Ciclo di S.Orsola - IV telero - Carpaccio
Particolare - Cardinali
assisi
Particolare - Bernardo Clesio tra i cardinali
Particolare - Didascalo
Particolare - Due armigeri
|
Il ricevimento di tre cardinali a
Palazzo a Prato ai tempi del Concilio
Da
Perilli G., Perilli M., Luigi Bonazza, Trento, Publiprint, 1992, pp.
249-259.
Il
ricevimento di tre cardinali a Palazzo a Prato ai tempi del Concilio
Intrattenimento, nel
colloquio con l'arte, è parole che irrita il critico appaga il popolo e
seduce l'artista. Dove le risposte si confondono e godono della mischio
è nell'opera, custode materna delle altrui intemperanze e ripostiglio
degli uomini secolari. I codici di ricezione, poi, così rigidi e
stratificati nell'udienza castale o borghesuccia che sia, incidono nel
testo canali di conversione e relative istruzioni indissociabili
dall'intreccio dei sensi in perenne equilibrio tra forma e forme.
Nel corso delle
pagine sin qui sfogliate è occorsa sovente, davanti a vedute montane o
allegorie orfiche, la nozione di scena: si tenterà ora di restituirla
alla matrice senza tuttavia sottrarla all'informalità che la fortuna
dell'Occidente, da Dioniso e Mapplethorpe, le ha riservato.
Il ricevimento di
tre cardinali a Palazzo a Prato, affrescato da Luigi Bonazza nel 1933,
è la scena dipinta di una rappresentazione, ovvero intrattenimento di
pittura e teatro.
L'occasione dispone
di decorare il porticato sud del nuovo palazzo delle Poste a Trento, nle
cui corpo trova ricetto l'antica residenza dei conti a Prato, asilo in
età conciliare di legati pontifici e Carlo di Guise cardinale di
Lorena. L'episodio raffigurato è appunto l'incontro tra i prelati e la
città, addì 13 marzo 1545, rifratto negli ordini simultanei di una
finzione elevata a potenza.
Prototipo figurativo
di una ricca casistica iconografica è il ciclo carpaccesco di S.Orsola,
redatto per l'omonima scuola veneziana tra il 1490 e il 1498, data
quest'ultima attendibile ma non provata. Restringendo ulteriormente le
fonti ai primi tre teleri, detti l'ambasceria, e al quanto, L'incontro
dei pellegrini con il papa a Roma, si pone immediatamente la questione
della mutua complicità tra rappresentazione pittorica e teatrale,
registrata da Vittore con l'occhio diretto alle vicende contemporanee
dello spettacolo veneziano (nota1: per la successione dei teleri si
propone qui la sistemazione operata in Ludovico Zorzi, Carpaccio e la
rappresentazione di Sant'Orsola, Torino, 1988). Allo stesso studio si
rimanda per i raffronti tra l'affresco e il ciclo orsolino. Sui più
estesi rapporti tra pittura e teatro si veda il capitolo Figurazione
pittorica e figurazione teatrale curato da Zorzi per la Storia dell'arte
italiana, Torino, Einaudi, 1979, I, pp. 419-463).
La lezione
carpaccesca informa l'affresco trentino non quanto a virtù filologiche
nella conduzione del tema, dacché l'apparato dell'ambasceria insinua
certi brogli e pasticci; dove il modello ha nutrito è nell'allestimento
scenico, nella regia sincronica sopra un discorso articolato in capitoli
e versetti puntati.
Il
corteo vescovile cadenza un cammino rituale tra il fondale della città
e il palcoscenico con l'edicola e i recitanti in primo piano a destra.
qui ha luogo l'azione, misurata nella prassi di una convenzione che
assimila i contenuti della regione di stato per mediarli nella forma
primigenia e prua della scena. La quale indicava la tenda fissata ad un
rozzo palco di legno che consentiva all'altare unico del dramma "preeschileo"
di cambiare trucco e maschera celato alla vista del pubblico (nota2: per
un profilo dell'evoluzione del luogo teatrale si veda al voce
"scena" curata da Ludovico Zorzi per l'enciclopedia Einaudi,
Trino, 1981, XII, pp. 495-528; si veda inoltre Allardyce Nicoll, Lo
spazio scenico. Storia dell'arte teatrale, Roma, 1971).
E
gli officianti del ricevimento sono appunto vescovi dipinti nell'atto di
rappresentare, ossia di simulare coi gesti e le pause canoniche della
finzione, l'evento reale di un incontro diplomatico. In altre parole i
vescovi fingono di essere attori travestiti da vescovi che recitano
un'ambasceria. Lo spazio è diviso in tre ordini combinati tra loro in
analoghe equazioni semantiche. La sezione superiore è coperta dal
prospetto della città incorniciata dall'arco scenico marmoreo che
sfronda l'accumulo edilizio degli eccessi della verosimiglianza
topografica. Sono quindi schierati il Castello del Buoncosiglio nello
scorcio del Magno Palazzo residenza di Bernardo Clesio compiuta nel 1536 e il
Duomo col complesso del Palazzo Pretorio il campanile del Castelletto e
la Torre Civica, emblemi del potere temporale e spirituale della
comunità trentina. Oltre gli edifici, a compendiare l'orografia della
Val d'Adige, sono riconoscibili le piramidi del Monte Cimirlo e del Doss
d'Abramo, uno dei tre denti dove s'insediò l'antica ''Tridentum''.
Larga fetta del fondale è occupata dal fronte sud di Palazzo a Prato,
col portale ora incorporato nella parete adiacente l'affresco che reca
sull'arco, quale relitto del fasto passato, la data 1512 (nota3: cfr.
Roberto Festi, I palazzi rinascimentali a Trento al tempo del cardinale
B.Cles, Trento, 1985, pp. 50-51).
Il portale è
sovrastato da una struttura architravata ornata nel dipinto da due
statue classicheggianti, già attribuita a Giovanni Falconneto attestata
a Trento nel primo decennio del secolo. Se tale ipotesi fosse
riscontrabile gioverebbe ricordare come l'architetto veronese avesse
eretto nel 1524 la loggia di Palazzo Carnaro a Padova, il cui portico
ospitò alcune "comedie" del Ruzante. Ai lati del Palazzo sono
il torrione, baluardo cilindrico a difesa dell'entrata sud di Trento ci
fa pendant, dietro l'edicola, la cinta muraria, e la chiesa di SS.
Trinità, aperti sui rispettivi ingressi da praticabili connotati quali
diaframmi insoluti tra l'illusione pittorica e l'immaginazione scenica.
Ciclo di S.Orsola - Telero
III - Carpaccio
La processione
mostra lo spazio neutro tra la metafora della città ideale e il luogo
razionale della scena, stipato nella griglia prospettica dell'impianto e
del soffitto a cassettoni, nella cifra simbolica della favola che si va
a rappresentare. Sotto il crocifisso, al centro della composizione, è
la figura di schiena del maniscalco, identificabile dal fregio d'oro
colato sulla veste e dalla tensione del braccio destro che guida la
marcia. Egli indossa il "calzo" tipico degli affiliati alla
Compagnia della Calza, i festaioli della Serenissima, registrato nella
varietà delle fogge e degli ornati che il testo carpaccesco campiona
con documentaria osservanza. E' il maestro di cerimonia, regista
cortigiano dello spettacolo offerto dai compagni a suon di marcia quale
direttore d'orchestra avanti lettera. Alla musica è inoltre connessa la
scansione ritmica del corteo e il ruolo del maniscalco è comicamente
legato a quello d'un musicante col relativo strumento gerarchizzato in
tonalità alte o basse conforme l'impiego pubblico o privato della
parata. nel terzo telero del ciclo orsolino "Il ritorno degli
ambasciatori" il maniscalco e il paggetto col ribechino governano
la funzione dell'estrema sinistra. Nella redazione trentina non compare
il suonatore e s'ha quindi la prima smagliatura - accolta la sequenza di
una lettura in progressione - nell'ortodossia filologica del genere. ma
supplisce tale silenzio la collocazione del personaggio, cervello e
fulcro reale dell'immagine. L'indice teso segna il punto di due
triangoli isosceli opposti al vertice, i cui lati obliqui sono tracciati
dalle rette che uniscono l'indice agli angoli della cornice
dell'affresco. Il rapporto tra base e altezza, nei due triangoli è
uguale (1,3). l'orientamento del capo è pi inequivocabilmente rivolto
ai tre compagni che davanti al portale di palazzo a parto marcano un
passo simmetrico al cadere dei coli del maestro, passo colto dal
Carpaccio nell'istante privilegiato della genuflessione, tra l'incedere
all'edicola e la pausa che consegna la recita al figurante più
prossimo. la riverenza è occasione di mostrare il ricamo sulla cala,
emblema della compagnia officiante; insegne che il dipinto trentino cuce
nelle brache del giovane col calice in primo piano mentre l'impresa del
Cles è esibita dagli attori negli stendardi recati a spalla. il gruppo
impone quindi il raffronto col cast codificato del corteo diplomatico,
qui nella specie veneziana della "momaria".
Resta
da valutare l'effettiva sopravvivenza di tale formalizzazione alla data
del ricevimento. il cinquantennio che lo separa dal ciclo carpaccesco
testimone e interprete dei coevi allestimenti, vede nascere e definirsi
la commedia regolare e al contempo semina le premesse all'imminente
travaso del luogo teatrale nell'idea stessa di teatro. Il corteo
trentino non doveva lesinare munificenza nello spiegamento d'invenzioni
sceniche e per il collegio ch'era chiamato a intrattenere e per la posta
che l'intrattenimento puntava. scorrendo la cronaca fiorentina
dell'apparato stradale in onore delle nozze di Cosimo de Medici con
Eleonora di Toledo, artefice il Tribole il 25 giugno 1539 salta
all'occhio testo alla conversione in immagine del resoconto verbale la
distanza di qualità figurativa rispetto alla momariatrentina. "Era
dinanzi alla porta, un leggiadro e ricco Antiporto, di composizione
tutta dorica, il quale riquadrato con un imbasamento di Pilamidoni,
Pilastri, Architrave, fregio e cornice, univa la seconda porta alla
prima, tenendo ciascuna di loro tra due colonne del medesimo genere e
modo. e di sopra alla bella cornice, che salda lo rigirava d'intorno,
surgeva un gran frontespizio, con diverse istorie in lui figurate [...]
con la solita compagnia et ordinanza, per la strada della Nuntiata, se
ne venne alla piazza di S.Marco, dove il nostro ingegnoso Tribolo, ad
onore del sig. Giovanni aveva fatto un superbo cavallo alto braccai XIII
dalla cima a terra, figurato" (da una Copia di una lettera di
M.Pier Francesco Giambullari a M.Giovanni Bandini, Firenze, Giunta,
1239, pp. 6-8; cit. in Sara Mamone, Il teatro nella Firenze medicea,
Milano, 1981, pp. 93-94; sugli allestimenti fiorentini v. L.Zorzi, Il
teatro e la città, Torino, 1977). Qualità
non riferibili al numero di figurazioni, quanto all'assimilazione di
queste in articolate macchine immaginifiche.
Ritratti di amici utilizzati
come modelli per i profili dei personaggi
Più
consona alla messa in scena dell'affresco è quella descritta nei diari
veneziani di Marin Sanuto circa la rappresentazione del 2 maggio 1513
alla presenza di legati pontifici, di Spagna e di Ungheria "vene la
prima demostration, che fu sier Marco Antonio memo quondam sier Lorenzo
vestito di ruosa secha da vescovo et legato di Papa Calisto, e presentò
al re uno breve dil Papa, come el manda questo episcopo de nulla
tenentis a congraturarsi et li dette la credenza; qual, esposto l'oratione,
li presentò una corona da re et lo incoronoe et benedì. il re lo
ringratioe et volse vedesse vallar, e fo fatto uno ballo in su soler di
do donne e do compagni" (Mario Sanuto, Diarii, XVI, coll. 206-7 in
L.Zorzi, Carpacio, cit., pp. 69-71).
Sintesi
questa espressa entra il boccascena del dipinto - foss'anche il caso di
rimarcarne il carattere confusionale circa l'aderenza all'impaginazione
storiografica - nello spiegamento del corteo dalla pittura di città
alla realtà urbana invasa. L'impresa stessa del Cles, suggellata da
un'improbabile compitazione letterale, destina la garanzia della pompa a
un personaggio defunto sei anni avanti. L'allineamento topografico del
fondale, ritualizzazione dello spazio, si coniuga infine nel tempo
esteso della festa dove la presenza del principe-vescovo, trasferita
dall'effige all'attiva partecipazione alla teoria porporata, avalla la
dimensione ideale dell'evento e ne consegna la verifica alla virtù
didattica dell'artificio.
Percorso
longitudinalmente il prospetto cittadino, il corteo compie una volta
all'altezza del Torrione oltre la cui apertura s'allunga una prospettiva
viaria, menzione di quella che di là del portale, nel primo telero
orsolino proietta il testo spettacolare in quello pittorico, oltre il
diagramma e che avrebbe troat una sistemazione agli epiloghi del '500
nel teatro olimpico di Vicenza.
Un trionfo floreale
listato, e canora il modello s'ha nel primo telero tra i festoni di
bosco sopra il trono regale, segna l'ultima stazione inanzi della sosta
all'edicola, nella piana simile ai prati romani del quinto telero. Lì
il luogo è colto nel ripristino topografico dello scenario reale, tra
la sommità di Castel Sant'Angelo e le varietà vegetali, ancorché
simboliche, della terra tiberina; qua la radura è un amorfo stendersi
di natura incolore, di grado zero dell'informazione, e solo la schiera
di comprimari e figuranti e la mascherata e le robe per la comedia
rivisitano il senso alla luce della meraviglia e dell'aura di soggezione
mistica ch'essa emana. E si ricordi, quale aggiunto episodio figurativo,
la sequenza della sfilata di moda ecclesiastica nella Roma di Fellini.
Tra i cardinali,
alla base dell'arco, governa il campo formalmente confuso al concilio Bernardo
Clesio in attesa di guadagnare l'edicola dove già, terza tappa del
viaggio, lo rappresenta l'emblema col leone rampante sul piedritto del
loggiato. L'identificazione della figura col principe trentino resiste
alle incertezze dell'anacronismo e ne sottolinea l'estensione temporale
in un racconto che nel catalogo iconologico assume il calendario del
proprio sviluppo (nota6: sull'iconografia clesiana v. Roberto Festi,
Bernardo Cles. Iconografia, Trento, 1985).
Così il prelato in
bianco al seguito dei tre cardinali in paramenti regge un libello e
scambia un'occhiata col compagno all'estrema destra sotto l'edicola, il
quale, nella torsione del busto concentra l'attenzione al ventaglio di
presenze coreografiche in prossimo attacco. Nei citati teleri
dell'ambasceria compaiono diversi figuranti con libri o cartigli,
esponenti di quel rango di cerimonieri legati alle corti, istruttori di
maniere diplomazia nella vita e nell'arte. I fogli costituiscono appunto
le parti da recitare, siano materiale compreso all'azione, siano formule
d'accesso tecnico al rito del teatro. Nel rimo telero un fanciullo legge
il manuale sotto l'ammaestramento di un cortigiano; nel secondo il
dignitario al centro dell'edicola stringe un rotolo; nel terzo, dove la
momaria impera, l'attore di spalle offre al pubblico del dipinto, non
più dello spettacolo, il canovaccio della commedia. Tornando
all'affresco par dunque di cogliere nella sospensione dello sguardo dal
soglio l'incertezza e la tensione retorica che intercorre tra l'arresto
e l'attacco della battuta, rassicurata dalla sapienza vigile del
compagno sotto l'edicola.
L'ammonimento del
frate, tra i cardinali e il palco, allude poi alla mansione del
didascalo, colui che indica al riguardante il fatto saliente del corso
scenico. Seguendo con l'indice, le strade dell'attenzione portano a un
imprecisabile momento parenetico, sia il Crocifisso antefatto del
congresso, sia il maniscalco che ne regola le mosse, sia la città
vessillo di un bivio storico; è peraltro verosimile che la direzione
conduca al compito del mostrare, dell'additare a chi presiede e osserva
il cuore stesso dell'intrattenimento e se l'autore moderno, compiendo lo
spoglio degli antichi testi pittorici ne ha colto il motivo sottraendolo
alla destinazione primigenia, astratto dalla radice semantica esso
esalta l'immediata e gratuita contingenza formale del gesto.
Attento al ruolo è
invece il didascalo sotto l'edicola presso il cardinale cerimoniere,
assai prossimo all'istruttore dei giovani nel primo telero veneziano. La
postura della mano è orizzontale, e seduce ora l'interpretazione di un
moto converso al dito del frate. Indicando questi l'altro del saio
votivo, alluderebbe al potere spirituale della chiesa che nella persona
del prelato, incarna il potere temporale, orizzontale, esteso al mondo.
Nell'economia dello scambio tra pittura e teatro, che qui vuol
scombinare i codici riassettandoli in una tavola comune, si legga il
perpendicolo dei segni saldo alla trama delle mere apparenze, e le
figure personaggi di scena, onde, godutane la giostra e i lazzi,
consegnarli alla memoria regolatrice dell'intelletto.
L'invito del
didascalo rincorre quindi il posto mobile del maestro di cerimonia
presente, nelle tre fasi, nel maniscalco nel prelato e nel cardinale. A
essere in gioco è la nozione di spettacolo e ricondurne i modi al
regista impegna il pubblico a osservarne il volere senza esimerlo dal
ruolo di giudice ch'è infine, giusta la natura esemplare del tiro
cortese, sarà la parrocchia a tributare gli onori.
A guardia del corpo
diplomatico sotto l'edicola è un cavaliere soffocato nell'armatura e
solo il travestimento, l'ornato di superficie, sorveglia le
celebrazioni. E' sufficiente un alito di realtà per rovesciare il
costume che ha sopraffatto l'uomo e ha raggiunto il palco quale maschera
di diritto. E proprio agli anni '40 risalgono i primi contratti notarili
che legano i comici dell'arte alle compagnie. I tempi sono maturi per
approntar commedie sulle edicole in piazza.
L'edicola è allora
il luogo deputato del teatro, alterata nell'affresco del prolungamento
cronologico della sua funzione alta, ora accolta a palazzo, ma
puntualmente allestita nel programma iconografico carpaccesco. nel
secondo e nel terzo telero sono alzate architettura fittizie nelle
piazze capitali dei regni di Bretagna e Inghilterra. L'eredità delle
"mansion romanze", tribune allineate a indicare le azioni
successive del dramma, s'agghinda delle scoperte e del gusto
quattrocentesco e registra le prime testimonianze figurative, poi
codificate nella trattatistica cinquecentesca, dei gradini d'accesso al
palco quindi della distinzione, e dell'ormai acquisita coscienza, di
spazio scenico e spazio pubblico. frattura questa che solo le
avanguardie del ventesimo secolo tenteranno di suturare.
Dietro il cavaliere
cresce il "virtus virgultis", fortunata trasposizione
umanistica di una ricca nomenclatura che dal "cantico dei
cantici" all'assunzione profana nei moduli cavallereschi - e qui
giova assai il nesso tra i due - dissemina le camere di vergini e santi
di bonsai allusivi i pregi del soggetto ritratto. nel "Sogno di
Sant'Orsola", sesto telero, il garofano e il mirto prefigurano
l'ascesi della martire, come nel "Ritratto del cavaliere"
ancora Carpaccio raccoglie erbario bestiario e soldato in una collezione
di umane virtù.
Particolare - Cavaliere in
armatura e officianti
Tra i 14 personaggi
ammessi a calpestare i marmi iperrealistici del palcoscenico,
inverosimili nel virtuosismo simulante la pietra, sono tre dame, tre
cardinali, tre cortigiani, un damerino, i tre officianti l'offerta e il
cavaliere. Pronunziando la formula liturgica appresa dal libro con la
parte, l'attore solennizza la presentazione dei doni eucaristici,
pantomima di una seduta conciliare d'imminente questione. L'improbabile
presenza femminile sul palco curiale non è che ironica colorazione del
confabulare tra i figuranti, come il damerino che all'estrema destra,
contro lo specchio tradizionale del trovarobato comico, le osserva
beota. Solo il cardinale appoggiato in primo piano al punto di fuga
prospettico, colui che più d'ogni altro appare il destinatario della
messa in scena, attende impassibile che essa svolga il suo tempo.
"Questo episcopo de nulla tenentis" della cronaca "sanutiana"
consuma nell'ultimo atto lo stupore straniante del costume indossato. E
gli sono eco le due sagome sul fondo abbandonate alla balaustra come
certi fratelli del secondo telero orsolino, già annoiati
dell'annunciato sipario sulla novella.
Persino i due
armigeri e i cavalli bardati oltre i gradini inchinano le criniere ai
comprimari e in quel gesto succube, e nel tremolare delle gualdrappe a
liste è l'implicito fremito che carica la fugace, ma non meno decisiva,
parola intonata nel coro.
Ecco le brache
striate del compagno avanzato sotto il fornice dell'arco di pietra
tracciare il limite della rappresentazione: se le calze e l'anello alla
cintola badano all'abito e a una funzione di scena il busto nudo
restituisce il corpo al contenitore bidimensionale della pittura; e la
soglia della ribalta sottrae all'edicola e al mondo del teatro la metà
dell'osservatore, il quale confusi gli stimoli retinici alla sinestesia
delle impressioni sceniche, rinuncia a capire dove corra il confine tra
l'intrattenimento e la sua morale.
|