La situazione socio-economica di Vicenza nei primi
decenni del secolo XIX è piuttosto complessa; ai disagi
provocati dalle campagne napoleoniche si aggiunge la carestia
del 1815-1816. Una grande recessione è il risultato che causa
una situazione ambientale al limite del vivibile: le condizioni
igieniche carenti ed inadeguate, discriminazione tra ceto ricco
e ceto povero, soprattutto a livello giovanile, orfani,
abbandonati, traviati, accattoni, invalidi, ammalati e altri
casi limite che non si contano.
Decine di strutture assistenziali - soprattutto a
carattere religioso - tentano di ovviare a questo disagio,
riuscendovi solo in parte perché rimane irrisolto il grosso
problema riguardante la gioventù femminile, fanciulle di
famiglie povere senza istruzione ed educazione.
La parrocchia urbana di san Pietro, in Vicenza, ben
rappresenta questa situazione. Nel 1827 essa è indicata dal
vescovo, monsignor Peruzzi, a don Luca dei conti Passi di
Bergamo, venuto in città in occasione di una predicazione
quaresimale, per innestarvi la sua Pia Opera di santa Dorotea,
la quale ha come scopo l’educazione cristiana e l’assistenza
morale alle ragazze.
Sia il parroco don Orlandi sia il suo collaboratore
don Giovanni Antonio Farina accolgono l’iniziativa, anzi il
Farina stesso ne assume, con entusiasmo la direzione.
Tuttavia anche quest’opera risponde solo in parte
alle necessità: le giovani più povere e più disagiate sono
escluse e i pericoli sono molti. Il parroco confida questa sua
preoccupazione al regio intendente alle finanze di Vicenza, il
conte milanese Baldassare Porta, il quale, da sensibile uomo
religioso qual è suggerisce di realizzare in Vicenza stessa una
Scuola di Carità simile a quelle iniziate a Milano ad opera del
padre barnabita Felice De Vecchi. Compito della scuola sarà
formare una retta coscienza morale, fondamentale in ogni
convivenza, e fornire un’educazione femminile, insegnare «cioè
quelle abilità tipicamente domestiche, quella scaltrezza nei
lavori, che conviene alle persone povere costrette nella vita a
guadagnarsi il pane con il sudore della fronte».
Il 1 febbraio 1828 la scuola, o meglio la casa di
educazione apre i battenti a dodici ragazzine, le più disagiate
della parrocchia.
L’opera è sostenuta dalla parrocchia, con il
Porta in prima persona. Ad esso si affiancano dodici persone per
aiutarlo, tra esse il padre Angelico Carlesso, minore riformato.
Il conte Porta nel frattempo, ottenuta la pensione, ritorna a
Monza, ma non abbandona l’opera: attraverso una fitta
corrispondenza veglia su di essa e consiglia come muoversi. A
lui si deve l’allestimento di una credenza «per la devozione
al Cuor di Gesù e di Maria, a san Carlo, a sant’Ignazio, a
san Francesco Xaverio, scelti come protettori speciali della
scuola».
Ma nere nubi si addensano all’orizzonte.
Una discordia tra le dodici persone chiamate a
collaborare con padre Carlesso prima, le dimissioni del parroco
(1830) poi, l’apoplessia che colpisce il Carlesso stesso
minano l’opera nelle sue profondità.
Per ovviare a queste difficoltà s’interpella –
chiedendone la collaborazione – don Antonio Farina, già
distintosi come direttore della Pia Opera di santa Dorotea. Suo
compito è ristrutturare la scuola, anzi rifondarla. Il 1
ottobre 1831 nasce una nuova istituzione, figlia della Scuola di
Carità e della pia opera di santa Dorotea. Essa ospita
ventiquattro ragazzine. Purtroppo a causa delle controversie con
la prima maestra, Virginia Rigobello, manca il denaro e gran
parte della mobilia per la nuova casa. Essendo opera
assistenziale, economicamente è sostenuta dai contributi di chi
la regge e conta sulle elargizioni di alcune persone generose.
Nonostante le difficoltà iniziali, la scuola ha un
buon sviluppo. Vista la buona accoglienza della pubblica
opinione, i “fondatori”, il 9 ottobre 1833, decidono di
chiedere l’approvazione della regia delegazione provinciale
che viene concessa il 27 febbraio 1834, testimonianza di un
lavoro seriamente svolto.
Il Farina pensa con speranza all’opera e al suo
avvenire, scrive: «Torno alla mia povera casa di educazione
speriamo assai bene dalla cooperazione del nuovo parroco. A dir
vero non ha, né può avere ingerenza per niente dentro la Casa,
ma la pia opera di Santa Dorotea dipende tutta da lui. E sta in
lui il continuarla in quel lustro che si trova, oppure
deprimerla […] staremo a vedere».
Qualche tempo dopo un nuovo flagello, da tutti
temuto, che già imperversava in varie regioni, minaccia
Vicenza: il colera. Di fronte a questa ulteriore prova, la
fiducia sembra vacillare: «Ci sono tante cattiverie e tanto mal
costume, e ciò che è peggio tanta inimicizia verso le persone
che fanno del bene che temo assai che il Signore e la Nostra
Madre del Monte Berico ormai siano stanchi né più ella si
voglia interporre per noi».
Questa sfiducia davanti al contagio, lascerà il
posto all’amore.
La povera casa apre le porte, accollandosi
interamente tutte le spese, ad altre trenta povere fanciulle. Le
piene e le tracimazioni del Bacchiglione contribuiscono ad
accrescere le difficoltà ma non arrestano l’opera caritativa
della casa che ormai conta 470 fanciulle e 80 assistenti.
La giovane scuola supera con coraggio questa prova,
ma nuove se ne profilano all’orizzonte: il colera dilaga
fulmineo in città; la direttrice Redenta Olivieri è colpita da
una malattia che la costringe a letto per quaranta giorni e da
ultimo i problemi creati dalla maestra Zaccaria, sembrano
irresolubili.
Questa ultima amara esperienza «fece scattare nel
Farina l’esigenza di cambiare il personale addetto
all’educazione delle fanciulle: non più maestre stipendiate,
ma donne orientate al dono gratuito e capaci di vita comune».
Dal sogno alla realtà il passo non è semplice. Ci
sono regole da stendere, riunire donne disposte a viverle, e
soprattutto necessita l’approvazione dell’autorità
vescovile.
Il Farina scrive in brevissimo tempo le regole,
attingendo da quelle, già sperimentate, delle Figlie della
Carità Canossiana di Verona, della Provvidenza di Genova e da
qualche altra Casa di Carità, tra le più conosciute in Italia.
Amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo
con il cuore di Dio, obbedire sul modello del Cristo crocefisso,
umiltà come disponibilità, povertà come testimonianza di
fraternità, sono le linee spirituali essenziali delle Regole.
Due “maestre” disponibili ad iniziare l’opera
già ci sono, la data pure: la ricorrenza di san Martino, manca
l’approvazione del Vescovo Cappellari. A questi il 25 ottobre
1836 viene inviato il regolamento “definitivo”, steso dopo
ripensamenti e modifiche, chiedendo che lo legga e lo approvi,
dopo averlo - se opportuno - emendato.
Dopo pochi giorni Giovanni Giuseppe Cappellari,
vescovo di Vicenza, restituisce approvando, pur riservandosi
eventuali modifiche in futuro, le Regole dell’Istituto delle
Maestre di santa Dorotea o Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di
Maria come qualcuno amava chiamarle.
L’approvazione diocesana chiude la prima fase
dell’iter burocratico di riconoscimento del giovane istituto
derivante dalla scuola di carità che avrebbe inglobato la Pia
Opera di santa Dorotea, entrambe operanti nella parrocchia di
san Pietro in Vicenza.
Necessita ora l’approvazione della Regia
Delegazione. Il primo novembre il Farina invia tale richiesta;
il due dello stesso mese informa le autorità municipali della
nuova opera invitandole a favorirla e l’otto novembre 1836
chiede l’approvazione all’imperatrice stessa.
Attendendo con fiducia la risposta, si muovono i
primi passi. L’undici novembre 1836 è licenziata la Zaccaria
e al suo posto subentra Redenta Olivieri diventando direttrice
dell’Istituto, a lei si uniscono due giovani vicentine: Anna
Veronese e Domenica Canova. Un mese dopo l’undici dicembre,
emettono voti privati assumendo i nomi di Dorotea e di Eletta
Pia. L’Istituto delle Maestre di santa Dorotea è fondato.
Ma per l’importante riconoscimento giuridico
manca la tanto attesa approvazione imperiale, che arriva
l’otto novembre 1837.
Ora si può chiedere quella pontificia, che, per
varie cause, sarà più difficile. Gregorio XVI il primo marzo
1839 con motu proprio rilascia solo il decreto di massima lode.
L’Istituto
nel frattempo inizia ad espandersi: oltre al campo
dell’educazione si apre ad altri settori dove necessita
aiutare il prossimo: lazzaretti, ospedali e case di riposo
vedranno l’agire caritatevole di donne sempre pronte a
chinarsi sulle necessità del prossimo, e a posare sui poveri
sfortunati uno sguardo di misericordia.
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