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    Anne Kreamer "Io non mi tingo" Edizione Cairo
     
     Recensione di   Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
      
      
    Una splendida chioma di capelli brizzolati, lucidi e allegramente esibiti, ci accoglie sulla copertina del libro di Anne Kreamer, giornalista newyorkese e autrice del libro “Io non mi tingo”. 
    “Nell’ottobre del 2004 – scrive l’autrice – la mia amica Maira Kalman, l’illustratrice, mi ha spedito alcune fotografie di un’allegra gita estiva […] e una in particolare, che ritraeva la mia figlia sedicenne, Aki e me, mi ha davvero cambiato la vita”. Tra i capelli biondi della figlia e quelli grigi di Aki (la scrittrice e amica Akiko Busch), Kreamer si è vista come “una presenza spettrale, che galleggiava in una terra di nessuno, né giovane né vecchia”. È nata così la decisione di lasciar crescere i capelli del loro colore naturale, abbandonando anni di tinte e una finzione che aveva sempre creduto normale per il semplice fatto che così fan tutte, in un eroico tentativo di fermare gli anni, di non sembrare vecchia, di non avere un aria nonnesca, di non far pensare a chi la circonda che si è arresa al passare degli anni e subisce senza rimedio la vecchiaia che arriva. 
    Nella nostra civiltà dell’immagine, dove si deve sempre apparire giovani e sani, senza rughe e capelli bianchi, perché così vuole il pubblico, ma soprattutto i produttori di trucchi – cosmetici, tinte, chirurgia plastica – non è, però, facile affrontare una nuova vita, senza colori tra i capelli. Non è stato facile neanche per Kreamer ma il risultato delle sue incertezze serve oggi a dare una nuova sicurezza a chi ha deciso che l’invecchiamento è qualche cosa di normale, di naturale, e che, se si vede, bisogna trovargli una giusta dimensione ed esserne, anzi, orgogliosi e sicuri. 
    L’autrice, spaventata nei primi tempi dalla sua stessa decisione, ha contattato, intervistato, chiesto consiglio a donne nel mondo dello spettacolo, della cultura, del lavoro, a consulenti d’immagine e di chirurgia plastica, scoprendo che quella frenesia di maschere antietà non era così universalmente condivisa. Il bombardamento pubblicitario può essere aggirato e ignorato quando ci si rende conto che l’immagine di una donna matura può essere rassicurante, allegra, giovane e, perché no, anche sexy. 
    L’autrice cita Betty Friedam che, ne “L’età da inventare” scriveva che “un’accettazione piena, realistica e attiva del proprio invecchiamento […] sembra una chiave importante per un invecchiamento vitale, perfino per la longevità” e che “coloro che sono più tenacemente attaccati a certi valori della loro giovinezza sono i candidati più probabili al crollo psichico quando invecchiano”. 
    Perché si può barare fino a un certo punto, non per sempre, e forse il tempo e i soldi investiti nel mascherare l’invecchiamento possono essere usati per altre cose, più piacevoli e vive. 
      
    gabriella bona 
           
      
 
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