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MAGIA E SUPERSTIZIONE

 

Molte sono le superstizioni legate in particolar modo alla realtà contadina vissuta fino alla metà del secolo scorso.

Si può parlare degli scongiuri e dei “riti” per scacciare le maledizioni, della natura maligna attribuita ad alcuni animali (ad esempio i serpenti e i rospi che fanno venire il mal di testa o il classico gatto nero che preannuncia disgrazie...), delle capacità guaritive attribuite ad alcune persone chiamate “stregoni” o “guaritori” e infine delle numerosissime storie di fantasmi, apparizioni, streghe e folletti raccontate durante le “veglie” in casa dei vicini.

 

Il mondo delle superstizioni era fortemente legato alle credenze religiose: per liberarsi della presenza del maligno si pregava, ci si faceva il segno della croce spesso accompagnato da frasi come: “Maldoc a te e San Zvan a me” (Malocchio a te e San Giovanni a me), pronunciata in occasione di un incontro con un rospo, considerato un animale portatore di forti mal di testa, e con la quale si augurava la maledizione al rospo e la benedizione del Santo alla persona.

Non è il solo il rospo ad essere considerato un animale del “malaugurio”, ma altri sono i protagonisti di alcune credenze popolari: il gatto nero che attraversa la strada e il canto della civetta sono, ad esempio, presagi di eventi infausti; mentre il cuculo preannuncia un anno ricco e fortunato a chi porta denaro con sé quando sente il suo canto a primavera e, al contrario, povertà a chi in quel momento ne è sprovvisto.

Per cacciare il demonio si ricorreva anche a metodi più pagani, come appendere fuori dalla porta un vecchio ferro di cavallo considerato un portafortuna, oppure ricorrere a gesti di scongiuro come le corna o toccare ferro.

 

Per le malattie ci si affidava prevalentemente alle cure del prete o dei guaritori piuttosto che a quelle del medico, causa una mancanza di cultura e un’ignoranza delle leggi della scienza a cui si trovava rimedio con una, a volte cieca, credenza in tutto ciò che era soprannaturale.

Spesso giungevano da altri paesi degli stregoni che, invitati in case in cui si radunavano malati e curiosi, visitavano i pazienti consigliando loro svariati e improbabili rimedi.

Tra questi quello per il mal di stomaco del cugino di Pipi che veniva da lontano per farsi curare: spalmarsi tre albumi d’uovo sul ventre e rimanere a penzoloni aggrappato a un ramo di un fico a mezzanotte ripetendo tre volte una preghiera.

Tommaso, che viveva a San Martino, era invece uno che “segnava il male”: faceva dei gesti rituali in prossimità della parte colpita dalla malattia mentre pronunciava delle frasi di scongiuro e delle preghiere; poi, soffiando come per scacciare un influsso malefico, gridava: “Via il malo!”.

Un ruolo fondamentale nella medicina popolare lo ha sicuramente svolto l’Abbazia di Sant’Ellero, dove numerosi pellegrini si recano tutt’oggi per curare il mal di testa, infilando il capo in un foro posto alla base del sarcofago del Santo; per ottenere protezione contro il maligno e per guarire da malattie nervose attribuite all’influsso del demonio ci si reca invece nel Santuario di San Vicinio a Sarsina dove il sacerdote benedice la persona malata ponendogli intorno al collo la “catena di San Vicinio”: collare in ferro che si pensa risalga all’epoca del Santo.

 

Il divertimento maggiore dei ragazzini che vivevano in campagna era recarsi, alla sera, in quelle case dove si radunava tutto il vicinato per la “veglia”, durante la quale ci si raccontavano storie , aneddoti e si cantavano filastrocche. Le storie più avvincenti erano naturalmente quelle che avevano per protagonisti fantasmi, streghe e folletti, nate dalla superstizione e dalla paura causata dalla mancanza di istruzione.

Sono racconti che conservano un fascino particolare anche in un’epoca così moderna come questa; tra le credenze giunte fino a noi quella, ad esempio, ambientata nel Fosso del Satanasso, luogo pericoloso ricco di burroni situato poco a nord di Campigna, che da Poggio Martino si estende fino a Pian del Grado e Celle: lungo questo fosso, nei giorni in cui la nebbia cala fitta, si possono sentire strani rumori e lamenti ed intravedere il fantasma di Mantellini vestito con un ampio mantello nero e accompagnato da una pecora bianca.

Famoso anche il fantasma che popolava le rovine della Torre di Rondinaia, forse quello di una principessa che si aggirava inquieta nei sotterranei del castello e fino alla galleria che lo collegava con il Castello di Santa Fiora, posto su un’altura che sorge di fronte alla Rondinaia, al di là del fiume Bidente.

Tantissime le apparizioni biancovestite che potevano incontrare a mezzanotte coloro che si fossero attardati lungo la via del ritorno a casa: per Amelia era diventata ormai un’abitudine quella di vedere un uomo con un mantello bianco che passava di fianco alla Pilla (vasca in cui le contadine di San Martino andavano a fare il bucato) nelle notti in cui si trovava ancora fuori per sbrigare alcune faccende; altri suoi vicini avevano scorto più volte qualcosa di simile poco distante, lungo il Fosso dei Prati.

Infine chi non ha sentito, almeno una volta, raccontare, con diverse varianti, la storia del fantasma del garzone assassinato nel podere Le Farniole, non lontano da Ridracoli?

Il ragazzo venne ucciso perché sorpreso a bere il vino migliore della cantina; gli abitanti delle Farniole furono poi assaliti dai rimorsi e dalla paura, così cercarono di far sparire il cadavere bruciandolo nel forno.

Poco tempo dopo però iniziarono a verificarsi strani avvenimenti (greggi sbranate dai lupi, raccolti distrutti, scherzi di ogni tipo) che vennero attribuiti al fantasma del garzone.

Per mettere fine a tutto ciò furono interpellati diversi sacerdoti, uno dei quali riuscì a parlare con il fantasma che gli rivelò la sua volontà di andare alla Lama dove, esaudito il suo desiderio, egli trovò rifugio provocando l’incendio della vetreria e della segheria ed insediandosi nella casa forestale.

 

Spesso venivano attribuite origini soprannaturali a eventi del tutto naturali di cui non si conoscevano le cause, soltanto per il bisogno di dar loro una spiegazione. Ad esempio il forte boato della Gorga Nera, che spaventava vecchi e bambini e si credeva preannunciasse forti temporali o terremoti, non era altro che un fenomeno geologico: una voragine, un pozzo profondo circa 60 metri situato su Monte Marino, nel crinale che divide Poggio alla Lastra da Casanova dell’Alpe, che chissà quanti credevano abitato da un mostro, un orco o magari un drago; forse quello che diversi taglialegna  e contadini, che si recavano in un boschetto nei pressi di Isola per tagliare legna o raccogliere castagne, hanno giurato di aver visto steso al sole che li fissava con i suoi occhi tondi: probabilmente un grosso rettile di origini esotiche scappato a qualche circo ambulante, forse un’iguana o un varano.

 

Infine la figura che ha rivestito un ruolo centrale nel mondo delle credenze popolari di ogni epoca e paese: il folletto.

Il folletto è un personaggio tipico della montagna: una leggenda racconta che quando giunse Giovanni Battista annunciatore di Cristo, le fatine si rifugiarono nelle pinete e i folletti nelle montagne.

Il folletto romagnolo, il “mazapegul”, è un ometto piccolino e dispettoso, indossa un cappellino rosso a punta e si innamora delle donne alle quali rende il sonno agitato posandosi sul loro petto.

Quale luogo migliore per trovare rifugio se non le rigogliose foreste di Lama e Campigna? Ed è proprio in questi boschi che è ambientata l’ultima storia di folletti sentita raccontare: pochi anni fa (negli anni ’90) in un febbraio nevoso una coppia cesenate, mentre si recava a trascorrere un tranquillo week-end tra le montagne, lungo la strada che da Poggio alla Lastra porta a Casanova dell’Alpe, si è imbattuta in qualcosa di strano: una piccola, sinistra figura si stava rotolando nella neve e all’avvicinarsi dell’auto si è alzata in piedi a fissare gli sconosciuti... alcune fotografie scattate velocemente mostrano un piccolo essere con le orecchie a punta e un berretto anch’esso a punta.