citazione in A. Garilli, Il lavoro e la mafia, Torino, Giappichelli, 1994, p. 65.

3 Nelle conversazioni con gli studenti mi è capitato frequentemente in questi anni di cogliere la persistenza di simili convinzioni: non voglio generalizzare questa mia esperienza ma sarebbe forse opportuno accertare attraverso un questionario specifico, somministrato soprattutto in aree più permeabili o più permeate dal fenomeno mafioso, la fondatezza di questa impressione.

4 L’attenuazione della memoria delle stragi fra i più giovani, e l’affievolirsi dell’impegno collettivo nella lotta alla mafia, oggi di nuovo delegata a pochi magistrati scrutati con sospetto e costantemente tenuti sotto l’accusa di "far politica", sono tra i fattori che inevitabilmente hanno provocato un declino della coscienza della pericolosità della mafia.

5 Cito da U. Santino, La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e la produzione politica della mafia, in AA.VV., La mafia, le mafie. Tra vecchi e nuovi paradigmi, a cura di G. Fiandaca e S. Costantino, Bari, Laterza, 1994, pp. 121-122.

6 Cfr. R. Spampinato, Per una storia della mafia. Interpretazioni e questioni controverse, in Storia d’Italia. Le regioni dell’Unità a oggi. La Sicilia, a cura di M. Aymard e G. Giarrizzo, Torino, Einaudi, 1987, p. 902.

7 Si tratta di materiale che ormai viene registrato e archiviato facendo ricorso alle procedure informatiche. Ottenere copia di una sentenza o della trascrizione di testimonianze rese in udienza richiede perciò pochi secondi ad una spesa irrisoria. La raccolta e la messa a disposizione di questo materiale potrebbe essere – se non lo è già – curata da una delle numerose associazioni o fondazioni antimafia nate negli ultimi anni.

 

 

(Pubblicato sul n°1/2 Anno 17  Gennaio - Agosto 2000)
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