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gli alunni detenuti svelano le carenze educative della società

"Prima di varcare la porta del carcere mi sentivo persona anche con i miei errori verso la società dietro le sbarre sono diventato fascicolo, poi numero, finita la pena tornerò fuori non più persona, non più fascicolo o numero "per la conta" ma solo buio... perché la società sa che sono un ex detenuto".

Queste parole lasciano aperta la riflessione...

Ancora oggi, nell’immaginario collettivo il carcere viene recepito e vissuto come una realtà estranea al tessuto sociale e territoriale, un problema che riguarda gli altri, essendo per ragioni storiche e complesse un sistema chiuso, rappresenta l’intervento sociale ed istituzionale più estremo in situazione di disarmonica coesistenza sociale.

Il carcere di una città, nelle mentalità ricorrente, è considerato un luogo di periferia, non sentito come parte integrante della vita sociale cittadina. Ma è proprio sulle frontiere, sui luoghi delle aree del disagio al confine con l’emarginazione e con la devianza che si misura la tenuta dei valori e gli orientamenti forti della comunità cittadina.

Invece, il carcere è parte integrante della città e riguarda tutti i cittadini, poiché esso rappresenta uno degli indicatori della civiltà di un Paese, ed un Paese che si dichiara democratico e civile ha il compito di sostenere, recuperare e riabilitare anche il cittadino che ha sbagliato .

Allora, tutti dobbiamo farci carico di sollecitare risposte educative, economiche e culturali adeguate a ridisegnare una nuova immagine del carcere e del detenuto con finalità sempre più educative che punitive, volte ad umanizzare la pena in modo da restituire alla società uomini nuovi, capaci di essere parte attiva nella crescita sociale per superare la mentalità comune che nel carcere non c’è speranza.

Per realizzare ciò occorre investire in formazione ed è la stessa Commissione Europea che indica come ruolo chiave l’istruzione e la formazione per l’uomo del terzo millennio che oggi più che mai non può fare a meno di misurarsi e confrontarsi in una società sempre più multietnica, multirazziale e multiculturale.

Questa indicazione è chiaramente esplicitata nel Libro Bianco "Verso la società cognitiva" che tra le azioni prioritarie da intraprendere a livello degli Stati membri, propone la lotta contro l’esclusione ed investimenti nella formazione al fine di preparare i cittadini europei verso una società che tenda a favorire l’educazione permanente nell’arco della vita.

Dunque l’attenzione è rivolta all’educazione degli adulti e a quella tipologia di persone che per cause diverse sono rimaste escluse dal sistema scolastico.

La scuola di tutti, per tutti e sulla misura di ciascuno, diritto all’istruzione della persona, qualunque sia il luogo in cui vive e la sua condizione, qualunque il colore della pelle, la sua religione e la sua etnia.

Condivido pienamente il valore dell’istruzione e dei percorsi educativi nelle carceri poiché in qualità di operatore scolastico presso la Casa Circondariale Ucciardone rappresento un impegno istituzionale e credo fermamente in una scuola per adulti intesa come opportunità di cambiamento, di offerta formativa di promozione umana, sociale e culturale della persona, un luogo, "uno spazio dove è possibile tornare a crescere, dove è possibile rinnovarsi, far funzionare la mente, non smettere di evolversi per non smarrirsi in una società che cambia troppo velocemente".

Questo delicato intervento didattico-pedagogico è affidato alla scuola e al docente del ruolo speciale carcerario che ha il compito di far acquisire agli alunni la prima alfabetizzazione funzionale che deve essere comprensiva sia degli aspetti strumentali che dei più ampi sviluppi delle relazioni umane, sociali ed etiche secondo il principio di alfabetizzazzione permanente.

Per tracciare le fila di un’opera educativa nell’istituto penale occorre, a mio avviso, tener presente tre versanti:

1) la crescita personale: visione e immagine del sé, livello di autostima, supporto del sé con l’altro;

2) crescita culturale orientata alla conoscenze e al dibattito dei temi contemporanei;

3) crescita sociale: assunzioni di responsabilità verso se stessi e verso gli altri nel rispetto dei valori condivisi ed accettati dalla società civile.

Quel che conta nell’opera educativa e di istruzione è dar senso e significato a ciò che si fa, come si fa, perché si fa, nel tentativo (nel nostro contesto) di ricostruire la rete dei valori dell’uomo recluso.

Così le aule scolastiche diventano luogo e opportunità formative per gli alunni, trasformate molto spesso, in laboratori di idee, di riflessione e di revisione del vissuto di ciascuno ed il docente, facilitatore dell’apprendimento, dovrà necessariamente costruire la relazione comunicativa con gli alunni, centrata sul dialogo, sulla fiducia e sul clima di classe attivo e partecipativo.

Ma chi giunge nelle nostre aule scolastiche?

Adulti analfabeti, semi-analfabeti privi di titolo di studio, giovani e meno giovani detenuti con vissuti esperenziali di poca significatività per loro, ma di grandi interrogativi per chi quotidianamente si confronta con essi; esperienze scolastiche di tipo conflittuale, insuccessi, dispersione scolastica, infanzia spesso negata e con esperienze detentive vissute dai genitori, alunni provenienti da un degrado globale, da addebitare probabilmente ad una mancata prevenzione primaria nel quartiere di appartenenza dove spesso sono stati assenti i servizi sociali; dal quartiere deprivato all’istituto penale minorile e poi al carcere il passaggio è stato inevitabile e quasi obbligato.

Diceva PHILL OCHS: mostrami il carcere, mostrami il detenuto la cui vita è andata male ed io ti mostrerò, amico mio, mille ragioni perché è solo un caso se al suo posto non ci siamo noi.

Scatta urgente la molla di investire in cultura e formazione secondo il principio di Don Milani: "chi meno può dare ha diritto a ricevere di più, chi più ha, ha il dovere di dare di più".

D’altra parte il docente che si occupa di istruzione e di educazione non può ammettere la non educabilità dell’adulto, né può accettare che una persona non abbia il desiderio di crescere e cambiare anche in situazioni estreme.

La scuola del carcere Ucciardone ci prova, consapevole dei tempi lunghi che necessitano per tracciare percorsi efficaci.

Infatti, nella Casa Circondariale Ucciardone dal 1993 vengono attivati percorsi di educazione alla legalità per la formazione di una coscienza civile o morale (in risposta alle stragi) contro la criminalità mafiosa. (L.R. 5l/80). Questo percorso educativo ha assunto caratteristiche sempre più definite e continuative negli anni scolastici successivi per accrescere, sempre più, tale esperienza educativa di valore culturale, morale e civile . Durante l’iter progettuale sono state affrontate tematiche sociali relative a concetti di comunità civile, di legge, di Stato ponendo gli alunni in situazione problematica sulla necessità e bisogno di regole nella vita collettiva con particolare attenzione alla lettura di alcuni articoli della Costituzione. Ad oggi, si rileva che il pluriennale percorso di educazione alla legalità ha comportato la modifica di taluni comportamenti ed atteggiamenti degli alunni anche all’interno della stessa struttura, questo dato è verificabile avendo osservato attraverso verifiche in itinere il superamento di pregiudizi e di stereotipi che hanno rimosso resistenze mentali e culturali.

Il progetto assume una valenza fortemente educativa ed impegnativa che ha come finalità di far prendere coscienza dell’essere cittadini, dell’essere componenti di una società, dell’essere e sentirsi corresponsabili delle sorti e delle scelte comuni; l’obiettivo di fondo è dunque sensibilizzare sempre più le coscienze dei nostri alunni reclusi al fine di fare acquisire nuovi modi di pensare, nuovi abiti mentali, più ampi orizzonti culturali, per maturare l’idea di divenire uomini veramente liberi.

Alle soglie del nuovo millennio il docente del ruolo speciale carcerario dovrà confrontarsi con detenuti europei e dovrà riuscire a far coesistere culture e religioni, modi di pensare e di vivere spesso tanto differenti tra loro proprio in relazione alla caratterizzazione multi-etnica della popolazione carceraria, emergerà una richiesta forte di interventi di alfabetizzazione per gli immigrati.

Ad una società multietnica dovrà corrispondere una scuola multietnica; il carcere, e la scuola in carcere potrebbero divenire un’interessante laboratorio in tal senso, una scuola più che consumatrice, produttiva di cultura, di cittadinanza e di etica nella sfida della convivenza interculturale.

Giovanna Badalamenti

 

 

(Pubblicato sul n°1/2 Anno 17  Gennaio - Agosto 2000)
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