Ungulani Ba ka khosa "La
gabbia vuota" Edizioni Lavoro
Recensione di
Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Sono bambini, hanno dieci, undici,
dodici anni, vivono in un campo, lontani dalle famiglie a cui sono stati
rapiti, soffrono la fame, fanno la guerra, uccidono, mutilano, violentano,
rubano e rapiscono altri bambini come loro: Ungulani Ba Ka Khosa racconta,
nel romanzo “La gabbia vuota”, il dramma della guerra civile che, in Mozambico,
è seguita, dal 1975 al 1990, alla lotta di liberazione dal Portogallo
e la tragedia dei bambini-soldato costretti a vivere nei campi dove manca
tutto, spesso anche il cibo, ma non la prepotenza, la violenza, l’odio.
“Il comandante – scrive l’autore
– riuniva i giovani e, per un’ora e mezza, li insultava con le parole più
nefande che il lessico umano possa prevedere. Era il momento in cui il
comandante li incitava a seminare la morte”, dove la guerra era diventata
“qualcosa di organico. Circolava nel corpo con la stessa naturalezza con
cui il sangue scorreva nelle loro vene”.
“Furono circa 3mila i minori rapiti
dalle milizie della Renamo e arruolati nelle loro file, addestrati sommariamente
e istigati alla violenza a forza di martellanti parole d’ordine e soprattutto
di droghe”, scrive il traduttore e curatore del libro Vincenzo Barca.
In questo mondo di orrore soltanto
Penete riesce, in qualche modo, a tentare di opporsi alla violenza in cui
è stato scaraventato, grazie alla sua gabbia vuota, un feticcio,
un ricordo di quando sognava di diventare pastore di uccelli, il segno
di un’infanzia tradita e distrutta.
Una gabbia che è stata abitata,
negli anni in cui ancora viveva in famiglia e poteva frequentare la scuola,
dal quaderno, dalla matita e dalla gomma e che aveva sognato come “la casa
del dialogo, della musica, della pace, della libertà”.
La narrazione di Ungulani Ba Ka
Khosa colpisce il lettore non soltanto per gli orrori che racconta ma anche
per la scelta del ritmo, dei termini, per la violenza emotiva che esprime
e che ci porta a un livello di sofferenza a volte difficilmente sopportabile.
Ma è una scelta voluta, che tenta di coinvolgere profondamente,
di metterci di fronte a un dramma assurdo e troppo spesso ignorato o dimenticato.
“Sono stimati a circa 250mila –
scrive ancora Barca – i minorenni utilizzati attualmente negli eserciti
e nelle milizie del mondo, ma soprattutto in Africa (Congo, Liberia, Sierra
Leone, Uganda, Burundi), ma anche altrove (come in Colombia e nello Sri
Lanka)”: una tragedia sulla quale l’autore de “La gabbia vuota” tenta
di attirare l’attenzione per farla conoscere, per tentare di risolverla,
perché nessun bambino debba più morire o uccidere in queste
guerre crudeli e oscure.
gabriella bona
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