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CIMA 

Paco era in casa ancora con gli scarponi ai piedi indossando un paio di blue-jeans e una vecchia camicia di lana a scacchi rossi: quelle tipiche “da montanari”. Era indaffarato ad accendere el fregolér per riscaldarsi una zuppa di orzo e patate mescolata ad altre verdure lesse. Lo squillo del telefono nella stanza adiacente lo distolse dal lavoro. Era Lollo che iniziò la telefonata con un segno convenzionale:

-         “Hay, ay, ayiiii” Allora come va?-

-         Ieri ho seminato l’insalata ed oggi radicchio, carote, e finocchi. Eh! Nessuno ha ancora fatto niente nell’orto; dicono che finché non piove non si semina. Sabato viene mio nipote “Bauer”, così se vuoi possiamo fare qualcosa.

-         Sì ci stò, cos’avete in mente?

-         La Winkler.

-         E com’è?

-         Aaaah; roba facile, ce la puoi ben fare! Portiamo tutto noi.

Si andava ad arrampicare. Era la prima dell’anno! Lasciando tutto così com’era, corse allo scaffale che si era fatto in un pomeriggio con alcune assi mezze marce che aveva recuperato da qualche parte oscura del vecchio mason pericolante adiacente alla sua abitazione. Si mise a revisionare il materiale.

-         Facciamo tre moschettoni a ghiera. Mmh, vediamo … anche quattro cordini e quattro moschettoni, e ancora due rinvii di questi belli nuovi. Un pér de ciodi che chel aloo ‘l è semper ciòch, ‘l martél, un toch’ de speck, un pez de furmai ‘l pam e ‘l curtél. (Un paio di chiodi che quello è sempre matto, il martello, un pezzo di speck, un pezzo di formaggio, il pane e il coltello).

Continuò a riempire lo zaino con le scarpette da aderenza, l’imbrago, il caschetto, giacca a vento, pile, e gli indumenti che avrebbe poi indossato; così era tutto già pronto per il giorno della partenza. Gia nel buio della sera iniziò la sua cena fantasticando sull’avventura, emozionato di gioia. Il giorno dopo Paco scese da Lollo percorrendo a piedi il ripido sentiero nel bosco. Dalla sua casa costeggiando el mason pericolante di legno annerito dal sole e dall’acqua. Da lì il sole ti riscalda i vestiti con una piacevolissima sensazione di tepore e si può dominare la valle vedendo tutti i paesi e le frazioni come se si fosse sulla torre di un castello. Infatti Paco quando parla di casa sua dice sempre: -“Te me ciastél”-. Poi il sentiero entra nel bosco ed i cinque minuti, scendendo lungo i capitelli della via crucis, si arriva alla chiesa vecchia e poi a casa di Lollo. Aprendo la porta aveva quel suo sorriso burlone e allegro ancora più carico per l’evento speciale che stava accadendo.

-         Hae,aeaeaeee! Allora sei pronto?!-

-         Si ho già lo zaino pronto e tu?

-         E’ là … Viene anche Bruno.

-         Ah bene! E’ da tanto che non si vedeva in giro El Rocha!

-         Sabato mattina alle Sei e mezza qui.

Giorgia sbucò all’improvviso da una porta della casa, silente ma con gli occhi brillanti ed un sorriso di gioia che pareva illuminare la casa. Con la sua voce melodica e le gote rosee per l’emozione lo accolse con poche parole, riuscendo sempre a mettere a suo agio i suoi ospiti ed in particolare gli amici di Lollo  – “Si è fatto tardi, digerirò il buonissimo pasto risalendo a casa”-

Raccolto nel bavero per l’aria fredda che scende dalla montagna e orientandosi nel buio solo con il riflesso della luce delle case, ansimando per il passo veloce sul ripido sentiero, immerso nell’oscuro bosco, si accorse che in quella particolare circostanza, benché il percorso gli fosse famigliare, si sentiva avvolto da una quiete surreale e vide nel buio animarsi l’ombra. “Sarà un capriolo; oppure il vino; oppure i “fenomeni” che da qualche tempo mi càpitano.” – “Già! Mi dovrò preoccupare del fatto che da quando sono in questa vecchia casa isolata, nelle penombre dei luohgi più oscuri mi sembra sempre di veder schizzare via qualche cosa o qualcuno? Oppure che dai fruscii e cigolii delle porte vecchie mi sembra che fuoriescano parole sussurrate che a volte pronunciano il mio nome? E poi c’è quella vecchia con quei vestiti rosa pastello sbiadito che qui non la conosce e non l’ha mai vista nessuno e mi compare davanti all’improvviso quando scendo dal sentiero, precedendomi, e poi scompare all’angolo della casa?”

 

 

 IN CIMA ALLA VETTA

 

    All’appuntamento a casa di Lollo erano arrivati tutti in anticipo. Nello zaino preparato la sera prima c’erano disposti ordinatamente tutti i materiali necessari all’arrampicata: l’imbrago, le scarpette, il caschetto e il materiale. E’ stato sufficiente aggiungere soltanto la borraccia con il the caldo, che anche il pane e spek era stato già messo prima. Il pane e spek, mangiato in gita ha un altro sapore. Il cibo prende il buon aroma dell’aria frizzante della prima mattina, che in estate ha il profumo appassito del fieno, e quello dolce dell’erba e dei fiori; poi anche lo zaino che ha raccolto gli aromi del cibo di tante gite e porta con se il sapore di terra e di roccia lascia il suo sapore. Un aroma forte ma gradevole. Poi mentre mangi il vento di quota che porta finissima e impercettibile la polvere di sasso raccolta dalle pareti e dai ghiaioni, e ti entra in bocca mentre mastichi. Anche il magnesio calcareo delle montagne ha quel suo sapore un po’ ferruginoso che, assieme agli altri condisce il cibo semplice del pane e spek.

La mattina presto quando ci si alza dopo una settimana di lavoro, si è un po’ affaticati, intontiti. Ma nel silenzio inizia quel rituale che è il preludio della libertà di un ingresso nella natura, di un contatto con l’anima Divina nascosta in Noi; e non l’avvio ad una giornata di schiavitù sul posto di lavoro. La colazione preparata con calma e con gioia, non ha lo stesso sapore di quella preparata per recarsi al lavoro, anche se i gesti sono gli stessi. Si respira più profondamente, come a prendere possesso di quella giornata; quella unica giornata in cui ogni essere può realizzarsi appieno nell’espressione libera  della sua creatività.

L’incontro a casa di Lollo era per loro già lo sperimentare l’unione di un’amicizia fraterna; ma Lollo serbava con sé un sentimento segreto. Un’emozione che andava oltre l’offrire le cure e le attenzioni della propria ospitalità per una colazione in compagnìa.

Dai visi rilassati e rosei ancora “da letto” usciva la luce degli otto occhi vivaci, che fra un modesto commento o un sorriso autoironico, intessevano discorsi muti fatti di sguardi di intesa e complicità. Giorgia, bellissima, molto umilmente li assisteva nei preparativi dandogli, con un po’ di apprensione, le ultime raccomandazioni di prudenza, da giovane donna innamorata.

Con eccitante allegria i quattro amici si pressarono dentro una piccola auto, con il loro bagaglio. Dal Gardeccia si avviarono con passo calmo verso il Vajolet; e dal Vajolet l’avvicinamento verso la torre Winkler.

Dal rifugio in alcuni minuti si arriva sotto le Torri (del Vajolet) e dalla loro base una cengia porta sulla Stabler. Lì si trova un terrazzino dove ci si può “vestire” e preparare il “materiale”.

Con sequenza sicura e veloce i quattro si “imbragarono” indossando la cintura di sicurezza e disponendo moschettoni e cordini secondo un ordine e sequenze precise e conosciute solo da chi pratica l’arrampicata da tempo. All’ultimo si decisero le coppie. Lollo con emozione dispose che avrebbe condotto la via “da Primo”. Ed ha scelto Paquo come secondo. Lollo era molto emozionato. Aveva scalato quella parete già due volte ed effettivamente, anche se arrampicava da meno tempo di Paquo quella via la conosceva bene e quindi fra i due era il più affidabile. Lollo era emozionato perché Paquo era stata la prima persona ad essere suo vero amico, e nel corso della loro amicizia Paquo, più vecchio di dieci anni, lo aveva sempre consigliato nelle difficoltà; ma soprattutto lo aveva “iniziato” alla montagna portandolo in palestrina; insegnandogli i nodi; tramandandogli i suoi trucchi segreti; e soprattutto confidandogli quell’approccio animico diverso che consente di entrare in contatto con “La Montagna” come se essa fosse un essere vivente.

Prima cordata, Bauer e Rocha. Seconda Lollo e Paquo. Lollo si muoveva lentamente ma con agile costanza, come un adepto nella danza del Tai-chi. Arrivato alla sosta la attrezzò nel modo consueto e Paquo attaccò. Anche Paquo era emozionato. Emozionato perché era da tanto che non scalava e ne aveva tanta voglia; emozionato perché aveva Lollo come primo. Anche se fra i due c’erano solo dieci anni di differenza, Paquo aveva accudito Lollo quasi come un figlio. Dopo i primi facili passaggi anche Paquo incominciò a destreggiarsi con eleganza. A Paquo piace arrampicare proprio per questo: per giocare con gli equilibri del suo corpo. E’ cresciuto con le “Filosofie” di Patrick Edlinger e Rehinold Messner.

Lollo era concentrato in più ruoli: godere anche lui del piacere dell’eleganza del movimento corporeo; sperimentare la ricerca del movimento sicuro e tecnicamente perfetto; provare dall’interno l’emozione della sfida della difficoltà. Vincere la paura, l’incertezza del vuoto, sapersi gestire il percorso e superare le difficoltà con i propri mezzi; la sua forza, il suo equilibrio, la sua esperienza, la sua volontà, e trasmettere tutto ciò al suo caro amico e compagno Paquo. Condurlo alla Vittoria della cima. Dargli l’opportunità di condurre la sua sfida personale. Lollo in quel periodo considerava l’arrampicare quasi come una terapia; infatti aveva notato che da quando il suo approccio all’arrampicata iniziava a maturare, anche lui si sentiva più sicuro di sé e le sue incertezze o paure adolescenziali e giovanili svanivano cima dopo cima.

   Il secondo tiro era facile: bello disteso ed ora il sole riscaldava le mani raffreddate. Toccare la roccia tiepida con le mani fredde produceva una piacevole sensazione. Il tiro terminava sotto un tettino che Paquo si gustò nella “ricerca del gesto”. Poi una cengia larga verso sinistra dava il via al prossimo tiro. Il punto era verticale e sotto di loro precipitava il baratro. Si fermarono a guardare il paesaggio. La fila di escursionisti di sotto. La visione delle cime da un’angolazione e una quota che le facevano sembrare belle e sconosciute; il cielo azzurro offuscato dalla leggera nebbia che dava a tutto un aspetto magico.

   Il Tiro inizia con un “passaggio chiave” nel quale è necessario uscire dal terrazzino ponendosi nel vuoto sotto una “pancia” da superare su appigli e appoggi minuti e con una sequenza ben precisa. Si chiama passaggio chiave per questo: è come la combinazione di una chiave; e se non lo fai bene diventa di una difficoltà complicata e ti incrodi restando lì come di fronte a una porta chiusa con in mano le chiavi sbagliate. Ma l’occhio dell’esperto riconosce gli appoggi e prima di iniziare si studia il movimento quasi immaginando prima i gesti da compiere. Nello Yoga si dice che in questa situazione si riesce già a muovere il corpo eterico e quello fisico non deve fare altro che seguirlo.

Superata la pancia si sale lungo un  diedro fino alla cima. Quel giorno a causa del cielo coperto pochi si erano mossi per arrampicare così i quattro si trovarono in cima alla torre Winkler uniche cordate della via. Un raggio di luce calda dissolse la nebbia che li avvolgeva ed i sorrisi che si intrecciavano in sguardi brillanti e pieni di vitalità esplosero in abbracci di gioia e di commenti commossi. I quattro riuniti sul piccolissimo spazio del terrazzino sulla cima della torre ritrovarono il senso dell’unione che permise loro di comprendere nel più intimo profondo della loro anima, il valore dell’unità e solidarietà umana. Ognuno di loro poteva percepire la profondità che stava nei compagni vicini. Restarono così alcuni minuti a vivere quella esperienza rara fatta di sentimenti ed emozioni intime. Non serviva parlarne. Si percepiva la certezza che ognuno provava la stessa sensazione.

Il pasto frugale e sobrio per recuperare le forze, qualche foto stupenda come trofeo per testimoniare l’impresa e poi … già pronti per il vertiginoso lancio nel vuoto in “doppia”. “Bauer” cercò e riconobbe gli anelli cementati nei quali infilare le corde per la discesa. Si accertò per ben due volte sulla direzione da prendere per la discesa. Quello è un punto dove è facile sbagliarsi ritrovandosi appesi nel vuoto senza vedere il terrazzino di sosta. Arrotolate accuratamente le due corde affinché non si aggroviglino, consumò lo spettacolare rituale del lancio nel vuoto della corda doppia. Tre tiri di doppia lungo le pareti strapiombanti e si era già scesi con la voglia di rientrare al rifugio per guardare da sotto i giganti appena vinti.

   Lungo il percorso di rientro e nella sosta al rifugio Lollo sprecava le parole per cercare di esprimere a caldo le sensazioni appaganti che aveva percepito nell’unità della cordata.

 

            

 

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