Il Palazzo delle Poste di Trento |
Portale con l'aquila - lato sud Da De Carli G., Il nuovo palazzo delle Poste a Trento, in Trentino: rivista della legione trentina, 11, 1934, pp. 495-498:
Con opportuno provvedimento, il Ministero delle Comunicazioni decideva di cancellare dalla moderna fisionomia architettonica di Trento, l'ultima traccia dell'imperial-regio stile aulico, deliberando la ricostruzione del palazzo delle poste cittadine. L'architetto Angiolo Mazzoni veniva incaricato del progetto che, per essere stato redatto in quel periodo dell'evoluzione architettonica nazionale, in cui gli architetti più accreditati impostavano le loro concezioni s un modulo di compromesso, doveva fatalmente ritenere, pur nell'esecuzione tardiva, i peculiari caratteri di quello specifico "stile novecento", segno agli strali dei razionalisti, da un parte e dei tradizionalisti dall'altra. Il fatto poi che il progetto doveva comportare lo sfruttamento delle vecchie strutture, nonché fino ad un certo punto la conservazione ed il ripristino di storici lineamenti stilistici, non poteva non contribuire a coercire e, più o meno, ad involgere la libera fantasia artistica dell'architetto. [Converrà forse ricordare come il palazzo a Prato, incorporato nel nuovo edificio, nelle tornate del concilio di Trento (1545 e 1562) ospitasse successivamente i legati pontifici e Carlo di Guise cardinale di Lorena e passasse per uno dei più sontuosi palazzi cittadini. Non è però attendibile la tradizione che presume assegnarlo al Palladio o, almeno, allo stile magistrale di questi, tradendo, le parti superstiti (capitelli, colonne e finestre) quello stile provinciale tanto caratteristico ai palazzi trentini del primo rinascimento. Se la grandiosità del portale poté trarre in inganno, il rilievo piuttosto piatto delle sue strutture e le loro smilze proporzioni, sconfessano inequivocabilmente quella paternità. Il palazzo fu quasi completamente distrutto da un incendio nel 1845, nota in pag. 498]. Per tali ragioni, le deficienze, agli effetti funzionali ed estetici, che emergono da un attento esame dell'edificio non possono menomare la fama d'un architetto, il quale pure a Trento affermerà la sua preminente (p. 495) personalità nel nuovo edifizio della stazione ferroviaria, di cui abbiamo potuto ammirare il magnifico plastico; se mai, potranno smentire ancora una colta, quella mentalità, per fortuna già storica, che pretendeva attardare il libero evolversi del gusto architettonico in ibridi compromessi con la tradizione, sia per una falsa interpretazione dei concetti inerenti a classicismo e a romanità, quanto per una utopistica pretesa di canonizzare determinati elementi stilistici. L'architettura mazzoniana fu già felicemente definita 'massosa' e nel suono palazzo cittadino, infatti, le masse d'impongono o per riposante serenità o per saliente ciclopica possanza; mentre nervature e profili assumono ovunque parvenza o consistenza di macigno. Ma il movimento delle masse, necessariamente imperniato su capisaldi prestabiliti, non riesce sempre, a nostro avviso, equilibrato, né sufficientemente organizzato da quelle episodiche modulazioni strutturali, pur esse peculiari all'architettura mazzoniana e tanto efficaci alle determinazioni di pittoreschi spunti emotivi. L'adozione sporadica, ad es., di archi vivamente profilati entro la rigorosa riquadratura dei volumi ed il rettilineo, non profilato ritmo dei vuoti, riesce, talvolta, anacronistica; quanto, spesso, decorativamente pleonastica l'insistente sbozzatura diamantina della pietra sulle limpide stesure murali ed appare lo zoccolo pilastri e portali; mentre i tetti sgrondanti ritardano e appesantiscono lo scatto delle masse. Ciò non implica che la geniale abilità dell'architetto non s'affermi, quando come sul fianco orientale del palazzo, non inceppa in strutture giù essenzialmente stabilite, estrinsecandosi in uno stile inequivocabilmente magistrale; o quando, negli interni, plasma sagome primitive con classica precisione e valorizza, con bizantina passione, materiale e colori ai più complessi effetti luminosi. Il suo raffinato gusto aristocratico, poi trova degna esemplificazione, ove contempera, con lodevolissima sensibilità storica, antichi lineamenti e moderni servizi. Questo palazzo ad ogni modo, segna a Trento una tappa non certo ingloriosa di quell'indizio ascensionale, coraggiosamente (pag. 496) intrapresero dalla nostra architettura nazionale, seppur non ancora decisamente orientato alla radiosa meta intravvista, e attesta, ancora una volta, la sollecitudine non scevra di munificenza, con cui il Governo nazionale incrementa il rinnovamento cittadino; sollecitudine di cui il nuovo palazzo non è l'ultima testimonianza. Altre importantissime opere essendo in corso d'esecuzione, le quali meglio potranno esemplificare, quivi, gli ulteriori sviluppi tecnici (p. 497) ed estetici cui è arrivata l'architettura: espressione d'arte tipicamente propria ai popoli che segnano epoca nella storia (p. 498).
Fig.1. Prospetto verso via SS. Trinità. Il corpo d'angolo s'inserisce con signorile leggiadria fra i due severi corpi concorrenti, vivacemente messo dal peso del balcone e dallo slancio della torretta. Lo spartito architettonico riesce, quivi, intonato sui più disparati accordi e si enuclea nella pilastrata ad archi entro cui accende poliedriche 'chiarità' tonali l'affresco di Bonazza, impeccabile nel disegno e 'musaicizzante' nelle preziosità decorative (Foto di Enrico Untervengher).
Fig. 2. La corte principale. Vivacissimo scorcio della corte, con insulae sul cortiletto che dà un saggio del geniale estro compositivo dell'architetto (Foto di Enrico Untervengher).
Fig. 3. Il restaurato cortiletto del vecchio palazzo a prato. Avveduta e gustosa la delimitazione del cortile, con la leggera frammentaria iconostasi in cotto, la quale, pur consentendo libero sbocco e ampia visuale sulla coste principale, circoscrive armoniosamente il tranquillo recesso, consacrandola alla memoria degli antichi fasti. Quivi sfociano con ampie vetrate e colori i locali del dopolavoro postelegrafonico. Le vetrate furono disegnate da depero con carattere costruttivo e da Tato con senso pittorico. La moderna fontanina con la quadrata sagoma riesce alquanto ingombrante (Foto di Enrico Untervengher).
Fig. 4. Fianco orientale. Geniale l'articolazione delle masse in un ardimentoso sistema scalare che snodandosi dall'area pensilina, per il gradone del portale sagomato in pietra ed integrato in cotto, scatta per gradi sempre più brevi al vertice marmoreo del monumentale comignolo. Felice raccordo fra le due ali dell'edificio, qui fronteggiantisi (Foto di Enrico Untervengher).
Fig. 5. Prospettiva della facciata verso piazza A. Vittoria. Lo scorcio delle masse e gli effetti della luce radente determinano un piacevole vivacissimo accostamento degli elementi compositivi, pur conferendo esplicita evidenza al pilastro d'angolo su cui irrazionalmente svuotato lo spigolo murale per ricavarne nicchietta con tettino, ostenta meschina monumentalità negli innegabili pregi plastici, il Santo patrono delle comunicazioni (Foto di Enrico Untervengher).
Fig. 6. Lo scalone principale. Bellissimo e di ponderato effetto, nella struttura mista di marmo e di mattoni; ornato al sommo dal magnifico affresco di Pancheri che dà un saggio di quella che può essere, pure nell'estrinsecazione formale di maniera novecento, la funzione dell'affresco a servizio dell'architettura.
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