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The Band

Music From Big Pink - cd Capitol - 1968

Nel '68 avevano sulle spalle lunghi anni di vita on the road, oltre la metà spesi in locali infimi e puzzolenti, e non tra folle osannanti; non avevano ancora fatto un disco proprio, solo qualche 45 giri introvabile, od addirittura mai pubblicato.

L'uscita di Big Pink fu un evento, anche se ad accorgersene fu solo una parte della gioventù americana.
Non era un album di rock, ma qualcosa di più complesso, una miscela di suoni che pescavano nel blues, nel country, persino nel bluegrass. Qualcosa di mai sentito prima. Al Kooper, scrivendone la recensione, ci vide persino i Beach Boys.
The Weigth fu ripreso da Aretha Franklin e divenne un capolavoro della sweet soul music.

Il gruppo era composto da 4 canadesi ed un batterista dell'Arkansas che sapeva cantare le emozioni forti come pochi: Rick Danko, il bassista, era una bella voce ed anche discreto violinista; Jaime R. Robertson (più noto come Robbie) suonava la chitarra e cantò sempre piuttosto poco; Richard Manuel strimpellava il pianoforte e sembrava un Percy Sledge operato alle tonsille, Garth Hudson era impegnato all'organo e talvolta alla fisarmonica. Il batterista dell'Arkansas era Levon Helm, capace di suonare anche banjo e mandolino.

Manuel e Danko sono già passati a miglior vita e, soprattutto il primo, suicida, ci lascia in eredità un'amarezza profonda.
Accadde quando aveva 42 anni. Secondo Greil Marcus, non ne poteva più delle umiliazioni dovute al tornare a suonare on the road, nei bordelli e nei locali peggio frequentati, anche se fu in quel genere di posti che The Band si era svezzata, quando ancora non aveva un nome, o si faceva chiamare The Hawks, e poi The Crackers, o persino Canadian Squires.
Richard Manuel non sapeva far altro che suonare. Non poteva cambiar vita e mestiere. Si impiccò per disperazione. Era stanco di fare il giullare per gente del cazzo, che non capiva la sua musica, e voleva solo country della peggior specie. Da anni era anche vuoto, privo d'ispirazione. Non aveva più composto canzoni perchè sempre in bambola.

Il gruppo è entrato nel mito della musica americana, ed è tra i pochi veramente meritevole di starci. Divenne oggetto di culto, più che di successo; uno dei primi a non farcela del tutto.
Fu solo grazie ad un film, The Last Waltz, che molti andavano a vedere perchè il regista era Scorsese, o perchè vi apparivano Eric Clapton, Neil Young, Bob Dylan e Van Morrison, che conobbe sprazzi di notorietà anche dalle nostre parti.
Pochi sapevano che era quasi lo stesso gruppo che aveva accompagnato Bob Dylan nelle tourneé del '65 e del '66 e pochissimi ricordavano che The Weight era quel bellissimo pezzo che impreziosiva la colonna sonora di Easy Rider.
Io giunsi all'appuntamento con circa dieci anni di ritardo, dopo aver visto L'ultimo Valzer, e non averlo digerito nemmeno subito, ma solo dopo un'overdose del triplo Lp, comprato sfascindo tutti i salvadanai di cui disponevo.
Credevo che The Band sarebbe esistita ancora. Ignoravo che era finita già da qualche anno.

La musica di Big Pink non è tra le più facili, tra le più rumorose o sorprendenti. In epoca di psichedelia e suoni duri, di underground e Jim Morrison, viaggiava da tutt'altra parte.
Era una miscela di passato e presente che non aveva uguali, perchè sembrava essere l'America stessa, qualcosa che non era mai venuto alla luce prima.
Country ma non bifolca, bianca ma non razzista, attorcigliata alle sue radici, ma non patriottica al punto da applaudire i marines nel Vietnam o il settimo cavalleria a Little Big Horn.
Fece nascere una sorta di speranza, che durò molto poco ed evaporò più in fretta ancora. Ma fu bellissimo nutrirsi di essa: per un po' credemmo che dall'America sarebbe finalmente arrivata una buona notizia.
Era un'idea, un sound, un modo di cantare, un'evocazione di spettri, ma non la realtà. Corvo Rosso non avrai il mio scalpo, Il texano con gli occhi di ghiaccio, Piccolo Grande Uomo, Soldato Blu potrebbero essere i film più congeniali a raccontare la stessa storia narrata da The Band: sconfitte brucianti e vittorie apparenti, fiumi di sangue, sudore e lacrime; eroi vinti dalla vita e, più ancora, da una devastante autoironia.

Che tutto ciò sia venuto a galla per merito di quattro canadesi (più quello dell'Arkansas) suscita non poca curiosità. Qualcuno sostiene che gli americani, salvo qualche eccezione, non sanno capire sé stessi, o meglio, non al punto da capirsi veramente.
Teoria che vale quanto l'altra, secondo la quale solo uno del posto può comprendere i problemi di un tizio del posto.
Per evitare le sciocchezze e le banalità, sarebbe bene astenersi da questo tipo di pensieri, ma il giornalista musicale ama gettarsi a corpo morto su argomenti così intriganti, forse per vedere l'effetto che fa.

In realtà i 4 canadesi divennero americani con anni a suonare ovunque, visitando tutte le cantine, i bordelli, i night clubs più scalcinati. Un misto di avventura ed esplorazione, un divertimento a volte intriso di malinconia e frustrazione.
Divennero americani conoscendo Bob Dylan ed accompagnandolo nei concerti più contestati di tutta la storia della musica.
Il pubblico del folk e della protesta politica non gradiva la svolta elettrica di Dylan; quello rock non ha mai considerato Dylan, e nemmeno la Band, come qualcosa di proprio.
Sicchè, il risultato fu ed è assai semplice: la Band non è amata dai rokketari e non piace ai cultori della canzone d'autore: ha un seguito di appassionati solo tra chi adora il soul, il blues ed il country più ostico e meno commerciale. E parlare di appassionati è eufemistico, perchè chi ama la Band, si strugge e l'ascolta con le lacrime agli occhi e gli accendini accesi anche in casa.

Music From Big Pink fu il seguito naturale dei Basements Tapes elaborati con Dylan nel ritiro di Woodstock, poco dopo il famoso incidente motociclistico che, paradossalmente, gli salvò la vita e la carriera, tenendolo lontano dal palcoscenico e dagli stress per lungo tempo.
Ma Dylan non c'era più: presente solo come autore di I Shall Be Released, This Wheel's On Fire (con musica di Danko) e la bellissima Tears Of Rage, musicata da Richard Manuel.
Lasciata sola, The Band crebbe, anzi, esplose, anche a livello compositivo.
Da Dylan aveva imparato quel tanto che bastava a cantare in modo del tutto diverso dai gruppi del momento.
Era un collettivo dove non c'era un leader, ma cinque musicisti di uguale valore, con un Garth Hudson, l'orsone dietro alle tastiere, che aveva una preparazione classica in più, ma non il grado di comandante ed il carisma del direttore d'orchestra.
Più tardi Robertson assunse il controllo della baracca, ma accadde quando il viaggio era ormai alla frutta ed il gruppo era esausto.

Greil Marcus racconta che il giorno dopo l'uscita del disco la gente fischiettava per le strade il motivo di The Weight: la Band era diventata un modo di parlare e, perfino, di camminare.
Pensando ad Easy Rider, ci credo.

In realtà il disco non arrivò mai ai vertici delle classifiche, né, oggettivamente, lo poteva, anche se rimase nell'anticamera, ancorandosi intorno al 30 posto, per oltre un anno. Vendette moltissimo, ma mai abbastanza per sfondare le porte del cielo.
Finì in tutte le comuni hippie, nei centri sociali d'America, animò le comunità studentesche e colpì al cuore un gran numero di intellettuali, ma non le masse, non quelle bianche, e, men che meno, quelle nere.
The Weight, di Robbie Robertson, era effettivamente il centro del disco, il suo punto di illuminazione, ma sarebbe fare un torto agli altri brani insistervi troppo. Basta sintonizzarsi su We Can Talk per capire la complessità e la bellezza di questo disco, per non parlare di Long Black Veil, brano in cui si manifesta tutta la capacità della Band di strappare lacrime di commozione anche ad un tagliagole messicano con la faccia di Gian Maria Volontè .

Greil Marcus sostenne che i brani di Dylan sono come i cavoli a merenda. I Shall Be Released e This Wheel's On Fire avrebbero poco a che fare con la trama del disco e persino col suo sound particolare.
Giudizio curioso, che non tiene conto, come vedremo, che questi pezzi erano amati dai membri della Band persino più degli altri. Furono suonati sempre nei concerti: erano un must di cui andavano orgogliosi.
Credo che Marcus, scrittore di rock profondo come pochi, abbia un difetto: a volte si innamora delle proprie idee e le sovrappone alle cose. Fortunatamente ha l'onestà per ammetterlo: qualcosa di importante è stato tagliato fuori.
In questo caso egli interpretò Big Pink come la ricerca di un trovatore e l'esposizione di una voce narrante. Giusto, ma non così totalizzante. La creazione fu plurale, i punti di vista diversi. Non c'è solo una storia alle spalle, ma anche un presente. Quel che più conta, oggi, è che ancora presente.

This Wheel's On Fire, di Dylan e Rick Danko, rappresenta un punto di torsione. Lo troviamo come penultimo brano e non poteva avere altra collocazione, dovendo precedere I Shall Be Released. Molti hanno scritto che l'ispirazione venne a Dylan da King Lear di Shakespeare:
Thou art a soul in bliss
But I am bound
Upon a wheel of fire
Dylan aveva voluto farne una specie di mea culpa: le passate trasgressioni sono la causa dei miei mali. La strada su cui rotola la ruota fiammeggiante è quella degli eccessi, della lussuria sfrenata, della droga.
Ma, come osserva acutamente Eliane Morryson, Rimbaud aveva evidenziato che è la sola via che conduce al palazzo della saggezza. Forse fu Blake a dirlo più chiaramente.
In realtà, non occorre drogarsi. o fare del sesso sfrenato, per capire: basta osservare chi si buca, o chi esce da un bordello o da un'orgia.

L'unica cosa certa è che questa canzone, dal testo semplice, fu amata dalla Band in modo viscerale. Erano tutti sulla ruota di fuoco.
If your mem'ry serves you well,
We were goin' to meet again and wait,
So I'm goin' to unpack all my things
And sit before it gets too late.
No man alive will come to you
With another tale to tell,
But you know that we shall meet again
If your mem'ry serves you well.
This wheel's on fire,
Rolling down the road,
Best notify my next of kin,
This wheel shall explode!
Anche I Shall Be Released fu un brano in cui The Band si riconobbe totalmente.
Il testo è semplice e chiaro: io sarò liberato. Se cantata dopo This Wheel's, come spesso capitava, diventava un messaggio di speranza, e persino di salvezza. Any day now, any day now, I shall be released.
Canzone da boy-scout?
Messaggi come questi possono anche apparire ridicoli, oggidì, almeno in Italia. Probabilmente l'America puritana e calvinista ne ha ancora bisogno. Ne ha bisogno il tossicodipendente, l'alcoolizzato, l'intellettuale più nichilista.
Ne ha bisogno persino chi è riuscito ad ammucchiare abbastanza soldi da pensare di essere arrivato.
Lo sanno tutti: ci sono canzoni che ti entrano in circolo, ti modificano il tasso di colesterolo e gli orizzonti della percezione, ben più di qualche pasticca all'acido
Quando, alla fine del film The Last Waltz, li vedi , da Neil Young a Joni Mitchell, dallo stesso Dylan a Van Morrison, da Ron Wood a Ringo Starr, tutti assieme sul palco, cantare questa canzone, capisci cosa realmente significa.

Vista la fine della storia, andiamo all'inizio. Tears Of Rage fu un altro brano epocale.
Era un canto amaro sulle disillusioni e sulle promesse non mantenute, su come l'avarizia avesse avvelenato tutti i rapporti sociali ed umani.
I reduci dal Vietnam vi si riconobbero immediatamente: mutilati nel fisico o nello spirito, quando tornavano a casa trovavano incomprensione ed ingratitudine. Avevano combattuto la guerra più sporca di sempre, la più velenosa, la più perfida ed assurda, e nessuno, davvero nessuno, mostrò per loro qualche forma di comprensione.
C'era chi aveva lasciato la fidanzata, ed ora la trovava mamma di tanti bambini, sposata a Mr. Heep, il droghiere.
C'era chi aveva perso mamma e papà. C'era chi non poteva che trascinarsi su una sedia a rotelle, novello Lord Chatterley. C'era chi piangeva di rabbia prima di impazzire, come i protagonisti del Cacciatore di Cimino.
But, oh, what kind of love is this
Which goes from bad to worse?
Tears of rage, tears of grief,
Must I always be the thief?
Come to me now, you know
We're so low
And life is brief.

To Kingdom Come segue Tears Of Rage.
E' un brano importante ed epico. Incomincia da un antenato che dice tristemente qualcosa al suo unico figlio. Falsi testimoni diffondono notizie e noi non ci possiamo fare niente.
Il tempo dirà qualcosa, ma alla fine.
Per intanto sono qui: incatramato e coperto di piume, cardi e spine - uno o l'altro. Avvertì con gentilezza.
L'immagine biblico del vitello d'oro nasconde qualcosaltro che sembra assai difficile da decifrare.
Il tempo dirà se sei caduto in basso.
Tutto questo ha un senso se si connette alle devastanti atmosfere di Tears Og Rage, al piangere di rabbia.
In A Station è una delle più belle canzoni di Manuel. Un pianto di bambini, che suona sempre uguale nelle strade, serve a ricordarsi della domanda: potrai mai conoscermi, potrai mai sapere la ragione per cui sono vivo?
Un sospiro, poi una risposta che non è una risposta: la vita sembra così piccola (e breve) perchè noi si sia in grado di dare. Fino a precipitare nel finale: l'amore sembra così piccolo perchè noi si sia in grado di dare.

E' inutile che mi dilunghi sulle altre canzoni.
Ognuno può reperire i testi al seguente indirizzo: www.lyricscafe.com ; sarebbe bello che qualcuno li traducesse integralmente.

We shall be released!

Ps: un'anima gentile ha tradotto:
Tears Of Rage
The Weight
Caledonia Mission


I libri di cui si parla qui sono:
Mystery Train - Visioni d'America nel rock - di Greil Marcus - Editori Riuniti.
La storia dietro ogni canzone di Bob Dylan (parte prima - gli anni sessanta) - di Elaine Moryson - Tarabooks


gm - 12 novembre 2002