Lessico Piemunteis
Il lessico piemontese è
composto all’incirca da quarantamila parole. Occorre rilevare che il lessico
piemontese è sostanzialmente unitario, dalle Alpi occidentali a Vercelli ad
Alessandria. Le parole che si ritrovano in alcuni paesi spesso sono presenti
anche nei testi più antichi e in altre parti della regione distanti anche un
centinaio di chilometri. Ciò indica che il termine un tempo era comune a tutto
il Piemonte e successivamente si è perduto e si è conservato solo nelle zone più
isolate.
La maggior parte del
lessico è di origine latina. Un gran numero di parole latine non esiste in
italiano, per esempio cit (piccolo, bambino), ëdcò (anche, DE CAPUT), fèja
(pecora, FETA), mach (solamente NE-MAGIS-QUAM, anticamente anmach, ancora vivo
nel Monferrato). Spesso assumono significati diversi dall’italiano, come fomna
(donna, moglie) e òmo (uomo, ma anche marito), cròta (cantina, da CRYPTA),
dësblé (distruggere, DE-EX-BELLARE), masnà (bambino, da MANSIONATA, che
attraverso il provenzale diventa l’italiano masnada), oppure provengono da forme
diverse , per esempio dil (DIGITILLUM). In piemontese si osservano anche
costruzioni particolari. Per esempio l’azione contraria in italiano si fa con il
latino EX, in piemontese con DE EX: p.es dëscàuss (scalzo) fino a dëstaché
(staccare), da non confondere con staché (legare ad un palo con un laccio).
Altre parole provengono direttamente dal latino, mentre in italiano sono giunte
attraverso altre lingue romanze: prèive (prete), gòj (gioia)…
Prima della
romanizzazione si parlavano dialetti del gruppo celtico: il ligure a sud del Po,
il celtico cisalpino (un tempo denominato lepontico) nel Vercellese, Novarese,
Verbano e Ossola. Per il Piemonte nord-occidentale è ancora incerto, anche se si
trattava sicuramente di una parlata celtica. È possibile che le parole del
sostrato celtico siano un centinaio, quasi tutti termini di campagna, montagna e
naturalistici: ambosta (quantità che sta in due mani), bënna (capanna), bòri
(manzo, torello), brich (poggio, monte), comba (valletta), duso (gufo), sgòrgia
(airone), tëggia (capanna nel Biellese), trogno (muso), verna (ontano), forse
lòsna (fulmine)…I nomi di molte delle città più importanti come Alba, Asti,
Biella, Chieri, Ivrea, Susa, Tortona, Torino, Vercelli e di quasi tutti i fiumi
sono di origine celtica.
Dal francese, la lingua
straniera più importante in Piemonte fino a quando è stata sostituita
dall’italiano con il Risorgimento, abbiamo una gran quantità di parole. Insieme
al provenzale (o occitano) ci dà all’incirca il 25-30 % del nostro lessico.
Bisogna notare che spesso non si può stabilire se una parola è piemontese,
francese o occitana poiché molti fenomeni fonetici sono comuni alle tre lingue.
Dal francese: adressa (indirizzo), assieta (piatto, scodella), crajon o crijon
(matita), lèja (viale), sagrin (preoccupazione, problema)…Dalla loro forma in
piemontese, testimonianza dell’antica pronuncia, possiamo quindi capire che ci
sono arrivate: pòis (pisello) e pitòis (puzzola) prima del secolo XIII, coefa
(cuffia) prima del secol XVIII, possoar (bottone a pressione) dopo il secolo
XVIII. Dal provenzale: armada (esercito), euli (olio), giari (ratto), salada
(insalata). Parrebbe che perfino il toponimo Piemont (anticamente Peamont)
provenga dalle parlate francoprovenzali della Savoia (poi passato alla forma
francese Piémont) sostituendo il locale Pemont (attestato ad Asti all’inizio del
‘500).
C’è poi una lunga serie
di parole di origine germanica, portate dagli invasori goti, longobardi e
franchi tra i secoli VI e VIII i quali, pur avendo ben presto dimenticato le
proprie lingue per il latino, hanno tuttavia conservato qualche parola: binda
(nastro), bium (rimasuglio del fieno), brandé (bruciare con vigore), ciòca
(campana), feudra (fodera), gram (cattivo), treu (truogolo), vagné (guadagnare,
vincere), vàire (molto, quanto?), vaité o vacé (guatare), varì (guarire)... Un
bell’esempio sono due sinonimi, uno di origine longobarda diffuso soprattutto
nel Piemonte orientale verso la Lombardia, l’altro invece franco, che si trova
ad occidente verso la Francia: longobardo scòss (grembo) e scossal (grembiule),
franco fàuda (grembo) e faudal (grembiule).
Un’altra cosa sono le
parole che derivano dal tedesco come bira (birra), picé (bicchiere), sancràu
(crauti)...
Qualcosa dallo spagnolo,
come creada (cameriera, governate) e cacaré (fare coccodé).
Le poche parole che
provengono dall’arabo ci sono giunte attraverso altre lingue (spagnolo,
francese, italiano, genovese) poiché, a parte i predoni saraceni dei secoli IX e
X, in Piemonte non sono mai passati: arbicòch (albicocca, ch'a sostituiss
armognan), articiòch (carciofo), fardel (dote)...
Gli italianismi sono
tutto un altro discorso: all’inizio limitati al lessico ecclesiastico (paròchia,
cesa che sostituisce gesia, ànima), più tardi, come se fossero latinismi, sono
arrivati a contaminare e sostituire forme come fassa (faccia), oggi facia, e
serché (cercare, molti oggi dicono cerché). Tuttavia già nel secolo XVIII ci
sono arrivate parole dai dialetti galloitalici (soprattutto il milanese): i
numerali da undici (óndes) a sedici (sëddes) (prima erano onze, dose…), cadrega
(sedia) invece di carea…