Marco Gregoretti "Campioni
di niente" Edizione Selene
AA. VV "Il corpo e il sangue
d'Italia" minimunfax
Recensione di
Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Come possiamo sperare di superare
il problema del doping nello sport quando scopriamo che il Comitato Olimpico
Italiano delibera all’unanimità l’acquisto di macchinari di cui
lo stesso CONI proibisce l’utilizzo? Oppure quando veniamo a sapere che
della Commissione antidoping ha fatto a lungo parte Francesco Conconi,
che per anni ha “seguito”, somministrando prodotti illegali e pericolosi
per la salute, gli atleti di vertice del nostro paese? O che spesso controllori
e controllati sono le stesse persone, che gli atleti vengono avvertiti
con giorni di anticipo dei “controlli a sorpresa”? O che mentre poliziotti,
carabinieri e finanzieri tentano con ogni mezzo di stroncare il mercato
illegale di sostanze dopanti, diventato uno dei settori più redditizi
della mafia, alcuni loro compagni, con la stessa divisa, vincono medaglie
sporche di epo, di anabolizzanti, di ormone della crescita?
Eppure è proprio un libro
come “Campioni di niente” che, mentre sembra escludere una possibilità
di uscita, ci ridà speranza. Il coraggio di parlarne ancora, dopo
i deludenti risultati delle campagne antidoping di questi anni, non può
che portarci a pensare che forse qualcosa può cambiare, che dobbiamo
continuare a crederci. Ci sono giornalisti, esperti, magistrati che questo
coraggio riescono ancora a trovarlo, sanno che pioveranno querele, sanno
che i tempi della giustizia saranno talmente lunghi che i processi si concluderanno
per decorrenza dei termini, come è successo per il processo alla
Juventus, ma continuano. Non solo: libri come quello di Gregoretti, sui
“miti in provetta” aiutano a conoscere, a evitare tranelli continui tra
color che amano lo sport pulito, ai genitori che di fronte alle parole
di un allenatore, di un preparatore, di un medico, non sanno dire no. Nel
libro c’è una spiegazione chiara e tragica di quello che può
succedere.
Di doping si parla anche in “Il
corpo e il sangue d’Italia”, otto testi che ci portano a conoscere un paese
nascosto, guardandolo con attenzione e orrore. “L’idea di questo libro
– scrive il curatore Christian Raimo - nasce da un’irritazione della
pelle [...] Mi dà fastidio vedere il mio paese, il posto in cui
vivo, raccontato, iper-raccontato, straindigato, strarappresentato, senza
che questo mi porti un dato di conoscenza reale né sia una provocazione
etica. Come se l’indagine, l’inchiesta fosse una forma di turismo della
realtà. Foto d’impatto e begli aggettivi [...] Gli otto autori si
sono trovati a condividere il desiderio di raccontare un pezzo di Italia
come se questo fosse un gesto che invece ‘avessero a cuore’, un atto squisitamente
letterario e per questo profondamente politico”.
Il doping raccontato da Piero Sorrentino
è quello delle palestre, dove “c’è quasi sempre un adolescente
complessato sotto i grumi muscolari che si ammassano sopra i corpi da palestra”,
fatti di sostanze che minano la salute, che incrementano il mercato illegale,
che creano “piccole chiese deviate”, che coinvolgono medici, farmacisti,
docenti universitari e che uccidono.
È Taranto il tema dei testi
di Alessandro Leogrande e di Ornella Bellucci, una città distrutta
nonostante le sue potenzialità: quel Mare Piccolo unico al mondo
e che potrebbe renderla ricca. Invece si ritrova in vetta alla lista delle
città italiane più inquinate e più pericolose per
i morti e i feriti sul lavoro e per le malattie professionali. Si è
trovata governata da un sindaco, Giancarlo Cito, ex picchiatore fascista,
re dell’edilizia e titolare di una tv privata, condannato per concorso
esterno in associazione mafiosa.
“Il microcredito dello spreco” è
la definizione che Gianluigi Ricuperati dà a quella forma di piccoli
e medi prestiti, ormai offerti da tutti i giornali e le tv, che permettono
piccole spese, un piccolo spreco che finisce per rovinare vite intere,
quello che sta portando gli Stati uniti alla recessione, che ha creato
una rete di nuovi poveri.
Antonio Pascale ci mette, con parole
crude e dure, di fronte a spettacoli ipocriti e paternalistici, ideati
per spremere qualche lacrima dopo le quali sentirsi più buoni per
essersi commossi davanti a bambini che muoiono di fame, a popolazioni devastate
dalla guerra. Immagini e parole realizzate con la sensibilità di
chi sta bene e che rischiano di portare ulteriore danno a chi già
sta male. “Disoccupatevi di noi”, chiede Mustafà che propone: “un
patto di disoccupazione creativa”. Non c’è bisogno delle immagini,
spesso la realtà si rappresenta meglio evitandole, come “la fotografa
palermitana che si rifiutò di fotografare quello che restava del
corpo di Borsellino dopo l’esplosione della bomba”.
Silvia Dai Pra’ ci porta a conoscere
da vicino la vita di tante donne, quelle di cui non si parla mai, quelle
con mille rimpianti, che trascinano la vita tra famiglia e lavori precari,
mamme simbolo e donne che un figlio non se lo possono permettere e “quella
tristezza [...] che viene quando ti rendi conto che tutti parlano di certe
questioni come se fossero problemi irrisolvibili”.
Stefano Liberti ha osservato la
vita degli immigrati musulmani, accompagnato da Sami, imam autodidatta
tra preghiere e i mille problemi che ogni giorno gli immigrati devono affrontare.
La ‘ndrangheta di quella zona tra
Vibo Valentia e Lamezia Terme, una “tra le meno raccontate” nel racconto
di Alberto Nerazzini: il dolore, la morte, i ragazzini uccisi e fatti sparire,
i boss e la logica mafiosa che tutto avvolge, dando la sensazione che da
quel mondo sia impossibile uscire. Forse soltanto finché nessuno
ha il coraggio di raccontarlo.
Un libro che racconta temi importanti,
che scuote e “il lettore alla fine – scrive ancora Raimo – può scegliere,
se prendere questo volume come un prodotto di consumo culturale e metterlo
nel suo scaffale alla voce ‘impegno civile’ o fare quello che hanno fatto
questi otto: lasciare da parte la propria diffidenza e mettersi davvero
in gioco”.
gabriella bona
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