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LE DIFFICOLTÀ DI INSEGNARE IL SICILIANO

Chi, nella sua esperienza didattica, ha qualche volta posto i propri alunni di fronte ad un testo siciliano scritto, avrà sicuramente notato la difficoltà o l’imbarazzo con cui i ragazzi, anche quelli fortemente dialettofoni, si sono cimentati a leggere, a pronunciare e anche a decodificare il testo stesso.

Senza entrare nel campo strettamente filologico delle scuole di pensiero sulla trascrizione del dialetto siciliano e le conseguenti difficoltà di lettura che ne possono derivare penso che la spiegazione sia a ricondursi anche ad un altro aspetto da non sottovalutare: il testo scritto, nella scuola, è rivestito da una sorta di ‘sacralità’ data proprio dall’oggettivizzazione delle parole, anzi dei singoli suoni in caratteri di stampa e questa ‘sacralità’, specialmente nella mente dei nostri alunni, non può essere quindi ricondotta ad una lingua che è stata socialmente connotata con accezione negativa, osteggiata ferocemente nell’uso quotidiano scolastico perché ‘fuori dalle regole’ e negata in tutte le rappresentazioni dei media, tranne che per alcuni aspetti satirici e di conseguenza priva di valore e di dignità.

Infatti che forza ha potuto fino ad ora mettere in campo la ‘sicilianità’, la cui essenza è stata solo ricondotta, anche a livello mondiale, esclusivamente alla ‘mafiosità’?

Non a caso in Italia, in questi ultimi anni, la rivendicazione della dignità delle proprie origini viene da quelle zone del paese, che ricche e forti del proprio potere economico, affermano la propria specificità con un’arroganza che solo da tale potere deriva, indipendentemente e senza entrare nel merito, della pregnanza culturale di queste stesse origini.

Ma non si vuole qui aprire un dibattito sulle responsabilità politiche di quanto accade ed è accaduto, perché ecco che invece, all’improvviso per molti ma finalmente per pochi, la Regione Siciliana dispone sul cap. 38092 del bilancio regionale "contributi alle scuole (...) per attività integrative volte allo studio del dialetto siciliano ed all’approfondimento dei fatti linguistici, storici e culturali ad esso connessi (...)".

È il risveglio tardivo di una coscienza storica sopita o il risultato di pochi volenterosi che da anni si battono e si dibattono nel vuoto culturale che spesso caratterizza i nostri enti pubblici?

E le scuole sono pronte a questo? E gli insegnanti? Nulla è previsto per la loro formazione in un campo tanto specifico.

Dobbiamo prepararci a schiere di bambine travestite da arcadiche contadinelle che affiancate da precoci ‘compari Alfio’ ballano improbabili tarantelle?

Se la valenza culturale dei progetti presentati dalle scuole non sarà volutamente alta ed ancora più alto e severo il metro di valutazione dei progetti stessi, la banalizzazione, il folklorismo, il pittoresco esibito per realtà sono sicuramente i rischi in cui si può facilmente scivolare. Così, oltre all’ulteriore spreco di pubblico denaro, sfumerebbe la preziosa occasione di rendere patrimonio collettivo dei giovani quello che veramente il mondo e la cultura siciliana sono stati.

Ma vogliamo ancora essere ottimisti e guardare solo all’aspetto positivo: nella scuola siciliana sarà possibile ora parlare del nostro dialetto finalmente come di una ‘lingua’.

Francesca Vella

(Pubblicato sul n°3 Anno 17  Settembre - Dicembre 2000)
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