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Visita al pollaio

      Un giorno, fra i vari giochi domestici, decidemmo di fare i dolci. Ci servivano le uova, perciò decidemmo di anticipare la zia Anna, una vecchina nostra parente che veniva dalle Bagnore e si occupava di ritirare le uova dai nidi del pollaio della fattoria. Verso l’imbrunire entrammo zitti zitti nel pollaio, io, Angela e sua cugina Laura, che era più piccola di noi, ma vivacissima. Mentre noi eravamo impegnate a riempirci le tasche di uova, Laura incominciò a rincorrere il gallo. Ad un certo punto questo gallo le si avventò e fu lui a rincorrere Laura. Sentendo gli strilli di Laura, che veniva beccata dal gallo, noi corremmo a vedere cosa succedeva, ma le porte del pollaio rimasero aperte. Le galline cominciarono a svolazzare impaurite, scappando dal pollaio,  e noi, vista la situazione, filammo via a gambe levate. Angela, nel trambusto, inciampò e ruppe tutte le uova che aveva in tasca. Così venimmo scoperte, ma la zia Anna prese le nostre difese e il giorno dopo ci riunì tutti nella stanza del pane e insieme a lei facemmo un bel dolce per fare la merenda.

La bambola cieca

      Quella Befana fu memorabile: trovai adagiata sotto al camino una bambola meravigliosa. Dopo qualche giorno capii che quella bambola meravigliosa non era però adatta alle mie esigenze di bambina. Io volevo una bambola per poterci giocare e farle i vestitini, ma quella era troppo grande e fragile,  perciò mi dovevo accontentare di guardarla disposta sul letto con il suo vestito originale tutto allargato alla stregua di un soprammobile. Così passavano i giorni; una mattina mi svegliai con addosso molti bollicini e con la febbre alta. Venne il medico, il dottor Totti, che ricordo ancora con affetto, un medico dolcissimo, disponibile con i bambini. Era piccolo e grasso, portava degli occhialini con le lenti rotonde. In quella occasione mi guardò e disse con sicurezza che avevo il morbillo e dovevo stare a letto calda.

Una mattina venne a trovarmi il mio cugino Claudio, lui aveva già avuto il morbillo e quindi non c’era rischio di contagio. Io avevo sul letto la bambola, lui la notò dicendo che era una bella bambola e vide gli occhi che si aprivano e chiudevano secondo la posizione. In un baleno infilò un dito negli occhi della bambola, facendoli cadere all’interno della testa. Piansi tanto, ma purtroppo il danno era irreparabile, così mi ritrovai con una bambola bella, ma troppo grande, fragile e anche cieca.

L’elicottero

    Un episodio buffo fu l’arrivo di un elicottero. Non avevo mai visto un elicottero e non sapevo nemmeno che potesse esistere. Era un pomeriggio verso le quattro, stavamo giocando quando ci sorvolò sul capo una specie di uccello enorme che faceva un rumore infernale. Lo seguimmo correndo e lo vedemmo posare nel campo sportivo. Non ci pensammo due volte e via di corsa per raggiungerlo. Prendemmo una scorciatoia, una strada in discesa piena di sassi. Cascai, mi feci male ad un ginocchio, dove ho ancora il segno di una cicatrice, ma non sentii alcun dolore, mi rialzai e ripresi la corsa. Arrivati al campo sportivo, affannati e stanchi , trovammo questa macchina incredibile dalla quale erano scese delle persone, che non ci permisero di avvicinarci, ci spiegarono che si trattava di un elicottero, spiegandoci alcune cose, e ripartirono.

Tornammo a casa in compagnia delle persone di mezzo paese, che erano accorse insieme a noi per la curiosità. La sera sia io che il mio fratello, ci dilungammo a raccontare al nostro babbo l’evento straordinario di cui eravamo stati spettatori.

Ettore

     All’epoca in cui ero bambina a Montiano, c’era un personaggio che non vorrei dimenticare: Ettore, una persona che aveva varie mansioni, faceva lo spazzino, il fontaniere e il becchino. Usava una carretta per la raccolta dell’immondizia. Ma la cosa più curiosa che gli era stata affidata era quella di caricare tutti i giorni l’orologio della torre della piazza. Era un orologio che funzionava con una pietra attaccata ad una fune; questa pietra calava piano piano fino ad arrivare in fondo al pavimento della torre. Allora Ettore doveva andare tutte le sere in cima alla torre, ritirare su la pietra con una manovella, e l’orologio ricominciava a funzionare.

La “mano nera”

    Nella via dove abitavo c’era anche la casa dell’ufficiale della Posta, il signor Fiori: era una famiglia di origine sarda, con tre figlie tutte diplomate maestre, ed io ero coccolata da queste ragazze. Mi leggevano i libri e mi insegnavano tante cose.

Fuori dall’ufficio postale, vicino ad una grande finestra, c’era la buca delle lettere, dove veniva inserita la posta in partenza, e come chiusura aveva una linguetta di ferro, che ogni volta che veniva impostata una lettera, scattava battendo nel bordo della buca facendo un discreto rumore metallico. La posta che così veniva imbucata andava a depositarsi in una piccola cassetta interna, che il signor Fiori svuotava una volta al giorno. Il suono di questa linguetta era il divertimento di noi bambini. Tutte le volte che passavamo di lì, infilavamo la mano dentro per farla suonare. Una volta il signor Fiori, stufo di sentire continuamente quei suoni, uscì dall’ufficio e ci brontolò dicendo che dentro la cassetta avrebbe messo la “mano nera”, una sorta di trappola che acchiappava la mano di chi disturbava. Ubbidienti, smettemmo di fare questa manfrina, ma un compagno di mio fratello, un ragazzino che si chiamava Nello, disse che lui non aveva paura di niente e spavaldamente infilò di nuovo la mano nella buca. Il signor Fiori, immaginandosi che qualcuno avrebbe fatto il furbetto, si era nascosto dietro la cassetta postale, e quando Nello infilò la mano, lui gliela afferrò con una presa robusta. Nello incominciò ad urlare impaurito, poi liberatosi dalla presa, scappò a casa a gambe levate, e questo rimase un insegnamento per tutti noi.