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United Milk Inc.

capitolo terzo

1

United Milk Inc.
Così almeno diceva un polveroso cartello tra Kennedy Street e Lincoln Avenue, poco prima del negozio dei Lockwood. Ci siamo quasi.
Come accade in casi simili in tutte le piccole cittadine di provincia, tutta Peckinton era molto ecci-tata all’idea che un’industria nuova e promettente dell’est si insediasse nel proprio territorio. Così, quando nel 1983 un solerte avvocato di New York si offerse di rilevare, per conto di un suo cliente, l’intera collina Freechild, proprietà del comune da quando il vecchio John Freechild, più di trent’anni prima, era morto senza eredi, al sindaco luccicavano gli occhi per le prospettive di lavoro che si stava-no aprendo e per la sua prossima, ormai sicura, rielezione.
Non passò molto tempo prima che le dicerie sull’acquisto, immancabili in ogni piccola cittadina, venissero soppiantate dalla più succosa certezza che erano già stati depositati in municipio i progetti di costruzione di ciò che doveva, a detta di tutti, divenire il più importante caseificio del Montana.
Era lì che Lisa Bolzman si stava recando.
Sul passe appuntato sulla camicetta si poteva infatti leggere chiaramente:

United Milk Inc.
Lisa Bolzman
Addetto alimentare

2

Il parcheggio era pieno solo per tre quarti e non c’erano che pochi camion incolonnati vicino all’entrata. Apparentemente stavano aspettando di poter scaricare il latte raccolto nelle diverse fattorie consorziate. Spero di non essere arrivata tardi.
Lisa si avvicinò ad uno degli operai che oziavano vicino al grande portone d’ingresso, chiese del reparto di pastorizzazione e, ringraziando l’uomo per la cortesia, entrò nell’edificio.
L’apparato industriale era imponente. Sotto la grande volta della mole principale si potevano infatti osservare l’intrico di tubi, vasche di contenimento e di lavorazione, contenitori a tenuta stagna, auto-clavi e uomini che contraddistingue ogni moderno impianto di lavorazione alimentare. Il rumore, stra-namente, non era assordante.
Gli operai in questa parte dell’edificio erano a prima vista impegnati più in funzioni di controllo dell’apparato automatico che in una vera e propria catena di lavorazione. Il portellone principale evi-dentemente serviva sia da porto di scarico che da punto di partenza per il prodotto finito e alcuni ca-mionisti fumavano impazienti in disparte, gettando talvolta un’occhiata al proprio mezzo per accertar-si dello stato di carico. Con tutta probabilità non vedono l’ora di essere in viaggio … ‘prima si par-te, prima si arriva!’ Diceva suo padre.
Due guardie armate le si avvicinarono e le chiesero gentilmente se avesse bisogno di aiuto. Lisa mostrò il tesserino e disse che era stata incaricata dei controlli all’impianto di pastorizzazione.
Uno degli agenti di sorveglianza schioccò le dita con fare teatrale.
“Lisa Bolzman di Rome, Georgia!” Qualche operaio si girò ad osservare l’incontro inatteso.
“Si … ci conosciamo?”
“Ma certo! Io sono Ralph, Ralph Klaine … il cugino di Chuck! Non dirmi che non ricordi l’uomo che ha fatto più di seicento miglia solo per portarti al ballo di fine corso!”
“Ralph Klaine, sicuro! … ma credevo tu stessi passando le vacanze da tuo zio e non avessi nes-sun’altra con cui uscire!”
Un tecnico in camice bianco sorrise. Mi pareva che Ralph non fosse della Georgia! Poi decise che forse non erano affari suoi e distolse lo sguardo cercando di concentrarsi su un complicato quadro comandi.
“Tu ferisci il mio cuore …”
“Non credo a una parola di ciò che dici!” Rispose Lisa ridendo.
“Sempre scettica sui miei veri sentimenti, eh!” Disse Ralph abbozzando una comica smorfia di do-lore subito convertita in sorriso. “Come sta tua zia Betty? Sempre alle prese con la cucina?”
“La zia sta bene e ha da tempo smesso di domandarsi quando ti deciderai a scriverle …”
“Ah, ecco perché non mi spedisce più le torte di mele … provvederò a rimediare al più presto … e Tom? È poi tornato dall’Italia? Dov’è ora, a Milano?”
“No, Tom sta in Francia da due anni ormai. Dice che la compagnia è migliore …”
“Oh, ma sono imperdonabile … Lisa, questo ragazzo che soffre in disparte per conoscerti è il mio compagno di lavoro, Marvin Berry.”
Marvin si presentò e ricordò a Ralph che c’era ancora da fare il giro perimetrale di controllo.
“Marvin è un instancabile perfezionista … avremo comunque modo di incontrarci ancora no? Non è che te ne vai subito!”
“No, penso di restare per un po’ di tempo … almeno finché non mi mandano via a calci!” Poi, in modo scherzoso, chiese perché fossero necessarie guardie armate in un caseificio.
“Oh, semplice controllo.” Rispose Marvin “Il caseificio serve alcune importanti basi militari e i ge-nerali sono piuttosto intransigenti su ciò che viene servito alla loro tavola!”
Si salutarono con la promessa di incontrarsi ancora davanti ad una birra.

3

Gli operai erano da tempo tornati a prestare attenzione ai macchinari e le operazioni di carico delle cassette del latte erano quasi completate. Lisa percorse un lungo corridoio per cento metri e poi girò a sinistra seguendo le indicazioni sulle pareti. Su di una porta in alluminio un cartello rosso diceva ‘Pa-storizzazione’.
Spinse la porta ed entrò. Si trovava in una parte separata dal complesso principale e relativamente meno industriosa, forse semplicemente perché più automatizzata.
Lo vide subito.
Dopo tutto era ciò per cui aveva fatto tutta quella strada. Alto più di quattro metri e con un diame-tro di poco più di tre l’autoclave se ne stava in un anglo piuttosto buio della sala … forse c’è una lampadina fulminata!
Si diresse verso la struttura cilindrica e notò il piccolo incavo nel muro che, sui progetti, doveva proteggere macchinari e operai nel caso il portellone di controllo della grande vasca a tenuta stagna avesse ceduto … cosa molto improbabile visto come sono costruiti questi affari!
La posizione del portellone, inserito solitamente sulla sommità e non, come in questo caso, ad al-tezza d’uomo, suggeriva che una delle priorità nella costruzione dell’impianto fosse stata l’ottimizzazione dell’utilizzo dello spazio, piuttosto che il rispetto dei canoni già collaudati. Ma di cer-to l’autoclave era molto più complesso e resistente di ciò che un’occhiata superficiale avrebbe potuto mai rivelare…e poi tutte le porte dei contenitori a pressione si aprono verso l’interno, in modo che sia la pressione stessa a sigillare la chiusura.
Lisa si guardò attorno e, non scorgendo nessuno, si infilò nella nicchia. Dall’esterno, si rese conto, era impossibile determinare se qualcuno stava nella cavità e sorrise per un attimo al pensiero di aver appena scoperto il perfetto nido d’amore. Il sorriso le morì sulle labbra ad un’improvvisa vibrazione del cilindro e, mentre un gorgoglio smorzato saliva per le tubature, si accorse di un adesivo giallo, su cui troneggiava una lampada rossa intermittente. La luce illuminava ritmicamente una scritta di perico-lo.
...Click…Click…Click...
Il contenitore era in pressione e, a confermarlo, se ne stava sulla destra un manometro, con l’ago un po’ tremolante.
Il meccanismo di apertura consisteva in un grosso manubrio di metallo e Lisa prese a farlo ruotare nel verso di apertura.
Al diavolo, se proprio riuscissi a sbloccare la porta di un contenitore in pressione …
Il portello si spalancò senza un cigolio od uno sbuffo.
Lisa stette ad ascoltare mentre un altro gorgoglio saliva per le tubature, poi sentì una breve vibra-zione della struttura ed entrò.
...Click…Click…Click...
Il portellone si chiuse silenziosamente alle sue spalle. Poi, con l’accendersi delle luci al neon, il pa-vimento iniziò a scendere.
Di fronte alla nicchia l’ago del manometro tremolava sotto una luce intermittente.