Il coordinatore: prof. Angelo GulisanoSanta Margherita di Belice
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Monumenti a Sciacca

Palazzo Filangeri Cutò

Parco del Gattopardo

Teatro S. Alessandro

Parco letterario

Un museo da vivere

Il Gattopardo:Icona di Sicilia

Il Gattopardo recita

Attività economiche tipiche di S. Margherita di Belìce:

Il ficodindia

La pecora "valle del Belìce"

La "Vastedda"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 S. Margherita di Belìce

S. Margherita di Belìce è stata fondata nel 1572 dal Barone Antonio Corbera, antenato dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Le sue origini risalgono all'epoca araba con il casale di Mazil Sindi. La santa patrona è Santa Rosalia e si festeggia il 4 settembre. Conta circa 7.700 abitanti. Sorge nelle zona sud-occidentale della Sicilia a 400 mt. s.l.m.,  tra i fiumi Belice, Senore e Carboj, alla confluenza delle province di Palermo, Trapani e Agrigento. Confina con i comuni di Salaparuta (TP), Contessa Entellina (PA), Sambuca di Sicilia , Menfi e Montevago (AG).

Vista la centrale posizione è possibile arrivarci da: Palermo ( 79 Km) per la fondovalle  S.S 624 Palermo - Sciacca o per l’autostrada A 29 Palermo -Mazara Del Vallo con immissione nello scorrimento veloce Castelvetrano - Agrigento; dall’ aeroporto Falcone- Borsellino( 110 Km ) per l’autostrada A 29 Palermo – Mazara Del Vallo; da Agrigento ( 86 Km ) con lo scorrimento veloce Agrigento - Castelvetrano.

Nel suo territorio si trovano testimonianze di insediamenti Sicani, Greci, Romani e Arabi.

La  cittadina ha con il suo misterioso fascino conquistato attori, registi, scrittori e poeti di gran fama internazionale (alcune delle scene del film "Il Gattopardo" sono state realizzate in questi luoghi).

Le attrattive principali sono legate al Palazzo Gattopardo, al meraviglioso Parco del Gattopardo Cutò di Filangeri, al Teatro S. Alessandro, al Parco Letterario, alla villa comunale e alla Chiesa Madre barocca.

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 Bellezze Architettoniche e attrazioni turistiche

 

Palazzo Filangeri Cutò

Comunemente chiamato palazzo del “Gattopardo” perché legato ala memoria del famoso romanzo e del suo nobile autore Giuseppe Tomasi Di Lampedusa. Appartenne prima alla famiglia “Corbera” e successivamente alla famiglia “ Filangeri ”. È stato ricostruito al suo interno mentre lascia esternamente in mostra le linee barocche rimaste. Oggi vi ha sede il Municipio.

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Parco del Gattopardo

Sorge attiguo al Palazzo Filangeri Cutò; realizzato sul finire del secolo XVII e, con i suoi alberi secolari, le sue rare essenze arboree e le sue fontane lasciano il visitatore come inebriato dal fastoso passato. Di esse esistono ancora quattro fontane prive delle statue che un tempo l’adornavano. Al centro del parco su una specie di isolotto di un piccolo lago artificiale vi è la fontana di “ Anfitrite ” chiamata così perché raffigurava Nettuno abbracciato ad Anfitrite.

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 Teatro S. Alessandro

Il Teatro S. Alessandro era un  teatro con 300 posti a sedere all'interno del palazzo Filangeri Cutò. Fu costruito in stile Luigi XVI, per volere della famiglia "Filangeri", in bianco e oro con i sedili in velluto azzurro. Al centro vi era il palco reale sormontato da un enorme trofeo di legno dorato contenente la croce scampanellata sul petto dell’aquila bicipite. Dopo il terremoto del 1968 di ciò non rimase quasi niente! quel poco è stato ripristinato nuovamente a teatro negli anni 90 e oggi vi si svolgono numerose manifestazioni  culturali.

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Parco Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Ispirato all’autore del “ Gattopardo ” ha sede ufficiale nel Palazzo Filangeri Cutò di S. Margherita di Belìce. Uno degli obiettivi del Parco è quello turistico - economico; di costruire un’identità culturale, in questo senso si è puntato  su rappresentazioni teatrali e musicali quali “ la cena delle servitù”,  “ il Valzer del Gattopardo”, “le cere del Gattopardo”. Queste ultime si possono visitare all’interno dello stesso palazzo dove è stata allestita una sala in cui è stata rappresentata sinteticamente l’opera letteraria de “ Il Gattopardo”. Inoltre, si offrono ai visitatori servizi di: visite guidate, spettacoli, caffè letterari, degustazioni gastronomiche, conoscenza degli usi e dei costumi locali.

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Reportage da altri siti web

UN MUSEO DA VIVERE

Sono passati 50 anni e la bellezza de “Il Gattopardo” rimane intatta. Cinquanta anni dopo, una copia autentica dell'originale manoscritto e del dattiloscritto del Principe, è stato donato da Gioacchino Lanza Tomasi, ed esposto nelle sale del nuovo museo gattopardiano di Santa Margherita di Belice. Sono queste pagine il vero punto di attrazione di tutto il Parco del Gattopardo che ospita  un piccolo museo delle cere dove è rappresentata una scena del “Gattopardo” viscontiano.

Ma ai visitatori non mancheranno le attrattive. Tutto il museo infatti, ruota attorno alla figura ed alle opere di Tomasi di Lampedusa. All'interno di teche sono esposte le lettere, gli appunti, la documentazione e le foto d'epoca dello scrittore, postazioni multimediali fanno rivivere i saggi critici e i film dedicati all'opera, si possono vedere e ascoltare le interviste a Claudia Cardinale e Alain Delon, indimenticabili interpreti del film di Luchino Visconti, così come lo stesso manoscritto, la sua stesura, le correzioni apportate. Pagina dopo pagina, bozze e correzioni, fino alla stesura finale. Insomma, entrare nel museo sarà come fare un tuffo nel passato, ritornare negli anni '50, rivivere quei tempi e tuffarsi nell'atmosfera che portò lo scrittore a scrivere il suo capolavoro.

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Il GATTOPARDO: ICONA DI SICILIA

Giuseppe Tomasi di Lampedusa nasce a Palermo il 23 dicembre del 1896. Visse un’esistenza fatta di viaggi all’estero, lunghi soggiorni nel palazzo paterno di Palermo e nella grande casa di campagna di Santa Margherita di Belice. Fu proprio qui che Tomasi di Lampedusa, nel piccolo teatro della sua grande casa, assistette per la prima volta all’Amleto messo in scena da una compagnia di attori girovaghi. E fu sempre a Santa Margherita Belice che imparò a leggere e scrivere, sia in italiano che in francese.  Ma per il grande scrittore siciliano, autore di uno dei libri più letti nel mondo, fu importante la partecipazione al congresso letterario di San Pellegrino del 1954, al seguito del cugino poeta Lucio Piccolo. In quell’occasione, Tomasi di Lampedusa, solitamente schivo al quale, come lui stesso ebbe a dire  “piaceva stare più con le cose che con le persone” conobbe, fra gli altri, Eugenio Montale, Maria Bellonci e Giorgio Bassani e fu subito dopo che cominciò a scrivere il Gattopardo.
Sull'origine del “Gattopardo” si sa veramente poco. Dal ’54 al ’57 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ripercorrendo sul filo della memoria la sua infanzia e la storia della sua antica e nobile famiglia, diede vita ad una delle più grandi scritture del ‘900 che come accade spesso ebbe un inizio editoriale travagliato.
Nel 1956 venne rifiutato da Mondadori e un anno dopo, nel 1957 anche Elio Vittorini rifiutò di pubblicare il romanzo nella collana Einaudi "I Gettoni". Nello stesso anno Giuseppe Tomasi di Lampedusa muore di cancro senza godere del successo del suo romanzo, pubblicato l'anno dopo dalla Feltrinelli e curato da Giorgio Bassani.

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RINASCE IL GATTOPARDO

Un museo costruito attorno ad un romanzo. Per farne conoscere i personaggi, la vita e scoprirlo, pagina dopo pagina. Il manoscritto originale de “Il Gattopardo” del principe Giuseppe Tomasi, Duca di Palma e principe di Lampedusa, è tra i “pezzi” che si possono ammirare nel nuovo Museo del Gattopardo. Per la prima volta non è un museo ad ospitare un'opera, ma è la struttura museale che è costruita attorno ad un romanzo, “Il Gattopardo”, per far conoscere ai visitatori, i luoghi descritti in quelle pagine, la vita e le opere del grande scrittore siciliano.

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA RECITA IL SUO RACCONTO “LIGHEA”

La grande attrattiva del Museo, oltre agli elementi visivi, c'è la possibilità di ascoltare, per la prima volta, la voce dello scrittore. A seguire, ed accompagnare il cammino del visitatore è infatti lo stesso Tomasi di Lampedusa, perché in tutte le sale del museo,  si ascolta lo scrittore che recita un suo racconto “Lighea”. Una registrazione unica, nata per gioco una mattina del 1956, quando ancora Giuseppe Tomasi non era famoso, ma già scriveva i suoi racconti.

Quel giorno, a Gioacchino Lanza Tomasi, figlio adottivo dello scrittore,  Tomasi di Lampedusa aveva regalato un registratore a nastro nuovo di zecca. E allora,  per provarne il corretto funzionamento, ebbe l'idea di registrare la voce del padre adottivo, non  immaginando che quella registrazione sarebbe rimasta l'unico documento audio del grande scrittore siciliano. Con in mano il Grunding e un nastro, Gioacchino e la fidanzata Mirella Radice si recarono nel palazzo di via Butera a Palermo dove abitava Giuseppe Tomasi di Lampedusa e gli chiesero di recitare uno dei suoi racconti.  Quello stesso  racconto, “Lighea”, che i visitatori del museo ascoltano dalla voce di chi l'ha scritto.

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IL FICODINDIA

Il Ficodindia appartiene al genere Opuntia della famiglia delle Cactacee. Originario dell'altopiano Messicano venne introdotta in Europa dagli spagnoli verso la metà del 1500 a seguito della conquista del Nuovo Mondo. In Sicilia, oltre il 70% delle colture si concentrano in tre aree: "Colline di San Cono", "Sud ovest etneo" e "Valle del Belice".

L'area di San Cono è la più importante ed è localizzata nella Sicilia Orientale, all'incrocio tra le Province di Catania, Caltanissetta ed Enna.

Le principali varietà prodotte in Italia sono:

la "Gialla" (o Surfarina, o Nostrale) che rappresenta l'80-90% degli esemplari che compongono i ficodindieti specializzati;
la "Rossa" (o Sanguigna) che rappresenta circa il 10% degli impianti specializzati;
la "Bianca" ( Muscaredda, o Sciannarina) che rappresenta circa il 2% degli impianti specializzati.

La maggiore produzione si ha della surfarina, seguita dalla sanguigna e dalla muscaredda, ciò è dovuto dalla diversa richiesta e dal diverso grado di resistenza alle avversità climatiche, ai trasporti e alle manipolazioni. Le tre varietà si differenziano anche per lo spessore della buccia che è spessa in quella gialla, molto sottile in quella bianca.

Il frutto viene generalmente consumato allo stato fresco, opportunamente sbucciato. Tuttavia, a livello locale, risultano molteplici le elaborazioni gastronomiche ottenute, quali ad esempio la marmellata, "l'estratto", consistente in un liquido sciropposo; I "mustaccioli", ottenuti dal succo ristretto per ebollizione cui si aggiunge farina di semola ed aromi; la "mostarda", preparata in modo analogo ma addizionata di succo d'uva. Il frutto può essere conservato anche attraverso canditura.

Una peculiarità del ficodindia è l’ attitudine ad assicurare una seconda fioritura a seguito della eliminazione dei primi fiori in giugno (scozzolatura) che conduce alla produzione di frutti (bastardoni) a maturazione invernale, di migliore pezzatura e di più apprezzate caratteristiche gustative rispetto a quelli (agostani) originati dai primi fiori. E' una pianta tipica dei paesaggi mediterranei, cresce spontaneamente su terreni sabbiosi e molto assolati, ma ha trovato in Sicilia e più specificatamente nella zona tra Menfi, Montevago e Santa Margherita Belice l'habitat ideale per lo sviluppo di una produzione genuina dal sapore particolarmente gradevole, tanto che è stata chiesta ed ottenuta per questa peculiarità la  Denominazione di Origine Protetta.

Due sono i periodi di raccolta del frutto: agosto e novembre; quelle raccolte ad agosto sono più piccole rispetto a quelle raccolte in novembre in quanto queste ultime si ottengono praticando la scozzolatura, cioè togliendo dalla pianta alcuni frutti in modo da far crescere più grossi i frutti rimanenti. I produttori ritenendo limitante per il consumo la presenza di spine nel frutto, hanno provveduto a despinarlo con l'ausilio di adeguate macchine, riuscendo così a vendere di più.

Il ficodindia è un frutto ricco di zucchero ed amminoacidi , favorisce la diuresi e va consumato esclusivamente fresco.

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LA PECORA DELLA VALLE DEL BELĺCE

La pecora “Valle del Belìce” è da tempo conosciuta per la sua produttività lattea e la resistenza alle avversità climatiche tipiche del suo habitat.

Essa prende il nome dalla zona limitrofa il fiume Belìce , compresa tra le province di Agrigento, Palermo e Trapani. È in questo territorio che si è originata la pecora “Valle del Belìce” , razza ovina autoctona con spiccate attitudini per la produzione di latte, da un incrocio a tre vie: la razza Pinzirita, Comisana e Sarda. Le potenzialità di questa razza, unita all’opera di selezione condotta nel corso dei secoli dagli allevatori della zona, hanno consentito alla Valle del Belìce di raggiungere delle prestazioni produttive di grande rilievo che le permettono di essere inserita a pieno titolo tra le migliori razze ovine da latte presenti in Italia.

In linea generale le caratteristiche biomorfologiche ed attitudinali della “Pecora della Valle del Belìce” possono essere sinteticamente riassunte così:

 -         elevata produttività lattea;

-         attitudine ai parti bigemini;

-         presenza di un apparato mammario voluminoso e generalmente ben conformato;

-         notevole resistenza alle avversità climatiche.

Negli ultimi anni l’attività condotta dalle varie istituzioni del settore ( Istituto di Zootecnica Generale dell’Università di Palermo, Associazione Nazionale della Pastorizia, Associazione Regionale Allevatori Sezione Operativa n° 77 di Menfi ) e dai comuni di Santa Margherita di Belìce, Partanna, Montevago, Menfi e Sambuca, ha permesso di imporsi nel panorama zootecnico nelle principali manifestazioni nazionali e regionali. Numerose sono le pubblicazioni e i lavori che sono stati presentati in convegni nazionali ed internazionali e i pubblicati su riviste specializzate in Italia ed all’estero.

Un ulteriore segno del successo della razza “Valle del Belìce” è costituita dall’annuale Mostra di S. Margherita di Belìce che a partire dalla sua 5° Edizione è stata ufficialmente riconosciuta dall’Associazione Nazionale della Pastorizia come Mostra Regionale del Libro Genealogico.

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  La Vastedda della Valle del Belìce

Da sempre nella Valle del Belìce parte del latte dato dalla pecora autoctona veniva anticamente ed ancora oggi trasformato in “Vastedda” o focaccia. Unico formaggio di pecora a pasta filata! La “Vastedda” ha una particolare forma lenticolare o ovoidale conferita pressando più volte in un piatto fondo una porzione di pasta filata. Essa faceva e fa parte dei sistemi più classici degli allevamenti ovini di quella zona. I primi allevatori-casari decidevano di produrre questo formaggio nei mesi estivi, quando cioè la produzione di latte era molto ridotta.

Derivato con il latte intero, crudo, della Pecora della Valle del Belìce, con microflora naturale, caglio di agnello, pascolo naturale e coltivato con integrazione di foraggi quando concentrati in stalla, la “Vastedda” è sicuramente uno dei pochissimi formaggi di latte di pecora a pasta filata del mondo.

La ragione di questa rarità sta nel fatto che il latte di pecora mal si presta alla filatura. È difficile individuare i motivi per cui questa particolare tecnica casearia si sia radicata nella nostra zona e non altrove. L’origine risale ai primordi della produzione di formaggio; probabilmente il processo si rivelò molto pratico per caseificare le piccole quantità di latte che le pecore offrivano nei mesi estivi. A quei tempi, quando non si disponeva di sistemi di raffreddamento o di pastorizzazione, con i pascoli magri, poco latte e la temperatura rovente, fare formaggi pecorini era difficile. In questi casi il formaggio gonfiava e si rischiava di buttare via tutta la produzione. Con questo metodo, produrre un formaggio da poter mangiare freschissimo era un modo per evitare i problemi della produzione estiva.

Lo stile di lavorazione varia, a seconda della zona di produzione e delle abitudini. Il Latte crudo di una o due mungiture viene coagulato a circa 35° con caglio in pasta di agnello o capretto che è generalmente prodotto in azienda, la cosiddetta “gemma di caglio”. Si rompe la cagliata con una rotula di legno sino a ridurla in granuli grossi come chicchi di riso; dopo una breve sosta si raccoglie la pasta in un telo di lino e la si depone su un tavolone oppure si porziona e si colloca in fiscelle di giunco o di plastica.

Il periodo di maturazione varia in rapporto all’epoca di lavorazione, delle temperature e dell’umidità. Dopo, 8 - 10 ore circa, la massa viene ulteriormente tagliata in fettucce, scottata con acqua bollente ( 90° ) e impostata con una paletta di legno (la vaciliatuma). Quando la pasta fila se ne stacca una porzione,  una palla chiusa che viene collocata in un piatto fondo di ceramica dove in breve tempo assume la tipica forma di vastedda.

È un formaggio straordinario per fragranza, suadenza e intensità gustativa. Va consumata freschissima!

Un consiglio! per gustarla al meglio, bisogna tagliarla in grosse fette e condirla con olio extra vergine di oliva della “Valle del Belice” con una lieve sgranata di un ramoscello secco di origano.

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Ricerca ed elaborazione della pagina a cura di: Grisanti Filippo, Marfia Maria, Valenti Ivana, con la supervisione del prof. Angelo Gulisano

          

Bibliografia: reportage da altri siti web; materiale pubblicitario messo a disposizione dall'assessorato al turismo del Comune di Santa Margherita di Belìce.

Cliccare sulle immagini per ingrandirle

Stemma di S. Margherita di Belìce

Oggetti di scavo delle necropoli Sicane

Cortile del palazzo Filangeri Cutò

Antica Piazza Matteotti

Palazzo Filangeri Cutò

Rovine del terremoto

Palazzo Filangeri Cutò con accanto la chiesa Madre

Dipinto in ceramica del gattopardo

Villa Comunale

 

Scala del "Gattopardo"

 

Vetrata della Chiesa Madre

 

Museo

 

Museo

 

Museo

 

Museo

 

Museo

 

Giuseppe Tomasi di Lambedusa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ficodindia

 

Antica Chiesa Madre

 

Vetrata chiesa Madre

 

Esterno chiesa Madre

 

 

 

 

 

 

Pecora del Belice

 

Abbeveratoio

 

Fiera della pecora

 

Vetrata chiesa Madre

 

 

Vastedda

 

Vastedda pronta per il consumo

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