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    Daniele Scaglione "Centro permanenza temporanea vista stadio" Edizione e/o
     
     Recensione di   Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
        
    Può sembrare strano l’accostamento del centro di permanenza temporanea allo stadio e se a qualcuno venisse il dubbio che non di stadio sportivo si tratti ma di altro, è la copertina a chiarire che è proprio un campo di calcio, con le porte, le linee laterali e di centrocampo e anche un pallone. Ma è un campo circondato da una rete di filo spinato quello che vediamo e che introduce un libro in cui tutto si incrocia in modo intelligente e incredibile: le persone, i ruoli, le nazionalità, i sentimenti, le storie, i dolori e le passioni. 
    Sharmin è partita dall’Iran, assieme alla madre, per raggiungere il padre, docente universitario, che a Lione sta aspettando l’esito della sua richiesta di asilo politico. Ha mille idee e sogni, che ogni giorno si scontrano con una realtà ben diversa da quella immaginata. L’Europa teoricamente non ha più confini tra uno stato e l’altro ma la mancanza dei visti sui loro passaporti impedisce il passaggio in Francia. Devono rimanere a Torino, in un CPT, un Centro permanenza temporaneo, uno di quei luoghi nati da una politica che l’autore ha definito – nella presentazione a Torino all’inizio di marzo – frutto di un misto di violenza, connivenza e indifferenza verso gli immigrati a cui non si sa dare risposte, una politica che sa soltanto rinchiudere, respingere, senza tener conto delle situazioni, senza ricordare tutti gli italiani che in passato sono emigrati in cerca di un posto migliore in cui vivere e far crescere i propri figli. 
    Nel centro si vive male, c’è chi tenta di fuggire e sarà ripreso e malmenato, c’è un direttore che non conosce nessuna lingua straniera, ma c’è anche chi gioca a calcio. Male, perché “qua dentro non ci sono brasiliani, argentini e neanche uruguaiani [...] solo maruchin, africani e curdi. Tutta gente che non ha esattamente il calcio nel sangue”. Quel calcio che, invece, Sharmin adora, soprattutto dopo quella domenica del giugno ’98, durante i Mondiali francesi, in cui l’Iran riuscì a battere gli Stati Uniti, scatenando una festa incredibile che coinvolse donne e uomini, bambini e adulti. Guardava il calcio italiano in televisione e sognava di vedere Totti, poi ha incontrato il Toro, la sua storia, i suoi tifosi. 
    E ha incontrato Lucia e Anna, le due donne che permetteranno a Sharmin e a sua madre di raggiungere Lione, la Francia, quello stadio in cui l’Iran ha vinto. Anna, medica e amica preziosa, e Lucia, avvocata e argentina cresciuta a Napoli, un’altra storia di emigrazione, questa volta tutt’altro che dimenticata o rimossa. 
    I temi più difficili e le situazioni dolorose, le strumentalizzazioni e l’ottica dell’emergenza si incrociano con quelli più belli, come la musica e il gioco, anche se lo stadio rimane sì simbolo di sport e gioia ma anche triste ricordo di luoghi di concentramento, di torture e di morte. 
    Daniele Scaglione, che è stato presidente di Amnesty International Italia ed è direttore della comunicazione di Action Aid oltre che tifoso granata, conosce in profondità questi temi, quelli tristi e quelli gioiosi, ed è riuscito nella difficile impresa di farci conoscere un mondo difficile e, allo stesso tempo, di mettere in risalto il valore dello sport e della solidarietà tra donne. 
      
    gabriella bona 
           
      
 
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