TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

DOSSIER   LA TOLLERANZA

Di Mara Testasecca
 

 

YOLANDE MUKAGASANA: LA MORTE NON MI HA VOLUTA

Le autorità amministrative, ecclesiastiche e le ambasciate non hanno alzato un dito, tutti si sono affrettati a lasciare il paese per mettersi in salvo... Nessun potere si è opposto

Oggi Yolande afferma di vivere nella parola e ha dovuto chiedere aiuto ad uno scrittore per il suo libro, per poter raccontare al mondo intero uno dei massimi orrori di questo secolo, il genocidio dei Tutsi rwuandesi e il massacro degli Hutu moderati -circa un milione complessivamente- a opera degli estremisti Hutu, perdendovi l’intera sua famiglia. Attraverso l’incredibile calvario di questa donna, rifugiata oggi a Bruxelles, l’immane strage del piccolo Rwuanda diventa decifrabile nelle responsabilità politiche dei gruppi dirigenti che l’hanno decisa e programmata, nelle responsabilità individuali di quanti sono stati strumento della sua esecuzione, e anche nelle colpe di una comunità internazionale, rimasta passiva e indifferente quando non direttamente complice dei genocidari. Yolande è Muganga , cioè è un’infermiera - dottore tutsi che era riuscita ad aprire un piccolo centro per conto proprio a Kigali , la capitale del paese. Durante la sua giovinezza aveva avuto avvisaglie di intolleranza, ma con la sua intelligenza e con uno spiccato spirito d’iniziativa si affermò, si autogestì, si sposò con un ragazzo che conosceva da sempre e dalla loro unione nacquero tre figli: Christian, Nadine, e Sandrine, la piccola adorata figlia adottiva. Dal 6 aprile 1994 Yolande dovrà pagare i suoi torti: essere tutsi, essere benestante e orgogliosa nonostante non avesse mai risparmiato consulenza e cure a nessuno. Una mattina, mentre stava lavorando nel suo piccolo "centro" apprese da radio RTLM , tra una pausa musicale e l’altra, che stava per accadere qualcosa di orribile; constatò più tardi- amaramente- in casa insieme al suo uomo, di non avere più l’identità di esseri umani; erano diventati "serpenti", "blatte", "scarafaggi" da schiacciare, da massacrare. Paradosso temporale. La leggenda vuole che, in tempi passati, Gihanga sia sceso dal cielo nel cuore del Rwanda e abbia avuto tre figli: Gahutu, Gatutsi e Gatwa. Gatwa amava la terra e i suoi frutti, Gatutsi l’allevamento e Gatwa passava le sue giornate a lavorare. I tre fratelli si amavano. Gahutu dava da mangiare cereali ai suoi, Gatutsi offriva il latte delle sue greggi e Gatwa trasportava il cibo dall’uno all’altro nei suoi piatti e nelle sue brocche. A quei tempi i fratelli Hutu, Tutsi, e Twa erano ancora dei fratelli. I problemi in Rwanda sono sorti con la colonizzazione anche se i costumi del paese possono apparire selvaggi, quasi crudeli. Yolande afferma che l’unica cosa buona lasciata dai tedeschi è la scuola, quanto ai belgi hanno seminato l’odio interno, appoggiati dalla Chiesa. "I Tutsi sono la razza dominante- dicevano i colonizzatori. Gli Hutu, (90% della popolazione), sono dei contadini Bantu, dallo spirito pesante e passivo, senza interesse per l’avvenire". Quindi i Tutsi di oggi pagherebbero la colpa degli antenati che hanno dominato il paese per quattro secoli. E’ una specie di Rivoluzione francese che si è verificata nel 1959: una classe sociale contro l’altra. Ma la lacerazione rwandese di oggi non è inter-etnica, è intra-etnica. Sono dei fratelli che si uccidono tra loro...

Il genocidio dei Tutsi è stato ideato, programmato, portato avanti con rigorosa scientificità dagli estremisti Hutu del governo di Kigali; l’odio è stato pilotato, incanalato e usato, a piene mani, per scopi politici. Dopo decenni di massacri tribali tra la maggioranza Hutu e la minoranza Tutsi era giunta l’ora dalla soluzione finale: la minoranza doveva essere cancellata dalla faccia del paese. E si doveva fare in fretta perché, finalmente, l’intesa per guidare insieme, Hutu e Tutsi, in Rwanda era stata raggiunta. Gli accordi di Arusha avrebbero permesso la creazione di un governo di coalizione, facendo entrare gli esponenti del Fronte Patriottico rwandese, - il movimento dei guerriglieri tutsi provenienti dall’Uganda- nell’esecutivo. Tornava proprio da Arusha (in Tanzania) il presidente Habyarimana insieme al presidente Burandese Ntaryamira. Era la sera del 6 aprile 1994: un missile abbatté l’aereo mentre stava atterrando a Kigali. La mattina dopo iniziarono i massacri nella capitale e la furia si propagò: nelle altre cittadine, in tutti i villaggi, nelle campagne, dove le armi erano state distribuite da tempo e i futuri criminali aizzati e addestrati per uccidere. Ottocentomila persone furono ammazzate in meno di 5 mesi: una montagna di cadaveri che andava occultata, ma come? A migliaia i cadaveri furono gettati nel fiume Akagera, che li riversò nel lago Vittoria fino a farli giungere -gonfi e putrefatti- sulle coste dell’Uganda; pile di corpi furono bruciati con benzina e copertoni; le fogne di alcune città furono intasate dai corpi.

Yolande non poteva lontanamente immaginare l’inferno che stava devastando tutto il paese, viveva l’orrore e la paura circoscritta al suo quartiere; di notte doveva nascondersi nella boscaglia con gli stessi vicini di casa che falciavano l’erba con i loro machete, quegli stessi vicini che aveva curato e che davano la morte con falsa sicurezza, anche loro logorati dal tormento di "dover" presentare una lista di teste alla barriera di controllo la mattina successiva. Da sotto una lamiera vide scappare perché inseguito, il suo Joseph che urlava con una spalla sanguinante; pensava così di attirare l’attenzione su di sé e permettere la fuga al resto della famiglia. Ma fuga per dove? Paradossalmente è stata Emmanuelle - hutu, e cattolica - a nascondere Yolande nella sua casa, prima in una cassa piena di carbone poi sotto il basamento di un acquaio, sospesa in una incredibile postura per 15 interminabili giorni, logorata dall’angoscia di non sapere dove fossero finiti i suoi figli. La casa era frequentata dai pazzi assetati di sangue di quei giorni, e dentro quel lavello udì spesso risa di scalmanati e pianti di bambini seguiti da un tonfo strano, simile alla rottura di una noce di cocco...Solo in seguito comprese che a quei tonfi corrispondevano i crani sfondati da mani armate di martelli. Era ricercatissima e cambiò la sua situazione uscendo allo scoperto, decisa a rivolgersi ad una missione con la quale aveva avuto tanti rapporti, ma dovette rifugiarsi -sfruttando il fatto che aveva perso le sue appariscenti sembianze di donna- come falsa hutu in casa di un colonnello "magrolino e catarroso", i cui occhietti neri esprimevano molto meglio delle parole la cattiveria e il vizio che gli erano propri. Con il passare dei giorni si riprese e, con astuzia magistrale diventò accattivante con lui, sfruttando le sue angosce profonde di essere umano malato. Riuscì finalmente ad incastrarlo senza essere violentata e a pretendere di essere accompagnata alla missione per non essere accusato di protezionismo e rischiare la pelle a sua volta. All’interno di quelle mura Yolande sfibrata avrebbe avuto tanto bisogno di essere assistita, di riabbracciare i suoi figli, ma lei era" Muganga", il dottore, e dopo essere stata braccata come un animale per sei settimane doveva di colpo provare di nuovo dei sentimenti, doveva ridiventare essere umano...,per gli altri. Appena entrata nella sala della parrocchia una marea di bambini malnutriti si precipitò su di lei, iniziò a diagnosticare a intuito malaria, dissenteria, influenza e una quantità considerevole di polmoniti in quelle persone che si erano nascoste nelle paludi per sei settimane. Una donna raccontò di essere stata violentata così tante volte da non potersi più sedere; aveva contratto una fortissima e generalizzata infezione alla vagina, anche il suo ano era purulento, morì dopo qualche ora.

Finalmente arrivò la liberazione: una mattina entrò nel salone dove stava lavorando un grande ufficiale, armato di pistola, fiancheggiato da due militari armati di mitragliette. Nel silenzio generale pronunciò il suo nome e le comunicò di aver ricevuto l’ordine di condurla all’hotel delle Mille Colline, In quell’hotel Yolande apprese il destino dei suoi figli: insieme a 200 persone furono spinti completamente nudi dai miliziani ai bordi di una fossa comune. Cercavano Muganga, iniziarono sparando ad un uomo che cercò di intercedere per i bambini, poi un machete si abbatté sulla nuca di Christian e tranciò la sua testa per tre quarti. La stessa sorte toccò alla testa di Sandrine. Questi particolari agghiaccianti furono raccontati da Sperancie, un’amica cara che fino all’ultimo nascose i bambini. Costei senza più lacrime, concluse raccontando che Nadine, la terzultima, si gettò nella fossa prima di essere abbattuta dal machete. Mentre gli altri corpi cadevano uno a uno nella fossa la voce attutita di Nadine venne udita: "Addio Sperancie, addio. Dì a mamma se la vedi che siamo morti tutti. Dille di fuggire il più lontano possibile, la dove nessuno potrà ucciderla. Lei sopravviverà, oppure morirà di dispiacere. Dille anche che io ho paura del machete, che preferisco morire soffocata...". I miliziani la ricattarono, ma la bimba non cedette alle loro false promesse; a poco a poco le parole della piccola si fecero più rare fino a quando soffocò sotto il peso dei cadaveri. Yolande venne portata in salvo, oggi nella sua testa non c’è altro se non il genocidio, ha bisogno di parlare, parlare, parlare come le onde del fiume Nyiabarongo dove ha visto galleggiare tanti cadaveri. Suo figlio Christian diceva che la morte doveva essere qualcosa di bello, visto che nessuno ritornava. Yolande vuole vivere di nuovo, dare testimonianza contro l’intolleranza, vuole di nuovo restare incinta...perché la morte non l’ha voluta.

"COLORO CHE NON AVRANNO LA FORZA DI LEGGERE QUESTO CHE FORSE UN GIORNO SCRIVERO’, MI DICO, SI DENUNCINO COME COMPLICI DEL GENOCIDIO RUANDESE. IO, YOLANDE MUKAGASANA, DICHIARO DI FRONTE ALL’UMANITA’ CHE CHIUNQUE NON VOGLIA PRENDERE CONOSCENZA DEL CALVARIO DEL POPOLO RWANDESE E’ COMPLICE DEI CARNEFICI. IL MONDO NON RINUNCERA’ A ESSERE VIOLENTO FINO A QUANDO NON ACCETTERA’ DI STUDIARE IL PROPRIO BISOGNO DI VIOLENZA. NON VOGLIO NE’ TERRORIZZARE NE’ IMPIETOSIRE. IO VOGLIO TESTIMONIARE. QUESTI UOMINI CHE ASCOLTO DA SOTTO UN LAVELLO ATTRAVERSO UNA PORTA, E MI PROMETTONO LE PIU’ ATROCI SOFFERENZE, NON LI ODIO NE’ LI DISPREZZO. HO ADDIRITTURA PIETA’ DI LORO."

I problemi in Rwanda non sono conclusi, i massacri continuano. Amnesty International nell’agosto del 1997 ha denunciato il terrore dei profughi rientrati in Rwanda dall’ex Zaire e la morte di 2300 persone uccise a maggio. Alla giornalista Carmen La Sorella che si è recata nel 1996 nella scuola di Ghikongoro dove 60000 tutsi sono stati trucidati, frate Jean De Vressain ha detto: "...la gente si era rifugiata a migliaia in chiesa, il vescovo Veusan Zeghiniva ordinò di lasciare la sua casa perché sarebbero stati più protetti nella scuola..., arrivarono i miliziani con machete, pugnali, granate., fecero la gente a pezzi, violentarono le donne. LE AUTORITA’ AMMINISTRATIVE, ECCLESIASTICHE E LE AMBASCIATE NON HANNO ALZATO UN DITO, TUTTI SI SONO AFFRETTATI A LASCIARE IL PAESE PER METTERSI IN SALVO...NESSUN POTERE SI E’ OPPOSTO.

Al confine gli zairesi non permettono il passaggio dei già limitati aiuti umanitari, in gran parte rivenduti. Prostituzione, armi, traffico illecito di forniture vedono responsabili e coinvolti direttamente -a dire dell’O.N.U.- , Francia, Gran Bretagna, Italia , Sud Africa e alcuni paesi dell’Est. Anche i missionari vivono un senso di profonda insicurezza, di fallimento in una terra cristianizzata, ma lacerata dall’odio. Attualmente le carceri traboccano di detenuti: uomini, donne, bambini accusati di genocidio, in attesa di giudizio.

Sono hutu pluriomicidi, ma oggi così stipati sembrano inoffensivi, come in trans. Entrare in queste carceri è come scivolare in una bolgia dantesca, oscura e fetida. Yolanda verrà in Italia molto presto e cercheremo in tutti i modi di poterla incontrare. Lei non si pone il problema in termini spirituali , l’esperienza vissuta è troppo forte e lei avrà come tutti, i suoi tempi per discernere, crescere, maturare. Ebbe tanti scambi con il suo amico Missionario, ma ebbe modo di comprendere la metodologia cattolica in Rwanda (che non è comunque quella dei missionari). Afferma testualmente: "Essere battezzato è una carta da visita. Senza battesimo, niente nome. Senza nome, niente stato sociale. I senza nome sono i pagani o i figli delle prostitute. In Rwanda il battesimo è un mezzo di emancipazione sociale. Ogni rwandese, o quasi, ha così un nome cristiano e uno pagano. E i missionari ci cascano ancora: credono di averci convertiti perché tendiamo la bocca verso l’eucarestia".

Non ha tutti i torti Yolande e glielo diremo se i nostri cammini si incroceranno.

La metteremo al corrente che risalgono agli anni 1982-83-84 l’apparizione della Madonna a Kibeho ad un gruppo di ragazzi (tra cui Emmanuelle non battezzato). Fu talmente forte l’evento che una commissione medica internazionale condusse approfonditi esami sulla salute fisica e mentale di tutti i giovani veggenti coinvolti. I rapporti elaborati dai medici furono presentati alla commissione teologica e l’apparizione venne approvata tanto che il 15 agosto 1988 fu inaugurata una basilica in suo onore. Sua santità, Papa Giovanni Paolo II, mise in evidenza il grande segno "che compariva nel cielo"..."Maria, Maria, madre di Gesù, brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione davanti al popolo di Dio in pellegrinaggio."

Il vescovo di Butare, Jean Baptista Gahamany pronunciò le seguenti parole quel 15 agosto: "..Che ELLA brilli specialmente davanti al popolo di Dio che è nella diocesi di Butare, che ELLA ci illumini e ci guidi sul cammino che conduce a Gesù Cristo, suo figlio. Cauto atteggiamento di prudenza e discernimento invita ad assumere la Chiesa Cattolica, ennesimo raggiro e manipolazione testimoniamo noi di Terzo Millennio. Ed ecco le prove. Spetta a Padre Renè Laurentin il merito di pubblicare in un libro l’annuncio di Maria nel cuore dell’Africa e riaffermare tutto con gran coraggio ed enfasi in un intervento televisivo nel 1994, in seguito al tragico genocidio. A pag. 174 leggiamo:

"Il 19 agosto 1982 merita di essere riferito in modo del tutto speciale, dato il posto che occupa nella storia delle apparizioni di Kibeho. Quel giorno la Madonna apparve ai giovani, a turno, mostrandosi triste, contrariata, i veggenti dissero addirittura che era in collera, eppure era il giorno che sulla terra si festeggiava il suo trionfo in cielo. Alphonsine vide piangere la madre di Dio. I veggenti piansero, battendo i denti e tremando. Si lasciarono cadere pesantemente a corpo morto, più d’una volta durante le apparizioni che durarono ininterrottamente per più di otto ore. I giovani vedevano immagini terrificanti, un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri abbandonati senza che alcuno li seppellisse, un albero tutto fuoco, un baratro spalancato, un mostro, teste decapitate. La folla presente quel giorno, circa 20000 persone, conserva un’impressione di paura, di panico e di tristezza...".

Le apparizioni per Alphonsine cessarono nell’ottobre del 1989, proprio quando si definì la missione di Giorgio Bongiovanni, dopo aver ricevuto il segno delle stigmate nelle sue mani. Nel 1994,una volta appresa la drammatica notizia, denunciò senza indugi le gravissime responsabilità della Chiesa per i messaggi tenuti segreti e valorizzò il valore profetico altamente drammatico e significativo di quanto era stato rivelato.

Concludo augurando a ciascuno la possibilità di riflettere profondamente per schierarsi con le opinioni e con la vita in relazione ai segni che si manifestano.

 

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