La cucina di
Nuxis è rinomata per la qualità ed il gusto davvero genuino dei
suoi ingredienti: olive, ortaggi, formaggi, carni. Il modo di cucinare i
cibi localmente è sempre stato molto semplice ma gustoso, e le persone
che hanno vissuto gli anni '30 - '40 , ricordano ancora con nostalgia il
profumo e il sapore anche di piatti ormai dimenticati, in quanto
il modo stesso di confezionare gli ingredienti si è modernizzato.
Un tempo, uno dei prodotti comunemente utilizzati per cucinare, nelle
case povere, dove l'olio d'oliva era un lusso, era S'ollu 'e Stincu,
cioè l'olio di lentischio. Le donne delle famiglie meno abbienti, che
non possedevano oliveti, usavano andare in campagna a raccogliere le
bacche de Moddicci, il lentischio. Raccoglievano le bacche rosse delle
piante selvatiche, facendole cadere dentro delle gerle che portavano a
tracolla, e poi il raccolto veniva portato a casa dentro dei sacchi ed
usato per ricavarne dell'olio, attraverso la spremitura. Un altro
prodotto che tutti potevano trovare nei campi erano gli asparagi, che
venivano cotti sotto la cenere calda e un po' di brace, avvolti in
foglie di asfodelo. Un tempo si usava molto utilizzare Su Trigumoriscu,
cioè il grenturco, dal quale si ricavava una farina di mais bianca, che
veniva macinata un po' grossa (con la macina trainata dall'asinello) e
serviva per preparare un tipo di pane, della semola, e qualche
dolce come Is Caschittas. Con la farina scura, oggi diremmo integrale,
si preparava una sfoglia dalla quale, con le mani, si ricavavano dei
pezzi grosso modo a forma di quadrato, una sorta di maltagliati,
chiamati "Is Sapueddusu", che venivano cotti in acqua bollente
dentro una caldaia di rame e conditi con formaggio pecorino. Un piatto
ormai andato in disuso prevedeva l'utilizzo delle zucche invernali,
grosse e arancioni, che venivano fatte cuocere fino a diventare una
purea, con la quale si cucinava una sorta di polenta, con l'aggiunta di
farina e lardo. Quando si faceva il pane con la farina nera, Su Cifraxiu
Nieddu, si prendevano questi grossi pani ancora caldi e si aprivano a
metà. Poi venivano incisi, cioè tagliati a fette, e nuovamente
infornati. Il pane così preparato prendeva il nome di "Pistoncu"
e, diventando durissimo, poteva essere conservato senza problemi anche
per 15 - 20 giorni o più. Le fette di pistoncu venivano mangiate dopo
essere state bagnate con acqua. Servivano per l'uso familiare, ma
soprattutto come scorta di cibo per i pastori, che dovevano restare a
lungo lontani da casa. Da questo tipo di consuetudine è derivata
l'espressione tipicamente sarda "su pistoncu in bèrtua" ,
cioè l'essere tranquilli, avere di che sopravvivere in quanto dotati di
riserve proprie. Ancor oggi, in occasione della
festa del santo patrono, San Pietro, a fine giugno, la cittadina
richiama sempre un gran numero di visitatori, anche per la simpatica
consuetudine di offrire una degustazione dei prodotti tipici locali,
come vino, formaggi e l'ottima carne di pecora o capra, cucinata in
piazza in modo tradizionale e accompagnata dal buon pane locale.
Squisiti sono i dolci, che utilizzano sapientemente mandorle, arance,
miele, formaggio. Il paese è nominato anche su importanti guide
turistiche di ristorazione internazionale, soprattutto per gli ottimi
funghi.