Da diverso
tempo avevamo pensato di incontrare Emidio Di Cicco per farci raccontare un po’
della sua vita ed inserire la sua intervista nella nostra rubrica “Ortonesi
Veraci”.
L’occasione del
compimento del suo centesimo compleanno ci è sembrata propizia, unita
all’interesse mostrato da Aurora Zauri che a scuola, nel preparare materiale
atto a ricordare i cento anni dal terremoto del 1915, voleva raccogliere la
testimonianza di Emidio perché, nel raccontare alla maestra di avere uno zio
centenario (è cugino del suo bisnonno Armando), nato in quella memorabile
giornata e chiamato Emidio, questa le aveva detto che si trattava di una
circostanza davvero eccezionale.
Ci mettiamo
d’accordo con Livia, sua figlia, e incontriamo Emidio Di Cicco a casa sua nel
primo pomeriggio del giorno sei dicembre 2014, in una giornata piovosa.
Ci sono
Annalisa Puglielli e sua figlia Aurora Zauri, Silvia Puglielli, Letizia Del
Capraro ed io.
Emidio ci
accoglie compiaciuto e contento di poter conversare con noi e raccontarci
qualcosa di sé.
Si alza dalla
sua poltrona posta accanto alla stufa a legna e ci dice subito che ci vede poco,
che ci sente poco, ma, in realtà, dall’unico occhio operato di cataratta, ci
vede abbastanza bene; le visite dall’oculista lo confermano.
Emidio di
Cicco, che di seguito chiamerò familiarmente Middio, perché è il nome con il
quale l’ho sempre sentito nominare, nasce ad Ortona dei Marsi, in Via Piano, la
mattina del tredici gennaio 1915, il giorno del terribile terremoto che
sconvolse la Marsica ed in particolar modo la città di Avezzano, ma non produsse
danni ad Ortona. La mamma lo dà alla luce mentre la terra trema e le mura “sott’
l’orta” si aprono e si richiudono, reagendo così alle scosse che sollevano il
sottosuolo. Appena nato, così gli hanno raccontato, viene portato in una stalla,
più o meno di fronte all’attuale “B&B – Il Sorbo” e la mamma con il suo piccolo
vicino viene lasciata sola, con accanto una pagnotta di pane e un fiasco di
vino. Anche la levatrice, Sor Emma, che abitava in piazza, a casa da “i romàn” è
scappata sopraffatta dalla paura. Il nome gli viene attribuito proprio per la
giornata particolare in cui è nato: Sant’Emidio è il protettore dei terremoti e
patrono della città di Ascoli Piceno, perché salvaguardò quella città in
occasione del terremoto del 1703.
Middio ci dice
di ricordare molto poco del suo papà, poiché questi è venuto a mancare quando
lui aveva appena quattro anni; il fratello, Domenico, nato nel 1900, invece
abbandona Ortona per recarsi in America nel 1938 in cerca di fortuna e lavoro.
La madre viene a mancare quando ha appena quindici anni e Middio va a stare
dalla sorella Felicetta, nata nel 1912, che vive al Casalotto, dove si è sposata
e che diventerà poi la suocera di Samuele.
Middio ci
racconta che ha frequentato la scuola fino alla quarta elementare, perché a quei
tempi la quinta classe si doveva fare a parte e non tutti potevano. Il suo
maestro è stato Emilio Verzellini di Roseto degli Abruzzi. Ci dice che, a
quell’epoca, il maestro era molto severo: quando non si riportavano i compiti o
si faceva chiasso “dava le botte”; spesso impartiva a qualche scolaro il
compito di controllare la classe e di scrivere alla lavagna il nome del compagno
indisciplinato che poi veniva chiamato ed interrogato.
Ad Ortona,
intorno agli anni venti, non c’era un edificio che fosse adibito a sede
scolastica. Le lezioni si tenevano in qualche stanza all’interno delle
abitazioni e queste cambiavano ripetutamente. Middio ha frequentato la scuola
presso la casa di Domenico di Cicco detto Cicc’Antonio, in via XX Settembre.
Ci racconta di
non essere stato uno scolaro modello: a scuola non andava tanto bene e aveva una
brutta grafia.
Una volta
finito il ciclo scolastico ha cominciato ad andare in campagna e a pascolare la
mula. Ricorda che, a quei tempi, le terre erano tante perché tutte erano
coltivate, mentre oggi le terre sono diventate poche perché sono quasi tutte
incolte, ricoperte prevalentemente da rovi e spine, tanto che risulta difficile
anche ritrovarne i confini.
Ci racconta che
della sua classe, 1915, alla chiamata per la leva militare, nel 1936, erano in
settantaquattro in tutto il Comune.
Middio è stato
inviato a Pola, oggi capoluogo dell’Istria, in Croazia, ma che in quel periodo
storico era una delle nuove province della Venezia Giulia, di cui l’Italia aveva
ottenuto la sovranità alla fine della prima guerra mondiale.
E’ stato un
bersagliere, ma è sempre stato un soldato semplice perché non gli interessava
diventare caporale. Infatti, quando si facevano le prove di tiro e si doveva
colpire il bersaglio lui sparava sempre ad un’altra sagoma.
E’ stato poi
attendente al capitano medico, sbrigando i compiti più svariati, dalla pulizia
delle scarpe all’acquisto di sigarette e quant’altro richiedeva la mansione cui
era stato assegnato.
Da Pola,
trascorsi i diciotto mesi di leva obbligatori, è tornato ad Ortona dove ha
continuato ad andare in campagna e a fare il contadino.
Poi, dopo
qualche tempo, è stato assunto da una ditta che si occupava di lavori edili, il
cui “capoccetto” era “Peppe di Giulietto” ossia Giuseppe Taglieri, ed è andato
a lavorare a Mondovì, in provincia di Cuneo, per la costruzione di un ponte.
Nonostante fosse così lontano dal suo paese natio non era solo: con lui
lavoravano altre venti persone di Ortona; ci dice che, purtroppo, il freddo
pungente di quella località montana “gli ha fatto passare i guai” e,
quindi, dopo circa quattro mesi ha rinunciato al lavoro ed è tornato a casa,
dove ha ricominciato a lavorare la terra.
Prima della
guerra ha svolto lavori occasionali anche a Monterondo, in provincia di Roma,
perché il cognato, quando vi si recava, lo portava con sé.
Middio ci
racconta un episodio inconsueto che gli è capitato in quel periodo, lasciandolo
estremamente attonito, sconcertato e ammirato. Una signora, nella casa dove
dormiva, mentre puliva il lucernaio è caduta dalle scale e si è fatta male ma,
anziché bestemmiare, come ci si sarebbe potuto aspettare, si è rivolta al cielo
pronunciando questa invocazione “se non basta questo, mandami l’altro!”.
Middio nel 1940
è stato chiamato di nuovo alle armi, purtroppo, questa volta, reclutato a
seguito dello scoppio della II guerra mondiale. E’ partito dal porto di Ancona
per recarsi in Jugoslavia, solo ortonese, ma vi è stato poco tempo, perché, a
seguito di nuovi ordini, è stato fatto tornare in Italia e, passando da Roma, si
è poi recato a Brindisi dove era previsto l’imbarco sulla nave per il trasporto
dei soldati in Albania. Invece, ulteriori disposizioni che contraddicevano con
il precedente ordine stabilivano che la partenza dovesse avvenire con gli
“apparecchi” che avrebbero fatto scalo a Valona.
Ci racconta che
il viaggio è stato drammatico perché dall’alto dell’aereo ha misurato la gravità
della situazione e ha avuto subito contezza di quanto l’attendeva: la città era
stata appena bombardata e lo spettacolo apparso sotto i suoi occhi è stato
agghiacciante! Ci dice: “ho visto tutti i morti”!
Middio in
Albania faceva parte di una squadra di soldati a disposizione dell’Undicesima
armata del II reggimento, con il compito di rinforzo in caso di attacco nemico.
L’atrocità, la
durezza, la crudeltà di questa guerra emergono con evidenza dall’esposizione che
Middio ci fa di un particolare episodio che gli è accaduto, intorno al
1940-1941. Un giorno, ci racconta, andò da lui il capitano e gli disse di andare
alla postazione e sparare, ma lui rifiutò, rispondendo: “io ho moglie e
figli”. Allora il caporale maggiore Palladini di Campobasso si fece avanti e
si offrì volontario dicendo: “al posto tuo ci vado io”. Purtroppo, però,
questo valoroso soldato non ce l’ha fatta: è stata ammazzato senza avere neppure
il tempo di arrivare alla postazione. Per la paura che si era preso, capendo che
si era salvato per miracolo, Middio ha cominciato a correre ed è letteralmente
volato dentro una buca, atterrando sopra un soldato moribondo che, purtroppo,
non è riuscito a portare in salvo. Un rammarico che si porta dentro, anche oggi,
nonostante siano trascorsi così tanti anni. Ma un commilitone come lui, un certo
Gargano di Roma l’aveva apostrofato in romanesco: “a Di Cicco, che stai a fa
ancora qua?, qui sò tutti morti” e, quindi, all’ascolto di questa frase,
compresa la pericolosità della situazione, è scappato.
Nel 1942 Middio
ha avuto una licenza ed è tornato ad Ortona dove ha trovato tutta gente
poveraccia.
Dopo
l’armistizio dell’otto settembre 1943, Middio dall’Albania è andato in Grecia,
muovendosi sempre a piedi. Questa volta non era il solo ortonese, con lui
c’erano Fernando Conte della Rccella e Erminio Asci di Cesoli.
In Grecia ha
preferito unirsi ai ribelli, ossia ai partigiani, ma le condizioni di vita erano
davvero dure: si mangiavano solo tre patate al giorno!
Ci racconta che
in Grecia ha dormito sempre fuori, all’aperto, spesso sotto i pini, e i posti si
cambiavano con molto frequenza; per tanti anni non ha conosciuto il riposo che
può dare solo il dormire sopra un letto, se non quando, finalmente, è rientrato
in Italia.
Per placare i
morsi della fame, perché non c’era nulla da mangiare, quando ha visto la terra
l’ha messa in bocca, ma non è riuscito ad ingoiarla, perché ci ha detto: “la
terra non si mastica”. Ha trovato, poi, un albero con delle pere acerbe e le
ha mangiate, ma queste gli hanno provocato una forte stitichezza, tanto che
stava per scoppiare. E’ riuscito a risolvere il problema solo grazie ad un pezzo
di sapone che Fernando aveva con sé, senza ricordare in che modo fosse potuto
finire nel suo zaino, ma che egli poté usare come supposta. Middio ci dice che
fu un vero miracolo date le condizioni di estremo disagio in cui vivevano.
A Carpiniss, in
Grecia, è stato testimone di altre barbarie: i ribelli avevano catturato
quattordici tedeschi, avevano scavato una buca e poi hanno sparato freddandoli
tutti, e i tedeschi, a loro volta, per rappresaglia, hanno bruciato ben
trentadue paesi!
Ci racconta che
dove stava lui è arrivato, dell’ultima leva chiamata al fronte, Pietro Silvagni;
questo nostro compaesano, però, non ha combattuto, perché appena arrivato è
stato subito ammazzato. Purtroppo, nonostante non avesse la vista buona, non era
stato risparmiato nella chiamata alle armi e al sacrificio della sua vita in
onore della patria.
In Grecia,
però, ha vissuto anche un breve periodo presso una famiglia locale alla quale
gli inglesi pagavano mezza sterlina.
Quando è
arrivato lo hanno subito denudato per far bollire i vestiti e sopprimere così
tutti i pidocchi; questi animaletti erano tanto numerosi da formare sull’acqua
uno strato spesso oltre due dita. Non avendo altro, queste persone gli hanno
dato come cambio degli abiti da femmina.
La casa dove
era ospitato era formata di un solo vano (stanza) e poiché il nucleo familiare
era composto di sei persone: padre, madre e quattro figlie femmine, si domandava
dove lo avrebbero messo a dormire. Ma la sera, giunta l’ora del sonno, vi era un
rituale da rispettare perché il primo a coricarsi era il padre, poi le figlie e
poi la mamma in modo da coprire in modo razionale lo spazio disponibile. A
Middio avevano destinato il posto vicino al camino, con la testa rivolta verso
il focolare e i piedi verso la mamma.
Ma una notte,
involontariamente, ha toccato con i piedi il sedere della mamma e per questo
gesto un po’ irrispettoso il padre lo voleva ammazzare. Fortunatamente, la
figlia quindicenne riuscì a far comprendere al padre l’equivoco nel quale era
caduto. Ma, Middio che riusciva a capire un poco il greco dialettale, si rese
conto che la moglie e il marito aveva complottato tra loro e lo sfidavano a
portare una grossa fascina di legna: se si fosse dimostrato capace lo avrebbero
salvato, altrimenti lo avrebbero buttato giù dalla scarpata.
Naturalmente
Middio, nonostante la debolezza dovuta al deperimento fisico, ha superato la
prova e tutti i membri della famiglia poi gli hanno voluto bene. Lo facevano
lavorare sodo in campagna, ma i frutti di questo duro lavoro hanno consentito a
tutta la famiglia di alimentarsi mangiando il mais, le lenticchie, le patate e
quant’altro Middio aveva seminato.
La moglie del
padrone era comunque una brava donna: con una coperta riuscì a confezionargli
due paia di pantaloni.
Middio ci
racconta che Fernando Conte abitava nella famiglia del fratello che lo ospitava.
Una notte, mentre Fernando dormiva nella stalla, il vitello muovendosi
all’indietro e non rendendosi conto della presenza di una persona, lo calpestò e
quindi Fernando cominciò a bestemmiare e non capendo cosa dicesse il padrone
andò da Middio per chiedere il significato di quello che era stato detto.
I pidocchi
hanno caratterizzato la vita di Middio come di tutti gli altri soldati al
fronte. Quando si è imbarcato per tornare in Italia, per eliminarli ed evitare
contagi, gli inglesi, sulla nave, hanno bruciato i pochi panni che aveva senza
preoccuparsi che rimaneva nudo e potesse avere bisogno di un cambio di abiti;
per coprirsi ha utilizzato una coperta trovata sulla nave che, però, all’arrivo
non ha potuto portare con sé, ma ha dovuto lasciare sull’imbarcazione;
fortunatamente, quando è sbarcato a Catanzaro, ed era il mese di dicembre, un
signore di Lecce gli ha dato una camicia e un altro signore del posto gli ha
dato un paio di pantaloni e così è riuscito a vestirsi.
Quando è
tornato in Italia Middio aveva la febbre alta; il medico che lo ha visitato lo
ha rimandato a casa ed è tornato ad Ortona con mezzi di fortuna. La sua non era
una febbre da raffreddamento, ma da malaria. E’ stato ricoverato prima
all’ospedale di Pescina e poi, per una cura più efficace, a base di chinino,
presso l’Ospedale Civile di Chieti, dove, come militare era da solo ed è stato
considerato un disertore, altrimenti come soldato avrebbe dovuto essere portato
all’Ospedale del Distretto Militare. Per questa ragione, nonostante tutti gli
anni al fronte, non ha avuto diritto alla pensione di guerra.
Quando è
tornato in Italia era estremamente deperito, pesava a mala pena venti chili e il
figlio Peppino, nato nel 1939, non lo ha riconosciuto.
Una volta
rimessosi Middio è tornato a fare il contadino, utilizzando come suo compagno di
lavoro prima l’asino e poi la mula.
Anche Middio,
come quasi tutti gli uomini ortonesi è andato a lavorare a Frascati. Partiva nei
mesi di ottobre-novembre e tornava in primavera. Abitava con molti altri paesani
nella Stenzia di Arcoletta, dove stavano tutti ammucchiati e dove non era
possibile lasciare il posto, altrimenti qualcun altro lo avrebbe immediatamente
occupato. Si cucinavano da soli, usando dei grossi bidoni.
Sulle relazioni
con le fanciulle Middio ci dice che a lui piaceva scherzare con le ragazze, era
un po’ un don Giovanni ma, ci tiene a precisarlo, era sempre molto corretto,
anche se, quando si arrivava al dunque, se ne andava.
Per un periodo
è “andato dietro” a Triesta, Trieste Eramo, la mamma di don Antonio Pecce, e per
frequentarla partiva dal Casalotto e andava a Fonteggiusta, dove lei abitava. Un
giorno, mente tornava a casa dopo essere andato da Triesta, gli è capitata una
cosa molto strana: è cominciato a nevicare tanto e con molta intensità e per la
strada un cane molto alto, che non aveva mai visto prima, lo ha accompagnato
fino al Casalotto, a casa di sua sorella, facendogli da scorta, e poi,
improvvisamente, come era apparso, è scomparso. La relazione con Triesta però
non è andata a buon fine, perché non era sicuro di essere ricambiato e, quindi,
non era fruttuoso percorrere quel lungo tragitto per arrivare a Fonteggiusta
senza delle certezze.
Alla fine,
comunque, anche lui ha capitolato! Si è sposato con Assunta Di Iacovo, che
abitava sopra la Torre, il venticinque aprile 1938, un giorno in cui è caduta
tanta, tanta neve, nonostante fosse primavera inoltrata. Il matrimonio è stato
celebrato nella Chiesa di San Giovanni Battista e il pranzo è stato consumato a
casa di Cardill.
Nel 1967 ha
ottenuto la pensione di invalidità, in quanto non più idoneo al lavoro, a causa
dell’asma provocata dall’aria che si respirava giù a Frascati e quindi, poi, non
vi si è più recato.
Middio è stato
un grande lavoratore ma ha sempre rispettato la domenica come giorno di riposo;
infatti è sempre andato a Messa e ha frequentato la bettjìa solo in questo
giorno festivo. Nonostante in quel periodo ad Ortona ce ne fossero in numero
elevato, ci ricorda la bettjia di Salass’, di Farritt, di Giulietto, di Germano
e di Mastr’Alfonso, egli preferiva quest’ultima essendo nato in via Piano.
E ci dice, con
amarezza, : “con meno di mezzo litro di ubriacavi perché nella pancia non
avevi niente e non c’erano soldi!” Solo dopo la guerra c’è stata la ripresa.
Quando si è
sposato ha abitato in una casa posta accanto a quella di Giulio Caione e alla
macelleria di Salass. L’accordo preso con la proprietaria dell’edificio
prevedeva che in cambio dei servizi che gli venivano resi, questa gli avrebbe
donato la casa; purtroppo, invece, la signora ha consumato tutti i soldi che
aveva messo da parte e per saldare i debiti, alla fine, quell’edificio l’ha
comprato Salass!
Con tutta la
famiglia Middio si è poi trasferito ad abitare a casa della Rccella, in affitto.
Successivamente, a seguito delle divisioni ereditarie, è tornato ad abitare
nella casa paterna, situata in via Piano, poiché il fratello Domenico,
divenutone proprietario ma stando ancora in America, gli ha dato il permesso di
utilizzarla.
Middio ci
racconta che per vedere la televisione si poteva andare alla bettija di Salass
ma dovevi bere: “ti obbligavano”; appena entrati, infatti, ti dicevano:
“cu t piij”?
In quel
periodo, agli inizi del 1960, infatti, erano in pochissimi ad avere in casa la
televisione, solo i più ricchi e i ragazzi come lui si vergognavano ad andare in
quelle abitazioni anche perché sapevano di non essere ben graditi.
Abbiamo chiesto
a Middio come passa oggi le sue giornate.
Si alza alle
ore otto e trenta del mattino, dopo aver gustato alle ore sette una ricca
colazione consistente in una zuppa di latte con il pane, con aggiunto un poco di
caffè e due cucchiai di zucchero. Poi trascorre la mattinata a leggere, in
inverno davanti al caminetto di casa sua, e poi scende nelle stanze inferiori a
casa di Livia, sua figlia.
Dopo il pranzo
canonico delle ore tredici, alle cinque del pomeriggio fa una merenda con thè e
biscotti e alle ore venti cena con una tazza di latte. Middio, però, va a letto
molto presto, subito dopo la merenda, ma non dorme. Ascolta alla radio le
preghiere sintonizzandosi con la stazione di Radio Maria sino alle ventitré
circa. Durante la giornata legge molto, soprattutto la Bibbia ed altri libri a
carattere religioso.
La sua
veneranda età non gli ha impedito di occuparsi, fino a qualche anno fa, della
vangatura dell’orto, lasciando poi il compito della semina alla figlia Livia.
Ci dice: “la
terra va rivoticata” e “se poi ti fermi è peggio”.
Qualche anno
fa, infatti, ho avuto modo di vederlo sulla scala mentre potava i meli di suo
nipote Dalfranco. L’ho rimproverato, ma lui mi ha risposto che solo stando sulla
scala, all’aria aperta e abbastanza in alto, scomparivano i ronzii nella testa
che lo infastidivano e si sentiva meglio.
E,
quest’estate, Sergio Troiani ha ripreso Middio mentre gli falciava l’orto sotto
casa ed io ho avuto modo di vedere quel filmato amatoriale. Ascoltare il rumore
prodotto dai colpi di falce vibrati in modo ritmico e deciso, da una persona
quasi centenaria è stato davvero emozionante; la destrezza e la manualità,
frutto della lunga esperienza, sono rimaste immutate anche dopo così tanti anni:
sembrava che Middio non sentisse affatto la fatica, sebbene la falce è grande,
pesante e non sia facile da maneggiare.
Apprendiamo,
inoltre che, fino ai cinquant’anni di età, Middio ha subito diversi operazioni
chirurgiche, al fegato ed allo stomaco, ed erano i primi anni in cui venivano
praticate, ma una volta risolta la problematica si è sempre rimesso in buono
stato di salute e dopo i cinquantacinque anni di età non si è più ammalato.
La domenica
mattina non è difficile riconoscere Middio mentre si incammina per recarsi in
chiesa: il suo incedere impettito, lo stare diritto, il suo passo da bersagliere
sono inconfondibili. Il nostro nonno ormai centenario non ha bisogno di un
bastone, d’altronde lui è un giovanotto se ci dice che “solo quando uno si fa
vecchio gli si appicca la giacchetta (ossia si appende in avanti perché la
schiena si è curvata), ma a me pare di no e quindi ancora non è ora di prendere
il bastone. Se tu lo prendi poi ti serve sempre.”
Oggi Middio
vive nella sua casa in via dell’Aia, sopra l’appartamento di sua figlia Livia,
ha cinque nipoti e cinque pronipoti.
A conclusione
dell’intervista gli chiediamo di dire ad Aurora, la piccolina del gruppo e anche
a noi qualcosa di significativo, un spunto per il futuro.
Dall’alto della
sua lunga esperienza di vita e con estrema lucidità ci lancia questo messaggio
molto forte e ci dice: “Non ti arrendere,… anche si ti senti un poco male, ti
sforzi, altrimenti poi si ammala anche la testa” e ci indica il cervello.
Insomma se ci fermiamo siamo perduti.
Gli chiediamo,
infine, se stanno già pensando a quando festeggiare il suo centesimo compleanno
e lui con molta decisione ci dice che vuole che i festeggiamenti avvengano il
giorno in cui è effettivamente nato, ossia il 13 gennaio 2015, che cadrà di
martedì.
Ringraziamo
Middio per il piacevole pomeriggio che abbiamo trascorso insieme a lui; per la
disponibilità e la pazienza con la quale ci ha intrattenuto e per quanto ci ha
raccontato: un bagaglio di esperienze lungo cento anni di cui dobbiamo fare
tesoro; un grande regalo, da custodire con cura, che contribuirà senz’altro ad
arricchire e, ci auguriamo, a migliorare le nostre persone.
Grazie Middio!!!
E... tanti tanti auguri per il tuo 100° compleanno!
Ortona dei Marsi,
13 gennaio 2015