Il crepuscolo degli Dei

La fine delle Grandi navi da Battaglia Italiane

 

Come si è detto, nonostante l'era della corazzata fosse oramai operativamente tramontata, tale tipologia di nave continuava a rivestire interesse quasi inspiegabile nelle principali Marine Militari anche dopo la fine della guerra.
La Francia ne é uno degli esempi più lampanti e forse meno logici, dal momento che dedicò gran parte dei risicati bilanci del primo dopoguerra al completamento, terminato nel 1955, della nave da battaglia Jean Bart, ormai decisamente superata, il cui scafo era stato affondato a Casablanca dalla U.S.Navy durante le operazioni di sbarco in Nord Africa, e recuperato nel 1945.  La stessa Gran Bretagna tuttavia aveva continuato ad accarezzare l'idea di poter realizzare le nuove navi da battaglia Lion e Temerarie, e comunque nonostante la fine delle ostilità completò la nave da battaglia Vanguard, la cui principale attività consistette poi nel trasportare la famiglia reale inglese in visita in giro per il mondo.   Anche gli Stati Uniti, ormai principali fautori dell'aviazione imbarcata, terminarono la guerra con un elevato numero di navi da battaglia, ben 17, cinque delle quali risalenti addirittura al 1916 ma tenute ugualmente in linea, anche se questa decisione si può parzialmente spiegare con la necessità di effettuare bombardamenti controcosta.   Infine l'Unione Sovietica, nel dopoguerra, portò avanti, senza tuttavia metterli in pratica, alternativamente i piani per la realizzazione di alcune moderne navi da guerra ispirate al progetto delle "Littorio", già impostate prima della guerra, e quelli per il recupero dell'incrociatore da battaglia tedesco Gneisenau, affondato a Gdynia e anch'esso ormai obsoleto, nonché massicciamente danneggiato.

Anche l'Italia, dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale, si dimostrò fortemente intenzionata a mantenere il controllo delle due superstiti "Littorio" (la Roma era stata affondata come detto il 9 settembre 1943 dai tedeschi) rientrate alla base di Augusta dal loro lungo internamento ai Laghi Amari in Egitto il 9 febbraio 1947, decisione direi comprensibile dal momento che si trattava di navi potenti e bellicamente efficienti, e poiché sarebbero certamente passati molti anni prima di poter mettere in cantiere nuove navi, sia per le ristrettezze economiche sia per le prevedibili imposizioni dei vincitori..


Il Littorio a Taranto nella primavera del 1941.

Il trattato di Parigi prevedeva però che entro il giugno 1948 tutte la navi eccedenti la quantità assegnata all'Italia venissero demolite o consegnate, ed inizialmente la quota concessa era decisamente ridicola, soprattutto in considerazione che si tratta di un paese che dipende dal mare.   Venne in aiuto dell'Italia, che cercava di ottenere dagli alleati un ammorbidimento, la Jugoslavia di Tito, filocomunista, che annunciò al mondo un [irrealizzabile ed irrealizzato] programma navale molto importante, in cui figuravano tra le altre navi 4 incrociatori e ben 140 sommergibili.  
A questo proposito non va dimenticato che negli anni 1947/48 la Mediterranean Fleet inglese poteva allineare, viste le perdite e le ristrettezze di bilancio, solamente una portaerei leggera e tre incrociatori, mentre le poche unità residue della marina francese erano in quel periodo completamente impegnate in Indocina, e lo sarebbero state fino al 1954.   Paradossalmente quindi in quel periodo la principale Marina del Mediterranea tornava ad essere la rinata Marina Militare Italiana... il che riportò l'Italia in primo piano sulla scena internazionale, e certo pesò sulla scelta unilaterale di giudicare infine decadute le clausole armistiziali nei primi anni Cinquanta, con l'ingresso del Paese nella Nato.

Nel 1946 i vincitori si erano ormai accordati per destinare la lievemente danneggiata Italia, ex Littorio, agli Stati Uniti, e la Vittorio Veneto all'Inghilterra, mentre venne per la prima volta ventilata l'ipotesi, proprio dagli inglesi, di lasciare l'unità all'Italia, chiedendo però che venisse demolita.  L'idea di utilizzare la Vittorio Veneto come nave bersaglio venne abbandonata per evitare di "inasprire ulteriormente il risentimento italiano" , come scrisse l'ambasciatore inglese a Roma.
Nel settembre 1947 infine gli stati Uniti rinunciarono alla quota di navi che spettava loro, il che spinse l'ambasciatore inglese a chiedere nuovamente a Londra un provvedimento del genere, dal momento che "..l'opinione pubblica [italiana] aveva un atteggiamento scioccamente emotivo nei confronti della flotta", ma ancora una volta tale appello cadde nel vuoto, per il fatto che l'Ammiragliato riteneva di avere ancora bisogno del Vittorio Veneto, ed era quindi deciso ad impadronirsene per inserirlo nei suoi ranghi.  
Inoltre scrisse l'Ammiragliato : "restituire l'orgoglio della flotta italiana [...] rappresenterebbe ben più di un gesto di magnanimità [...] è necessario ricordare loro che ci hanno dichiarato guerra e che sono stati sconfitti.   Ma prima della loro disfatta, ci hanno procurato danni irreparabili, che noi non possiamo ed essi non dovrebbero dimenticare.  A causa di tali danni noi ora siamo una nazione povera, tanto quanto la loro, e non possiamo fare doni caritatevoli come gli Stati Uniti [...]".


La Vittorio Veneto ad Augusta nel 1947 dopo il rientro dai Laghi Amari.

Alla fine del 1947 la Gran Bretagna si dimostrò disponibile a concedere il Vittorio Veneto all'Italia, con la condizione che esso venisse demolito ed i materiali recuperati le fossero consegnati, ed ovviamente la reazione italiana a tale proposta non fu affatto positiva.
Infine, soprattutto grazie alle ristrettezze economiche in cui versava in quel momento l'Inghilterra, non in grado di inserire in linea il Veneto, venne presa la decisione di lasciare il bastimento all'Italia, il che venne posto in attesa con il Littorio fino al dopo elezioni italiane, nel 1948, per vedere "che aria tirasse".

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