. . . .

NELL'INSEGNAMENTO DEL DIALETTO UN'ARMA CONTRO LA DISPERSIONE

Lamentano molto spesso i Colleghi di essere chiamati a lottare contro la dispersione senza avere strumenti efficaci. Intendiamoci, le statistiche confermano nettamente l’aumento delle promozioni ed il declino delle bocciature, ma veramente, a questo ed a quello, corrisponde un miglioramento del profitto scolastico? Per la verità gli operatori più avvertiti hanno da tempo chiarito che al termine "dispersione" va associato il termine "successo formativo", che richiama il vero obbiettivo di ogni azione di recupero. Ma per quanto si possa essere soddisfatti del chiarimento intercorso nel concetto, anzi proprio evidenziata da questo chiarimento, ci resta la carenza di strumenti. Come faccio a non fare disperdere l’alunno con una famiglia che mal sopporta l’istituzione scuola, che lo manda in classe solo per non ricevere a casa la visita degli sbirri, che non investe l’insegnante dell’autorità del sostituto parentale, anzi che ne svilisce la figura proponendo una valenza negativa nel rapporto tra famiglia e scuola al figliolo e trasmettendo a questi quindi antipatia od inimicizia?

Nella scuola dell’obbligo delle zone "a rischio" abbiamo chiara e cruda esperienza del rifiuto ostile di frange dell’utenza rispetto all’istituzione, anche in presenza di agevolazioni e facilitazioni: abbiamo registrato diversi casi di famiglie che non spendono nemmeno il buono libri lasciando i figli senza i testi in adozione, oppure che non acquistano i libri pur avendo la disponibilità economica e la sicurezza del rimborso. Se avete a che fare con alunni "a rischio" date un’occhiata, se ve ne sono, ai segni del tenore di vita: telefonini, orologi di marca, abbigliamento griffato dei ragazzi, ed ai segni di benessere dei genitori. Dal confronto potreste ricavare che i valori che pensate di trasmettere possiedono una gerarchia completamente diversa nel vissuto familiare dei ragazzi "a rischio". I libri, che per voi sono necessari, potrebbero essere considerati oggetti di spesa inutile dalle famiglie.

Antropologicamente vi sono due culture diverse che non riescono a trovare terreno comune.

E non c’è da stupirsi.

Nata, la cultura scolastica, "per fare gli italiani" – che non c’erano –, essa ha imposto un modello omologato, sostanzialmente riferibile alla dimensione del Centro Italia. E si incarnava intanto in un’istituzione vissuta come corpo estraneo nelle comunità antropologicamente più distanti dal modello.

Associate la lotta alla dispersione con Don Milani e la Scuola di Barbiana? Se non sapete dov’è Barbiana, significa che avete coerenza: state immaginando un non luogo, un’Idea Universale, non ne definirete le condizioni di realizzazione, ma le darete la forza e l’energia dell’Utopia.

Sapete che Barbiana si trova ad una trentina di kilometri da Firenze? Allora fatevi venire qualche dubbio perché la scuola siciliana non solo è attraversata da discriminazione sociale, ma è anche pervasa da acculturazione etnica e la vostra opera di insegnanti, per il successo formativo per tutti, è molto più difficile di quella di Don Milani.

Se a Palermo, a Catania, a Niscemi vi è un solo disperso per motivi etnico-antropologici, è quel disperso ed i suoi insegnanti che hanno ragione contro l’intera massa dei non dispersi e contro l’intero sistema antidispersione. Essi sono testimoni infatti di due culture irriducibili ed incomunicabili.

Appartengo ad una generazione che se si esprimeva a scuola in siciliano subiva un rimprovero. Oggi il divieto esplicito non vige più da nessuna parte, ma quanti insegnanti di italiano consentirebbero la scrittura in siciliano? I dialettofoni stanno scomparendo? Ma il siciliano, che io lo sappia parlare con padronanza o no, che abbia la dignità di lingua o sia solo un dialetto, pertiene alla mia identità e non mi si può svilire l’identità.

Ricordo di avere insegnato un anno a ragazzi particolarmente deprivati: si trattava di alunni interni ad un istituto religioso ammessi a frequentare la scuola pubblica assieme agli alunni che ordinariamente vi si iscrivono. Pur se alunni di scuola media i ragazzi interni erano in generale semianalfabeti, provenivano da ambienti familiari poverissimi o inesistenti, e si dimostrava impossibile coinvolgerli in qualche attività che fosse di giovamento a loro ed agli altri. Con qualche timida speranza presi a casa il testo delle poesie del Meli, un bel siciliano letterario molto distante dalla vita vissuta da quegli alunni e ...fui sconvolto dai risultati.

A leggere ed a capire il Meli i peggiori della classe erano adesso i migliori e trainavano gli altri e la graduatoria degli alunni era ora perfettamente capovolta. Può essere stato un risultato casuale e se mi ricapitasse la stessa esperienza potrei non ottenerlo più, ma l’indicazione me la tengo cara.

Capita adesso che la Regione siciliana ci dia l’occasione – il finanziamento, vista la scarsità dei fondi, lo avranno in pochi – di riportare il siciliano nelle scuole dalla porta principale.

Forse finalmente potremo trovare quel terreno comune che ci mancava nella lotta alla dispersione. Naturalmente è necessario che il siciliano non venga impostato come disciplina integrativa della serie "Chi lo vuole fare lo fa e chi non lo vuole fare fa un’altra attività o se ne sta a casa". Se fosse così perderebbe il suo carattere formativo e sarebbe paradossalmente seguito esclusivamente dagli alunni agli antipodi del ‘rischio", da quelli motivati alle attività scolastiche che dopo la seconda lingua comunitaria, l’informatica, l’aerobica, ecc., aggiungerebbero anche il siciliano. Se non è per ora possibile insegnare il siciliano in tutte le classi si può pensare di coinvolgere nella disciplina classi rigorosamente intere. Le modalità, nell’ambito dell’autonomia e della flessibilità oraria, possono essere diversissime, ma sembra un esperimento che valga la pena tentare.

Pier Franco Rizzo

(Pubblicato sul n°3 Anno 17  Settembre - Dicembre 2000)

 

. . . .