Origine del carnevale
Il carnevale, festa popolare saccense
tra le più espressive e rappresentative, è una festa di derivazione pagana
che si contrapponeva, all’origine, nettamente a quella cattolica. Il popolo,
prima di mortificarsi nel digiuno della quaresima, voleva concedere uno
sfogo alle passioni più istintive dell’animo umano. L’etimologia del termine
carnevale è incerta: oggi dai più viene tenuto in considerazione “carnem
levare” (da cui siciliano “carnalivari”), prescrizione che fa divieto di
mangiare carne durante la quaresima. Questa festa prende le mosse da
un’altra ben più antica, quella dei Saturnali, tipica festa dell’antica
Roma, di origine pagana. Durante i festeggiamenti in onore di Saturno era
necessario darsi alla pazza gioia per favorire un raccolto abbondante ed un
periodo di benessere e felicità. In questo periodo di sette giorni si
conducevano per la città carri festosi tirati da animali bizzarramente
addobbati ed il popolo si riuniva in grandi tavolate, cui partecipavano
persone di diverse condizioni sociali e si abbuffavano tra danze ed
oscenità.
L’antica figura del re dei Saturnali ha
continuato a vivere nella burlesca figura del re del carnevale: inizialmente
impersonato da un uomo che veniva sacrificato per il bene della
collettività, successivamente sostituito con un fantoccio di paglia. A
quest’ultimo, in Sicilia, venne dato il nome di “Nannu” e la sera di martedì
grasso veniva bruciato in segno di purificazione e di rinnovamento.
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Origine e significato
della maschera
La maschera è l’elemento che ha
caratterizzato il carnevale ed essa aveva un preciso significato simbolico.
Il termine maschera , derivante dal longobardo “mascka”, significava larva,
strega, demonio: rappresentava le anime dei trapassati che, evocati
attraverso dei riti propiziatori, salivano sulla terra per auspicare un
abbondante raccolto.
Gli antichi usavano le maschere anche
nei trionfi, nelle pompe pubbliche, nei banchetti ed i pagani celebravano il
fiorire della primavera, mascherati, con la libertà di rappresentare
chiunque avessero voluto. Più tardi l’uso di mascherarsi divenne molto in
voga presso i cristiani.
Nel medioevo le maschere comparvero per
lo più come raffigurazione del buffonesco, impersonando nelle loro
caratteristiche lo spirito popolare e certi aspetti sociali tipici delle
diverse regioni italiane.
Le maschere del periodo rinascimentale
assunsero solo carattere artistico e soltanto nei secoli successivi
divennero facile mezzo per coprire scandali ed intrighi. L’uomo mascherato
divenne l’essere che egli stesso voleva rappresentare e tale egli appariva
agli spettatori.
Con la commedia d’arte, che dalla metà
del Cinquecento fino al Settecento rappresentò il più singolare fenomeno
della storia teatrale, nacquero le famose maschere del teatro italiano.
Il carnevale conobbe il periodo di
maggior splendore, in tutta la Sicilia, verso la fine dell’Ottocento: era il
tempo in cui la nobiltà divertiva se stessa e di riflesso il popolo che
veniva estasiato dai festoni e decori che adornavano i carri nobiliari,
simbolo di ricchezza ed abbondanza.
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Il carnevale attraverso
i proverbi siciliani
Il desiderio di eliminare ogni minima
traccia di ciò che nell’anno precedente aveva offuscato l’esistenza ed
auspicare un anno ricco e sereno, emerge da tutta una serie di proverbi che
ancora oggi si ricordano.
Era in voga il detto “cannalivari tutti
li festi fa ternari”. Il primo proverbio era quello che sanciva l’inizio
ufficiale della festa: “doppu li tri re, tutti olè”, dopo l’epifania era già
carnevale e la festa durava fino al mercoledì delle Ceneri. I quattro
giovedì precedenti la festa vera e propria erano detti: “lu joviri di li
cummari cu ‘un avi dinari s’impegna lu falari”, era il giorno in cui non si
poteva fare a meno di invitare la comare (la madrina di battesimo o
cresima).
Il secondo giovedì di festa era
dedicato invece agli inviti tra i congiunti, era infatti diffuso il detto:
“lu joviri di li parenti cu ‘un avi dinari si summa li denti”. Cioè si
pulisce i denti non avendo nulla da spendere e quindi da mangiare. “Lu
joviri di lu zuppiddu cu’ ‘un cammarra è peggio pi iddu” era il terzo
giovedì precedente la festa vera e propria: lo “zappetto” era una delle
tante personificazioni del diavolo che aveva il compito di pervenire gli
uomini mediante la spensieratezza e l’allegria; il termine “cammarsi”
equivaleva a significare mangiare grasso con l’obbligo di darsi alle grandi
abbuffate.
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Il carnevale antico
Il primo a testimoniare la presenza del
carnevale a Sciacca è stato il Canonico Mario Ciaccio, illustre storico,
nella sua opera “Sciacca, notizie storiche e documenti”. In realtà il
carnevale è antico quanto il mondo: l’uomo ha sempre sentito il desiderio di
divertirsi, ogni popolo ha avuto feste confacenti ai propri costumi, alla
propria cultura e nelle quali si rispecchiava. “Campieri, mandriani e
fattori” si vedevano girare nelle piazze, tra di loro si scambiavano frizzi,
parole ingiuriose e a doppio senso e coloro che venivano presi di mira non
dovevano sentirsi mortificati ma dovevano riderne divertiti. In ciò
consisteva “lu gabbu”, ossia la beffa di carnevale. Ad esso si accompagnano
i giochi carnevaleschi, che di rado erano semplici ed innocui scherzi, e le
“parti di carnevali”. Quest’ultime caratterizzate ed unite alle
“mascherate”, con le quali i contadini dipingendosi ed imbrattandosi il
viso, infilandosi al rovescio la giacca ed indossando un berretto o “cappellacio”,
giravano per le vie della città, da soli o in comitiva, suonando, ballando e
cantando. Tre speciali usanze contadinesche tipiche degli ultimi giorni di
carnevale erano “lu sonnu, la tavulata e lu ripetu”: nelle case private dove
si teneva “lu sonnu”, la padrona di casa soleva suonare il tamburello
davanti alla propria abitazione per dare segnale che aveva inizio la festa
alla quale partecipavano tutto il vicinato. La sera del martedì grasso era
poi la volta del sontuoso banchetto della famiglia, “la tavolata”.
Nei primi anni del XX secolo il popolo
siciliano identificava il carnevale nella figura di un fantoccio chiamato
“lu nannu”. Era un vecchio fantoccio, imbottito di paglia, abbigliato da
capo a piedi da stimato notabile. L’inizio della festa a Sciacca, era
caratterizzata, la domenica, dal suo arrivo: una grande folla si concentrava
al porto o alla stazione per applaudirlo ed accoglierlo con tanta felicità e
spensieratezza, in seguito veniva portato in giro dal popolo urlando e
fischiando. La sera del martedì grasso veniva bruciato come una specie di
vittima designata che morendo purificava la comunità in modo che si potesse
intraprendere un nuovo anno sotto diversi auspici.
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Negli anni 50
Gli anni 50 hanno segnato una svolta
decisiva nel carnevale di Sciacca. Dopo gli anni bui della guerra, il
senatore Giuseppe Molinari, volendo dare un nuovo volto alla manifestazione,
ha avuto l’idea di creare una maschera simbolo che rappresentasse la festa
saccense decidendo di scegliere, tra le varie maschere tradizionali
italiane, quella di Beppe Nappa (Peppe Nappa per i Saccensi). Da quel
giorno il corteo mascherato è stato così aperto da questa figura, assurto a
tipica maschera locale, preceduto da un vecchio asino con una grossa chiave
a tracolla, simbolo dell’apertura del carnevale di Sciacca. Il carro che ha
suscitato scalpore, in quel periodo, è stato “Monteciborio cusi e scusi”,
nota con la denominazione di “lu scecu”: l’allegoria di questo carro era un
condensato di satira pungente, al limite della censura, nei confronti della
vita politica; l’inno composto in versi da Emilio Paladini e musicato dal
maestro Giuseppe La Rosa. Sono stati questi gli anni in cui i copioni
recitativi hanno assunto un aspetto marcatamente cabarettistico.
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Il carnevale odierno
Se il carnevale di Sciacca ha potuto
assurgere ad un’importanza tale da divenire una manifestazione di primaria
importanza per la nostra città, il merito deve essere attribuito ai
carristi, poeti, musicisti, coreografi e tutte le maestranze impegnate.
Abilità, spirito di sacrificio e voglia di divertirsi sono gli elementi
necessari per la realizzazione di questo evento.
La struttura di un carro allegorico
oggi è molto più elaborata rispetto al passato: le fragili strutture in
legno sono state sostituiti dal ferro e le moderne tecnologie hanno permesso
la completa mobilità delle figure ed una maggiore resistenza alle
intemperie.
Ogni carro è legato ad un inno, ad un
gruppo a terra e ad un copione: quest’ultimo, messo in scena al pari di
un’opera teatrale da attori e dilettanti, sul palco di piazza Angelo
Scadaliato (ultimamente, purtroppo, alla Perriera), rappresenta il momento
più suggestivo e spettacolare della festa. In ogni strada ed angolo si
respira aria di festa in un continuo brulicare di maschere, in un variegato
spettacolo di colori, in un incessante sovrapporsi di musiche e in un
travolgente vortice di balli. Il carnevale di Sciacca è una festa contagiosa
e basta poco per sentirsi integrati.
Queste sono le caratteristiche
peculiari del carnevale di Sciacca: ciò ha permesso di renderlo unico e
speciale e che può, a nostro modesto parere, competere con le
manifestazioni ben più famose e conosciute in Italia (Viareggio, Cento,
Putignano e Venezia).
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Ricerca ed elaborazione della pagina: Rossetti
Joseph, Sabella
Andrea, con la supervisione del prof. Angelo Gulisano
Bibliografia: Materiale pubblicitario messo a
disposizione dell'ufficio turistico del Comune di Sciacca.