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Riminesi illustri
Santa Innocenza
Di nobile famiglia, nacque a Monte Tauro, nell'entroterra riminese, intorno al 285. Nell'anno 300 l'imperatore Diocleziano, passando per Rimini, convocò un folto gruppo di cristiani; notò, tra costoro, la giovane e bella Innocenza e le fece delle proposte che la fanciulla respinse, proclamando orgogliosamente la sua fede. L'imperatore, sdegnato, cercò di farla cedere con le torture; partendo, ordinò al suo proconsole Sebastiano di piegarla con ogni mezzo. Questi concesse ad Innocenza tre giorni per meditare sulla sua sorte, al termine dei quali spedì alcuni sgherri al palazzo di Monte Tauro per ascoltare quanto la fanciulla aveva deciso. Fu trovata che pregava; furibondi, gli sgherri le trapassarono il petto con una spada, il 16 di settembre. Innocenza fu sepolta - con molti altri martiri - nel cimitero di Lagomaggio. Questa la tradizione, stereotipata e piena di incongruenze ed anacronismi; il culto della santa - copatrona di Rimini - sembra tuttavia piuttosto antico.
San Gaudenzio
Secondo la tradizione, nacque ad Efeso. A Roma fu battezzato, ordinato sacerdote e consacrato vescovo. Inviato a Rimini come pastore, combattè vigorosamente i residui di paganesimo e l'eresia. Partecipò al concilio di Rimini del 359, convocato per condannare Ario; allorchè se ne profilò la vittoria, Gaudenzio, con altri diciassette vescovi, abbandonò il concilio e si ritirò alla Cattolica. Rientrato a Rimini, attaccò apertamente le posizioni ariane. Arrestato dal preside dell'imperatore Costanzo, fu strappato dalle mani dei giudici e linciato dai seguaci di Ario, il 14 attobre del 360.
Ciò è quanto tramanda la tradizione agiografica: di fatto l'esistenza storica del santo non è certa ed è ignorata dalle fonti coeve. San Guadenzio - il cui culto è comunque molto antico - è il patrono di Rimini.
Francesca da Polenta
Figlia di Guido Minore da Polenta, Signore di Ravenna, nacque "su la marina dove il Po discende" - vale a dire a Ravenna stessa - intorno al 1260. Ebbe una sorella più giovane - Samaritana - e sette fratelli, cinque legittimi e due bastardi. Secondo la tradizione, era di bell'aspetto e di animo altero. Nel 1275 circa andò sposa a Giovanni detto lo Sciancato, secondogenito di Malatesta da Verucchio. Fu ovviamente un matrimonio politico, celebrato per suggellare la pace tra due potenti famiglie che si erano aspramente combattute. Oltre che zoppo, Giovanni era - stando sempre alla tradizione - "sozzo della persona", cioè poco attraente; era però un valoroso soldato e uno stimato uomo politico, ripetutamente insignito della dignità podestarile. Va considerata completamente romanzesca la rocambolesca vicenda dello scambio di persona tra Giovanni e Paolo narrata dal Boccaccio. Con Giovanni Francesca ebbe una figlia, Concordia.
Sfrondata da tutti gli orpelli leggendari, la tragedia familiare cantata da Dante (e, sulle sue orme, da molti altri poeti) si restringe a un tradimento scoperto e punito con l'uccisione degli adulteri. Quando sia iniziata la relazione tra Francesca e il cognato Paolo detto il Bello (sposato con Orabile Beatrice, erede della contea di Ghiaggiolo, e padre di due figli) non sappiamo; è sconosciuta anche la data (e, tanto più, la dinamica) del duplice omicidio. Gli studiosi la collocano tra il 1283 e il 1285, quando Francesca aveva intorno ai 25 anni e Paolo oltre dieci di più.
Numerose località si contendono, con argomenti più o meno solidi, il palcoscenico del fatto di sangue: da Gradara a Santarcangelo, da Verucchio a Pesaro. L'ipotesi più semplice e verosimile - sostenuta, tra gli altri, da Luigi Tonini - è che i due amanti siano stati uccisi a Rimini.
Giovanni da Rimini
Il primo documento in cui si fa il nome di Giovanni, principale esponente della grande "scuola" di pittura fiorita a Rimini nel Trecento, è del 1292; non si sbaglierà troppo, pertanto, a collocare la sua nascita intorno al 1270. Agli inizi della carriera alternò il mestiere di artista con quello di agricoltore, affittuario di un podere a Sant'Ermete. Nei primi anni del nuovo secolo avrà conosciuto e forse collaborato con Giotto, che - stando al Vasari - soggiornò e dipinse a Rimini. In una carta del 1300 è già chiamato "magister", qualifica data ai pittori professionisti; nello stesso documento si precisa che la sua casa - e, verosimilmente, anche la sua bottega - era situata nella contrada di San Giovanni Evangelista, vicino alla chiesa di Sant'Eufemia.
Studi recenti hanno stabilito che Giovanni aveva tre fratelli pittori: il più anziano Foscolo e i più giovani Giuliano e Zangolo. All'atelier di Giovanni e dei suoi fratelli andrà attribuita, con ogni probabilità, l'esecuzione del famoso ciclo di affreschi in Sant'Agostino (la mano di Giovanni, per altro, era già stata riconosciuta dalla critica). Del pittore resta un'unica opera firmata: il Crocifisso di Mercatello; per affinità stilistiche gli sono state attribuite altre opere, tra cui l'essenziale e poetico Crocifisso dei Musei riminesi. L'ultimo documento in cui Giovanni è indirettamente citato è del 1338: in quell'anno andrà situata la data di morte.
Roberto Valturio
Nacque a Rimini nel 1413. Compì i suoi studi a Roma, dove ricoprì successivamente l'incarico di scrittore apostolico. Tornò in patria nel 1446 e sposò Diana Lazzari, vedova di Giovanni Augurelli. Accolto alla corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, divenne l'amico più stretto e il consigliere più fidato del Signore, e si fece una solida fama di dotto (fu chiamato "monarca di tutte le scienze") e di elegante scrittore.
A Sigismondo dedicò la sua opera De re militari, terminata nel 1455: un ampio trattato in latino sull'arte della guerra, dove si occupò approfonditamente di ingegneria militare, tecniche d'assedio, macchine belliche e armi, riservando una speciale e precoce attenzione all'artiglieria. L'opera sarà stampata nel 1472 a Verona, per i tipi di Giovanni di Niccolò nel 1483 sarà tradotta in volgare e nel 1555 in lingua francese.
Dopo la morte di Sigismondo, servì il figlio Roberto il Magnifico. L'anno della sua scomparsa non è certo: l'arca del Tempio Malatestiano in cui riposa riporta la data del 1483, ma un atto del 1478 lo dichiara già morto. Lasciò la sua ampia e bella biblioteca manoscritta al convento di San Francesco, che nel secolo XVII, colpevolmente, la disperderà del tutto.
Sigismondo Pandolfo Malatesta
Figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e di Antonia da Barignano, nacque il 19 giugno 1417 quasi certamente a Brescia, di cui il padre era Signore. All'età di dieci anni, rimasto orfano del padre, venne a Rimini con i fratelli Galeotto Roberto e Domenico, alla corte dello zio Carlo Malatesta; questi, privo di eredi, accolse i tre nipoti sotto la sua protezione e ne ottenne dal papa la legittimazione. Nel 1429, alla morte di Carlo, ereditò la Signoria il primogenito Galeotto Roberto, che due anni dopo abbandonò la vita mondana e lasciò il potere al giovanissimo Sigismondo.
Nel 1433 il Malatesta fu creato cavaliere dal vecchio imperatore Sigismondo di Lussemburgo, passato per Rimini di ritorno da Roma. Nel 1434 sposò Ginevra, figlia di Niccolò d'Este. Sigismondo, che aveva mostrato precocissime attitudini militari, divenne uno dei più abili e valorosi capitani delle armi pontificie e fu nominato gonfaloniere della Santa Sede.
Nel 1437 ebbe inizio la costruzione di Castel Sismondo. Nel 1440, morta Ginevra, Francesco Sforza offrì a Sigismondo la mano della figlia Polissena. Nel 1444, al termine di una brillante campagna militare, conquistò Senigallia e Mondavio. Nel 1447, per un ritardo nel pagamento degli stipendi, abbandonò Alfonso d'Argona, di cui era al soldo, e passò al servizio di Firenze. Il voltafaccia gli procurò molti nemici, che lo esclusero dai benefici della pace di Lodi (1454).
Nel 1448 Polissena era morta; Sigismondo, che fin dal 1446 aveva una relazione con la giovanissima Isotta degli Atti, potè infine renderla pubblica (Sigismondo e Isotta si sposeranno nel 1456). Nel 1449 avevano avuto inizio i lavori di radicale rifacimento dell'interno della chiesa di San Francesco, il futuro Tempio Malatestiano; nel 1450 era stata affidata a Leon Battista Alberti la progettazione dell'esterno. Gli anni successivi al 1450 costituirono il momento di maggior splendore della corte di Sigismondo, che - da intelligente e generoso mecenate - si circondò di artisti e intellettuali di fama: l'Alberti, appunto, e inoltre Piero della Francesca, Agostino di Duccio, Matteo dè Pasti, Roberto Valturio, Basinio di Parma e numerosi altri.
Nel 1459 salì al soglio pontificio Pio II, da tempo ostile a Sigismondo, che al congresso di Mantova gli impose umilianti condizioni. Ferito nell'orgoglio, Sigismondo si ribellò al papa, che nel 1460 lo scomunicò e si alleò con Federico da Montefeltro, il nemico mortale del Malatesta. Stritolato dalla coalizione, Sigismondo fu privato di tutti i suoi domini e conservò la sola città di Rimini. Nel 1464 andò in Morea, a combattere contro i Turchi; tornò in patria nel 1466, alla morte di Pio II, ammalato e prostrato. Morì il 7 ottobre 1468 e fu sepolto nel Tempio Malatestiano, che le vicissitudini degli ultimi anni non gli avevano permesso di completare.
Isotta degli Atti
Figlia di Francesco degli Atti, ricco mercante e cambiatore, nacque a Rimini alla fine del 1432 o al principio del 1433; le fu imposto il nome della madre, morta nel darla alla luce. Nel 1445, alla tenera età di dodici o tredici anni, fu notata e corteggiata da Sigismondo Pandolfo Malatesta, che la conquisterà nel 1446. Nel 1447 ebbe il suo primo figlio, Giovanni, che morì in fasce. Nel 1449, dopo la morte della seconda moglie Polissena, il Signore di Rimini potè finalmente rendere pubblica la sua relazione con Isotta, che i poeti e gli artisti di corte si affrettarono a celebrare in tutti i modi. L'unione, allietata da vari figli, fu regolarizzata dal matrimonio, celebrato in forma privata nel 1456. Poco si sa della vita di Isotta negli anni del declino del Principe. Dopo la morte di Sigismondo (1468), Isotta assunse il governo della città insieme col figliastro Sallustio e tentò inutilmente un accordo con Roberto. Questi, nel 1469, ordinò l'uccisione di Sallustio e conquistò la Signoria. Isotta morì nel 1474 e fu sepolta con tutti gli onori nel Tempio Malatestiano.
Alessandro Gambalunga
Nacque a Rimini posteriormente al 1554. Nel 1583 si laureò a Bologna in diritto civile e canonico. Nel 1592 sposò la nobile Raffaella Diotallevi, da cui non avrà figli. Le modeste origini della sua famiglia (il nonno era un maestro muratore e il padre un mercante), non riscattate dal solidissimo patrimonio, furono un ostacolo insormontabile alla sua aggregazione al ceto patrizio e, conseguentemente, al Consiglio comunale. Per altro gli vennero ripetutamente offerti incarichi pubblici (tra cui, nel 1595, quello di Podestà), che egli, orgogliosamente, declinò. Nel 1610 pose la prima pietra del palazzo di famiglia, che sarà terminato nel 1614 e che gli costerà settantamila scudi.
Nel palazzo tenne accademia e si circondò di letterati ed eruditi che protesse da "vero padrone et mecenate"; qui eresse una cospicua biblioteca, di cui, già in vita, incoraggiò la consultazione. Nel 1617, con atto testamentario, ne stabilì e ne disciplinò rigorosamente l'uso pubblico. La dotò inoltre di una ragguardevole somma annua per l'incremento dei libri e per lo stipendio del bibliotecario. Morì nel 1619.
Cesare Clementini
Nacque a Rimini nel 1561. Nel 1582 entrò in Consiglio comunale. Ricoprì numerose cariche - tra cui quella di Capoconsole - e assolse delicati incarichi diplomatici. Nel 1592 fu insignito dell'Ordine di Santo Stefano. Dalla moglie, la contessa Leonida Bernardini della Massa, ebbe tre figli. Morì nel 1624.
Nel 1617 diede alle stampe il primo volume del Raccolto istorico della fondatione di Rimino. L'opera, di grande impegno, è la prima storia generale della città l'accoglimento acritico di notizie leggendarie sulla fondazione e sulle più remote vicende di Rimini e l'esposizione un po' arruffata nulla tolgono al valore e all'importanza del lavoro, che fornisce una grande mole di notizie, tratte spesso da documenti originali, e che adotta criteri storiografici, in rapporto ai tempi, notevolmente avanzati. Costituisce un'appendice del primo tomo l'utilissimo Trattato de' luoghi pii e de' magistrati di Rimino. Il secondo volume fu pubblicato postumo nel 1627.
Guido Cagnacci
Nacque a Santarcangelo di Romagna nel 1601. Si ignora chi lo abbia avviato alla pittura: probabilmente fu autodidatta. Dal 1618 al 1621 lavorò a Bologna nella bottega di un maestro che la tradizione identifica con Guido Reni. Nel 1622 era a Roma, al seguito del Guercino. Nel 1628, a Rimini, tentò di fuggire con una nobile e ricca vedova, Teodora Stivivi: per questa romanzesca impresa fu bandito dalla città. Nel 1642 lo troviamo a Forlì (da cui dovette allontanarsi, non sappiamo perchè, nel 1645), nel 1646 a Cesena, nel 1647 a Faenza. Andò poi a Venezia, e neppure qui il soggiorno fu del tutto tranquillo. Si trasferì infine a Vienna, su invito di Leopoldo I, e dipinse parecchie opere per l'Imperatore e la sua corte. Morì nel 1663.
Come altri artisti del suo tempo, Cagnacci ebbe una vita avventurosa e turbolenta; aggressività e sensualità affiorano, filtrate dall'arte, nelle sue tele; la critica lo giudica uno dei più autentici e geniali artisti del Seicento.
Carlo Tessarini
Nacque a Rimini intorno al 1690. Della sua giovinezza e della sua formazione non si sa nulla. La tradizione lo vuole allievo di Arcangelo Corelli, ma la notizia, ancorchè plausibile, non è documentata. Nel 1720 era violinista della basilica di San Marco; a Venezia, dove pubblicò i suoi primi concerti, rimase fin dopo il 1730. Nel 1738, dopo un lungo soggiorno a Brno, alla corte del cardinale Schrattenbach, si trasferì ad Urbino, dove gestì per qualche tempo una casa editrice di musica e fondò l'Accademia degli Anarconti. Famoso virtuoso di violino, diede concerti in tutta Europa e soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi. Morì in località ignota alla fine del 1766 o al principio del 1767, probabilmente durante una tournèe.
Tessarini fu indubbiamente uno dei maggiori violinisti del suo tempo e un fertile compositore di musiche strumentali: concerti, sonate, sinfonie, ecc.; spiccano, tra queste, le composizioni per violino, di accentuata vena melodica e di notevole difficoltà tecnica.
Giovanni Bianchi
Nacque a Rimini nel 1693. Fino agli undici anni studiò alla scuola dei Gesuiti, che abbandonò per seguire le sue multiformi curiosità e inclinazioni. A diciott'anni aveva già una portentosa erudizione, che mostrò nelle adunanze dell'accademia letteraria fondata dal vescovo Davìa. Nel 1717 partì per Bologna per studiare medicina, in cui si laureò. Dopo aver fatto esperienza in numerose città, gli fu offerta la cattedra di Anatomia all'Università di Siena. Uomo di temperamento sanguigno e di carattere spigoloso e litigioso, si fece più di un nemico.
Perduta la cattedra, tornò a Rimini. Qui, nella sua casa, aprì una sorta di "libera Università", dove insegnò medicina e scienze naturali, fisica e astronomia, filosofia e antiquaria; furono suoi scolari i principali esponenti della cultura riminese del Settecento: dal Garampi al Battarra, dal Bonsi al Rosa. Nella sua casa formò anche un orto botanico, un museo di storia naturale e una raccolta archeologica. Nella sua casa, infine, riportò in vita e ospitò l'Accademia dei Lincei, assumendo il nome - ben noto - di Jano Planco. Fu in contatto epistolare coi maggiori scienziati e intellettuali europei: Voltaire, Morgagni, Vallisnieri, Algarotti, Frugoni, Apostolo Zeno e innumerevoli altri. Per suo precipuo - se non esclusivo - merito, Rimini divenne uno dei più avanzati poli culturali del secolo XVIII.
Medico famoso (fu anche archiatra pontificio), Giovanni Bianchi pubblicò numerosi libri e opuscoli di medicina teorica e pratica, e inoltre di veterinaria, scienze naturali e varia erudizione. Morì a Rimini nel 1775.
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