DARWIN E DINTORNI
Fino a 60 milioni di anni fa, i principali gruppi di invertebrati vivevano tutti
nel mare, e solo 50 milioni di anni fa apparvero pesci dotati di struttura
ossea: la terra si popolò di licheni, che avviarono il processo di fotosintesi.
40 milioni di anni fa, eruzioni vulcaniche e sconvolgimenti di fondali oceanici
spinsero i pesci a trasformarsi in anfibi: le piante assunsero vere foglie e
radici e cominciarono a riprodursi attraverso semi, i quali rappresentano un
notevole progresso rispetto alle spore.
Venne quindi il carbonifero, dove immense foreste sempreverdi popolavano la
terra, permettendo lo sviluppo degli insetti. Morendo, le piante divennero torba
che, compressa dagli strati accumulati successivamente, divenne l'attuale carbone
fossile e petrolio. Gli anfibi, animali dominanti, assunsero dimensioni enormi
ed apparvero i rettili.
Mentre gli anfibi depositano le uova nell'acqua nella quale le larve trascorrono
la prima parte della loro vita ed hanno quindi una respirazione branchiale,
mentre negli adulti questa è polmonare i rettili, invece, depongono le uova
nella terra e quindi queste devono avere, oltre a una riserva nutritizia e di
acqua, anche un guscio che le preservi dall'essiccamento. Siamo ora nel
Triassico o età dei rettili, 225 milioni di anni fa.
L'evoluzione dei rettili portà alle più strane ed imponenti forme mai raggiunte
da animali con una grande varietà di tipi: alcuni erano carnivori, altri
erbivori. Una delle varietà , i dinosauri, camminavano sulle zampe posteriori ed
erano muniti di una possente coda per bilanciarne il peso: altri rettili
svilupparono ali, altri ancora tornarono a vivere nell'acqua, e solo 18 milioni
di anni fa apparvero uccelli con piume cornee, derivati dai rettili, finchè il
Cretaceo, tra 135 e 70 milioni di anni fa, segna la fine dei rettili, i più
grossi e prosperi animali del triassico.
Si pensa che la scomparsa dei rettili sia stata alquanto improvvisa, forse a
causa di una collisione meteorica. Comunque, 70 milioni di anni fa, le foreste
lasciarono il posto a grandi distese erbose permettendo la diffusione degli
erbivori. La scomparsa dei grandi rettili fece subentrare i mammiferi come
animali dominanti.
I FOSSILI
I fossili ci mostrano il corso dell'evoluzione, una modificazione lenta, una
specializzazione progressiva nel corso di decine di milioni di anni. Per esempio
i cavalli moderni hanno un solo dito per ogni zampa, mentre quelli laterali si
sono atrofizzati. Ma vi fu un tempo in cui tutti i cavalli avevano tre dita per
ogni zampa. Questi pre-cavalli erano molto più piccoli, con gambe corte e una
diversa dentatura. I cavalli fossili sono abbastanza numerosi e dimostrano la
impercettibile gradualità della trasformazione dalle tre dita a un dito solo,
compiuta in 30 milioni di anni. Dimostrano pure che ad un certo punto
l'evoluzione si fermò stabilizzando il tipo di cavallo: da 5 milioni di anni i
cavalli non hanno più subito modificazioni essenziali.
I fossili mostrano pure la portata dell'estinzione di alcune specie.
L'estinzione avvenne con una diffusione assai maggiore in determinati periodi, e
per i mammiferi il periodo critico fu il Pleistocene o Era glaciale, 1 milione
di anni fa, quando numerosissimi tipi dominanti furono spazzati via
dall'estinzione - tigri dai denti a sciabola, maldentati giganti, mammuth,
bisonti giganti, orsi e leoni delle caverne, armadilli giganti, rinoceronti
vellosi e molti altri ancora. La differenziazione di adattamento avvenne in fasi
successive e molti dei tipi prodotti nella prima fase si estinsero nella
successiva o si ridusero di numero o di importanza di fronte alla competizione
dei tipi più tardi, sempre più migliorati.
INSETTI
Gli insetti, pur essendo anch'essi tra gli animali più antichi, sono più
difficili da definire. Oggi esistono 1 milione di specie di insetti, ed ognuna
ha il suo compito nell'ecosistema, anche se spesso indecifrabile e misterioso.
Esse sono fornite di organi sensoriali tattili, gustativi, olfattivi molto
sviluppati mentre invece l'udito è rudimentale e la vista, a mezzo di occhi
compositi sfaccettati, è molto diversa da quella dei vertebrati.
E' sorprendente
constatare come un insetto che nasce senza aver mai visto i genitori, che sono
già morti da un pezzo ai primi freddi sappia già tutto sul da farsi e trova
tutto già pronto e inizia con infallibile destrezza tutta una serie di
operazioni vitali che lo porteranno dallo stadio di larva a quello di pupa fino
ad insetto completo, come se tutto fosse stato già programmato in precedenza.
Ancora più sorprendente è osservare insetti sociali come le formiche, le termiti
o le api: una formica femmina depone senza sosta le uova dalle quali nascono
sterili operaie. Le operaie scavano senza posa le gallerie del nido sotterraneo,
chiudono la sera le porte e collocano le sentinelle, altre compiono lunghi
viaggi alla ricerca di cibo, altre ancora appese al soffitto producono un
alimento per nutrire individui in stato di necessità, altre catturano altre
specie di insetti per farne animali domestici, altre ancora coltivano campicelli
di microscopici funghi all'interno del nido, si scambiano informazioni e si
uniscono insieme per fare lo stesso lavoro, o per trastullarsi. Riconoscono le
loro compagne dopo una assenza di mesi. Fanno strade, e talvolta gallerie sotto
i fiumi e quando un oggetto che portano nel nido è troppo grande, allargano la
porta e poi tornano a ricostruirla. Vanno in battaglia in eserciti regolari, e
sacrificano le loro vite per il "bene" comune. Fanno schiave le pupe razziate ai
nemici. Tengono gli afidi come vacche da latte. Portano le uova dei loro afidi
come le proprie nelle parti più calde del nido, affinchè si schiudano più
presto; e fanno un numero infinito di cose simili. Il tutto in un animale di un
milligrammo di peso!
I MAMMIFERI
Tra gli animali superiori - mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci -
l'evoluzione ha dato attualmente vittoriosi i mammiferi placentati che in gran
numero abitano tutta la superficie terrestre e persino le profondità marine. Una
delle caratteristiche dei mammiferi è il possesso di ghiandole che secernono
latte, e il possesso di peli, che concorrono nei processi di regolazione della
temperatura interna. I placentati sono così chiamati per il fatto che i piccoli
vengono nutriti, finchè hanno raggiunto un elevato grado di sviluppo, entro il
corpo della madre. Hanno un sistema di termoregolazione straordinariamente
perfetto ed adattato all'ambiente, per esempio le enormi orecchie degli elefanti
africani e delle volpi del deserto, usate per irradiare calore mentre invece
all'aumentare della latitudine e del freddo si ha la tendenza ad un
accorciamento di orecchie e zampe e ad un corpo coperto di peli o di strati di
grasso per non disperdere calore. Essi mostrano inoltre una elevata capacità di
imparare visibilmente in correlazione con un eccezionale sviluppo di quella
parte del cervello che regola l'intelligenza del comportamento: la corteccia
cerebrale.
Alla fine dello stadio dei rettili una linea evolutiva si modellò sullo schema
dei rettili e ne derivarono gli uccelli, mentre un'altra, più rivoluzionaria,
sviluppò la neocorteccia, e ne derivarono i mammiferi. In una delle
ramificazioni dei mammiferi comparvero i primati, ordine in cui la neocorteccia
raggiunge il massimo sviluppo.
Da un punto di vista strettamente filogenetico si potrebbe dire che gli uccelli
rappresentano il logico punto di arrivo dello sviluppo del cervello rettile,
mentre i mammiferi sono dei devianti, poichè non contano gli uccelli tra i
propri antenati.
Nel loro primo stadio evolutivo, i mammiferi deponevano ancora uova come gli
antenati rettili. Nel secondo stadio, lo stadio marsupiale, l'embrione trascorre
i primi stadi di sviluppo entro il corpo della madre, ma i sistemi per
alimentarlo sono ancora molto primitivi cosicchè deve venire alla luce quando è
ancora piccolissimo: viene perciò riparato in una borsa speciale, il marsupio, e
nutrito dal capezzolo, interno al marsupio, cui è appiccicato l'embrione. Fu nel
terzo stadio che l'embrione potè continuare a crescere per raggiungere
dimensioni e sviluppo avanzato entro il riparo materno. I vantaggi dei
placentati furono tali che, ovunque si diffusero, provocarono l'estinzione dei
mammiferi ovipari e dei marsupiali. Le uniche eccezioni si trovano in Australia,
dove sono numerosi i marsupiali, e dove vivono persino due specie di mammiferi
ovipari. Questo perchè la possibilità di contatti tra l'Australia e il resto del
mondo fu tagliata via in un indeterminato momento del cretaceo, prima del
fortunato sviluppo dei placentati. Senza la competizione dei più recenti ed
efficienti placentati, i marsupiali e gli ovipari australiani furono non solo in
grado di sopravvivere, ma anche di riprodursi in una quantità di creature
altrove sconosciute, come i canguri e i koala che ebbero il ruolo e l'importanza
altrove assunta dai placentati.
In tutti i casi, laddove un mammifero a placenta è stato introdotto con
fortunati risultati nel continente australiano, questo si è dimostrato superiore
ai marsupiali aborigeni nella lotta per l'esistenza: si pensi ai conigli e ai
cani, importati dall'Europa e sfuggiti al controllo dell'uomo, oggi considerati
una piaga ambientale dell'Australia. La loro superiorità consiste non soltanto
nel migliore meccanismo di riproduzione, ma anche nella loro migliore
intelligenza e versatilità forse derivata dal fatto di possedere il "corpus
callosum", un sistema comunicante di fibre nervose tra i due emisferi cerebrali
che i marsupiali non possiedono.
Molti mammiferi sono in grado di secernere sostanze chimiche, usate sia come
arma di difesa (puzzola) che per segnare il proprio territorio: l'uso così
comune di segnalazioni olfattive pone senza dubbio l'olfatto come senso
principale dei mammiferi, così come lo è la vista per gli uccelli. Tra i
mammiferi placentati si annoverano possenti carnivori, grossi erbivori,
mangiatori di conchiglie, di frutti, di miele, di pesce, di corteccia, di
insetti. Alcuni danno caccia spietata a grosse prede, altri filtrano animaletti
dall'acqua, altri ancora ruminano vegetali o si costituiscono riserve alimentari
interne, in una grande varietà di tipi.
Se consideriamo i carnivori, il leone presenta un alto grado di specializzazione
che basa le proprie fonti alimentari sulla carne: i suoi canini si sono
sviluppati in zanne: i suoi artigli possono ferire e lacerare, ma quando non
vengono usati sono retratti nelle guaine, lasciando le zampe dalla forza
prodigiosa libere di correre con agilità . Così il leone è adatto a vivere nei
grandi spazi aperti delle savane, dove può trovare abbondante caccia grossa e
dove il tono fulvo del suo mantello si fonde con l'ambiente circostante. La
tigre abita invece recessi più ombrosi, dove le strisce di colore imitano le
ombre gettate da canne e tronchi attraverso i quali il suo corpo, più snello di
quello del leone, può aprirsi facilmente la strada. La iena, anch'essa parente
lontana dei felini, ha invece l'abitudine di alimentarsi di cadaveri in
putrefazione: il suo corpo descrive una discendente nelle deboli zampe
anteriori, però possiede forti mascelle e dentatura adatta a triturare ossa: ha
i modi furtivi, il muso sogghignante ed emette un urlo somigliante a uno scoppio
di risa demoniaco. La sua principale qualità è costituita dall'adattamento a un
modo di vita poco piacevole: nessuno sa perchè le iene abbiano seguito questa
evoluzione.
Al polo opposto vi sono gli erbivori, molti dei quali costituiscono la preda dei
carnivori, influenzandosi reciprocamente nell'evoluzione, così un aumento di
velocità negli uni ha determinato un aumento di velocità negli altri. Gli
erbivori abbisognano di una notevole massa di alimenti perciò quando non dormono
sono costretti a spendere la maggior parte del tempo a pascolare, brucare,
masticare, spesso nei pericolosi spazi aperti di pianure erbose. I loro denti si
sono trasformati in arnesi per falciare e macinare, mentre quelli dei carnivori
sono arnesi per azzannare, strappare e tagliare.
Gli organismi più specializzati ad elaborare erba e foglie sono i ruminanti. Il
rumine li mette in grado di inghiottire affrettatamente il cibo che prendono
negli spazi aperti e quindi, in luoghi meno pericolosi, farlo ritornare alla
bocca per triturarlo finemente. Le loro unghie sono diventate zoccoli per una
migliore presa sul terreno, e poichè devono darsi alla fuga coi genitori sin dai
primi giorni di vita, essi nascono con gambe sproporzionatamente lunghe e a
poche ore dalla nascita sono in grado di tenere il passo con le proprie madri.
Se consideriamo gli erbivori, le antilopi sono tipiche rappresentanti di
ruminanti: occhi liquidi e orecchie grandi e mobili atti a vedere e sentire il
nemico a distanza, muso allungato per accogliere la batteria di denti a macina,
odorato sviluppatissimo e le corna, ossa prive di rivestimento muscolare o
corneo, usate come armi di difesa o nei duelli per il possesso delle femmine.
Le balene sono i più grossi animali del mondo, e si nutrono trattenendo tra i
denti piccoli animali marini. I capodogli, invece, si nutrono di polipi e seppie
giganti e per inseguirli si tuffano a incredibili profondità . Le balene offrono
la dimostrazione della superiorità dei mammiferi placentati, perchè anche se
hanno dovuto adattarsi alla vita marina, sono riuscite a raggiungere velocità e
dimensioni maggiori di qualunque altra creatura marina, quale il pescecane
dentato gigante.
Batteri e Virus
Le registrazioni fossili testimoniano che i microrganismi
hanno abitato la Terra per miliardi di anni. E fin dall'inizio della loro storia
gli esseri umani sono stati praticamente in costante conflitto con questi
piccolissimi abitanti del pianeta. Testi e immagini risalenti a migliaia di anni fa rivelano le
prime fasi di questa battaglia contro i germi. Ci sono dipinti dell'Egitto dei
Faraoni che mostrano persone chiaramente colpite dalla malattia che oggi
chiamiamo poliomielite. E già nel 400 a.C. Ippocrate, il padre della medicina,
incoraggiava l'igiene, vale a dire l'uccisione dei germi patogeni, come azione
preventiva. Tucidide, storico greco di quell'epoca, ha descritto come i
sopravvissuti a un'epidemia, probabilmente di peste, erano in qualche modo
protetti dalle successive epidemie della stessa malattia, e potevano rendersi
utili per la cura dei nuovi pazienti. Un'altra epidemia di peste, conosciuta
come la Morte Nera, ebbe inizio nel milletrecento, e flagellò la popolazione
europea per tre secoli. In quel periodo, quest'unica malattia fu responsabile
della morte di quasi tre quarti della popolazione europea.
La peste è scomparsa, grazie al miglioramento delle condizioni igieniche, ma
molte altre malattie infettive hanno continuato a mietere vittime. Ancora nei
primi decenni del Novecento, un bambino aveva un 50 per cento di probabilità di
morire prima del decimo anno di età per aver contratto una malattia infettiva.
Pertosse, colera, morbillo e altre malattie infettive uccidevano migliaia di
persone ogni anno anche nei paesi più avanzati. E nelle nazioni meno sviluppate
questo flagello continua ancora oggi, anche se dagli anni quaranta gli
antibiotici, e in particolare la penicillina, hanno permesso grandi passi avanti
nella protezione dalle infezioni batteriche.
Tra gli anni cinquanta e sessanta, l'arrivo dei vaccini contro numerosi virus e
batteri ha portato a uno straordinario successo nella prevenzione delle malattie
infettive. Nei soli Stati Uniti, per esempio, nel 1921 si registrarono più di
100.000 casi di difterite. Nel 1996, grazie alla vaccinazione di massa, i casi
furono meno di una decina. E nel 1941 si ebbe un milione di casi di morbillo.
Nel 1996 i vaccini hanno ridotto l'incidenza a meno di 1000 casi. Eppure la disponibilità di farmaci e vaccini non ci mette al
sicuro dal rischio di contrarre malattie infettive. Negli Stati Uniti, si
stima che ogni anno 20.000 persone perdano la vita per complicanze associate a
una banale influenza.
Ogni conquista scientifica ha sollevato nuovi problemi. Come hanno fatto le
forze inesorabili dell'evoluzione a dar forma agli organismi e a modellare la
nostra risposta immunitaria? Perché molti antibiotici non funzionano più contro
certi batteri? Perché, con tutte le nostre tecnologie, non riusciamo a fare
progressi in questa battaglia? Siamo pronti a fronteggiare un ritorno di
pericolose malattie?
La biologia evolutiva ci permette di gettare un'occhiata
sui meccanismi di interdipendenza che si instaurano tra questi microscopici
esseri viventi e l'uomo nel corso dell'evoluzione. Con la comprensione di questi
meccanismi, possiamo capire meglio le malattie infettive e cercare soluzioni per
arginarne le epidemie. E' vero che gli antibiotici hanno salvato molte vite, ma
l'abuso di questi farmaci in medicina e nelle pratiche agricole e di allevamento
ha fatto insorgere fenomeni di resistenza in molti organismi patogeni Come nasce
questa resistenza? Come possiamo evitarla, o ridurre gli effetti di
questa apparentemente inevitabile conseguenza dell'uso di antibiotici? Possiamo
migliorare in modo significativo la risposta immunitaria, e come?
Il corpo umano
Quando contempliamo il corpo umano, rimaniamo allo stesso tempo meravigliati e
perplessi. L'occhio per esempio, ci appare come un assoluto prodigio: il tessuto
trasparente della cornea si curva nel modo esatto, l'iride è in grado di
adeguarsi all'intensità della luce e il cristallino alla distanza degli oggetti
osservati, cosicché la giusta quantità di luce venga focalizzata esattamente
sulla superficie della retina. Ben presto, però, lo stupore per questa apparente
perfezione si trasforma in perplessità: contrariamente a qualunque buona regola
di progettazione, i vasi sanguigni e i nervi attraversano la retina, creando dei
punti ciechi nelle zone di uscita.
In effetti il nostro organismo presenta moltissime stridenti incongruenze. Per
ogni perfetta valvola cardiaca c'è un dente del giudizio. Il nostro DNA dirige
lo sviluppo dei 10.000 miliardi di cellule che formano un essere umano adulto,
ma poi lascia che tutto questo si deteriori fino alla morte. Il nostro sistema
immunitario è in grado di identificare e distruggere un milione di invasori
diversi, ma molti batteri possono ancora ucciderci. Osservando tutte queste
contraddizioni si direbbe che il nostro corpo sia stato progettato da una
squadra di eccezionali ingegneri, fra i quali ogni tanto si è intrufolato un
ingegnere pasticcione.
In realtà, le incongruenze si spiegano se studiamo attentamente l'origine dei
punti deboli dell'organismo e se teniamo a mente che "nulla in biologia ha senso
se non alla luce dell'evoluzione". La biologia evoluzionistica è, naturalmente,
la base scientifica di tutta la biologia, e a sua volta la biologia è la base su
cui si fonda tutta la medicina. Con queste premesse, è sorprendente che solo
adesso la biologia evoluzionistica cominci a essere considerata come una
disciplina fondamentale delle scienze mediche. Lo studio dei problemi medici nel
contesto dell'evoluzione prende il nome di "medicina darwiniana".
Gran parte della ricerca medica è rivolta a spiegare le cause
di una malattia e a mettere a punto terapie in grado di curare o alleviare le
condizioni patologiche. Tradizionalmente, la medicina persegue questi scopi
prendendo in considerazione questioni contingenti e studiando i meccanismi
fisiologici e patologici dell'organismo come se fossero sempre esistiti come
tali. Al contrario, la medicina darwiniana si interroga sul perché l'organismo
sia strutturato in modo tale da risultare vulnerabile, per esempio, al cancro,
all'aterosclerosi, alla depressione o all'asfissia, offrendo così la possibilità
di studiare le patologie in un contesto più ampio.
Le ragioni evolutive dell'esistenza di queste imperfezioni si possono
classificare in un piccolo numero di categorie. In primo luogo, alcune
condizioni spiacevoli, come il dolore, la febbre, la tosse, il vomito e l'ansia
non si possono considerare vere e proprie malattie né difetti dell'organismo, ma
costituiscono piuttosto meccanismi di difesa. In secondo luogo, il conflitto con
altri organismi, da Escherichia Coli ai leoni e coccodrilli, è una costante nel
mondo naturale. Terzo, alcune circostanze, come l'ampia disponibilità di grassi
nella dieta, sono così recenti nella storia dell'uomo che la selezione naturale
non ha ancora avuto la possibilità di intervenire su di esse. Infine,
l'organismo può essere vittima del compromesso fra benefici e costi di un tratto
genetico: per esempio, il gene dell'anemia falciforme, se da una parte causa una
grave malattia, dall'altra protegge dalla malaria. I limiti intrinseci al
processo di selezione fanno si che si conservino alcune caratteristiche non
ottimali, come i difetti di progettazione dell'occhio dei mammiferi.
Difese evolute
La tosse è forse il meccanismo di difesa più facile da
comprendere: chi non è in grado di espellere materiale estraneo dai polmoni, con
buona probabilità morirà di polmonite. Anche la capacità di provare dolore è
evidentemente vantaggiosa; i rari individui che non percepiscono il dolore
possono per esempio rimanere per un tempo troppo lungo nella stessa posizione, e
il ridotto afflusso di sangue agli arti può essere causa di danni fisiologici.
La tosse e il dolore, interpretati di solito come un problema patologico o
traumatico, in realtà costituiscono un mezzo per risolvere il problema stesso.
Si tratta di capacità difensive, plasmate dall'evoluzione, che vengono tenute in
serbo dall'organismo fino a quando non si rivelano necessarie.
Comprendere l'utilità di altri meccanismi di difesa, come la febbre, la nausea,
il vomito, la diarrea, l'ansia, la fatica, lo starnuto e l'infiammazione, è
invece meno intuitivo. Lungi dall'essere un semplice aumento del tasso
metabolico, la febbre è un benefico e controllato innalzamento del termostato
naturale del corpo: l'aumento della temperatura interna facilita la distruzione
degli agenti patogeni. Perfino animali a sangue freddo, come le lucertole, in
seguito a un'infezione si spostano in zone più calde al fine di far aumentare
anche di diversi gradi la propria temperatura corporea. Se a questi animali
viene impedito di muoversi verso le parti più calde, il loro
rischio di morte per infezione aumenta notevolmente.
La riduzione dei livelli di ferro nel sangue è un altro meccanismo di difesa che
spesso viene male interpretato. Le persone che soffrono di infezioni croniche
spesso hanno livelli di ferro nel sangue più bassi del normale. Questa
diminuzione, che viene spesso considerata come causa della malattia, ha in
realtà una funzione difensiva: nel corso dell'infezione il ferro viene
sequestrato dal fegato, impedendo ai batteri di ricevere una dose adeguata di
questo importante elemento.
La nausea mattutina è da sempre considerata come un effetto indesiderato della
gravidanza. Tuttavia, essa coincide con il periodo in cui i tessuti del feto
sono in rapida differenziazione, e in cui lo sviluppo risulta maggiormente
vulnerabile all'interferenza di tossine. La nausea fa sì che la donna diminuisca
il consumo di sostanze dal sapore forte, le quali potrebbero plausibilmente
contenere tossine. Queste osservazioni hanno portato a ipotizzare che la nausea
tipica della gravidanza sia un meccanismo adattativo con cui la madre protegge
il feto dall'esposizione a tossine. Esaminando l'esito di numerose gravidanze, e
i risultati sembrano indicare come le donne che soffrono maggiormente di nausea
abbiano un'incidenza più bassa di aborti spontanei.
Un'altra condizione comune, l'ansia, è evidentemente sorta come una difesa per
riuscire a evitare situazioni pericolose in natura. Uno studio condotto nel 1992
ha permesso di valutare gli effetti benefici della paura nei guppy, pesciolini
tropicali di piccole dimensioni. I ricercatori hanno raggruppato i pesci in tre
diverse categorie: timidi, normali e coraggiosi in funzione della loro reazione
di fronte a un pesce persico. Il tipo timido si nascondeva, il normale
semplicemente scappava via e il coraggioso cercava di non farsi intimidire dal
pesce più grosso. Ciascun gruppo di pesciolini veniva poi lasciato in una vasca
insieme col pesce persico. Dopo 60 ore, il 40 per cento dei guppy timidi era
sopravvissuto, rispetto al 15 per cento di quelli normali; l'intero gruppo di
pescìolini coraggiosi era stato invece liquidato.
La pressione selettiva a favore dei geni che promuovono un comportamento ansioso
implica anche che esistano individui troppo ansiosi, come in effetti avviene.
Per la stessa ragione si suppone che esistano individui ipofobici, ossia che per
qualche motivo non provano ansia a un livello sufficiente. La natura esatta e la
frequenza di questa sindrome è ancora discussa, dato che è molto più difficile
che qualcuno si rivolga a uno psichiatra per lamentare un insufficiente livello
di ansietà.
L'utilità di condizioni tanto comuni quanto spiacevoli, come la diarrea, la
febbre e l'ansia non è intuitiva Se la selezione naturale ha plasmato i
meccanismi che regolano queste risposte difensive, come è possibile che i
farmaci che bloccano queste stesse difese non provochino gravi danni
all'organismo? Una risposta è che in effetti a volte ci danneggiamo inibendo le
nostre difese.
Studiando la diarrea causata dall'infezione da Shigella, i ricercatori hanno
scoperto che i pazienti che assumevano farmaci antidiarroici guarivano più
lentamente ed erano più soggetti a complicazioni rispetto a chi aveva assunto un
placebo. In un altro esempio, in certe parti dell'Africa i tentativi di
correggere quella che veniva considerata una carenza di ferro hanno portato a un
aumento di malattie infettive come le amebiasi Mentre è improbabile che
l'assunzione di ferro con gli integratori alimentari possa avere ripercussioni
su persone altrimenti sane che hanno infezioni comuni, è invece possibile che
essa causi gravi danni a individui malati e malnutriti. Queste persone infatti
non producono sufficienti quantità di proteine che legano il ferro, lasciando
così questo elemento a disposizione degli agenti infettivi.
Per quanto riguarda la nausea mattutina, un farmaco antinausea è stato
recentemente chiamato in causa per malformazioni nei neonati. Probabilmente il
farmaco è di per sé innocuo, ma porti a malformazioni inibendo la nausea
difensiva della madre.
Un altro ostacolo che rende difficile percepire i vantaggi delle nostre difese
deriva dal fatto che molti provano regolarmente e inutilmente reazioni di ansia,
dolore, febbre, diarrea o nausea. Per spiegare questi effetti bisogna analizzare
la regolazione delle risposte difensive in termini di rilevazione del segnale.
Per esempio, con il cibo si può introdurre nello stomaco una tossina, che
l'organismo può espellere con un attacco di vomito. Il costo di un falso
allarme, il vomito, quando in realtà non è presente una tossina consiste in
poche calorie perdute; ma il prezzo da pagare anche per un solo mancato vero
allarme potrebbe essere la vita.
La selezione naturale tende perciò a sviluppare meccanismi di regolazione con
una soglia di attivazione molto bassa, secondo un principio che potremmo
definire «dell'allarme antincendio». Un rivelatore di fumo affidabile, in grado
di svegliare una famiglia in caso di incendio, darà necessariamente un falso
allarme ogni volta che si brucia un toast. Così, il prezzo che paghiamo per i
nostri numerosi «allarmi antincendio» è costituito da sofferenze che sono spesso
inutili, anche se non patologiche. Questo principio spiega anche perché bloccare
le nostre difese spesso non porta ad alcuna tragica conseguenza. Dato che la
maggior parte delle reazioni difensive avviene in risposta a minacce
insignificanti, interferire con esse è di solito innocuo, ma può avere esiti
disastrosi nel caso di gravi patologie.
Conflitti con altri organismi
La selezione naturale non ci ha permesso di sviluppare una
protezione perfetta contro tutti i patogeni, perché questi ultimi tendono a
evolvere molto più velocemente di quanto non faccia la specie umana. Grazie alla
sua velocità di riproduzione, in un solo giorno il batterio E. Coli, per
esempio, può avere altrettante opportunità di mutazione e di selezione di quante
ne abbia l'umanità in un millennio. In questo senso le nostre difese, naturali o
artificiali, fungono da potenti forze selettive contro cui i patogeni devono
sviluppare un contrattacco, pena l'estinzione. La cruda realtà è che i patogeni
sono in grado di adattarsi a qualunque sostanza i ricercatori possano
sviluppare. La resistenza agli antibiotici è una dimostrazione classica
dell'effetto della selezione naturale. I batteri casualmente dotati di geni che
permettono loro di prosperare anche in presenza di un antibiotico si riproducono
più velocemente degli altri, sicché i geni che conferiscono la resistenza
all'antibiotico si diffondono rapidamente, e possono perfino trasferirsi in
specie diverse di batteri, trasportati da frammenti di DNA infettivo.
Molti medici e scienziati credono
ancora alla teoria (superata) secondo cui i patogeni diventano necessariamente più
benigni dopo una lunga associazione con l'ospite. A un'analisi superficiale, la
cosa sembra avere senso. Un organismo patogeno che uccide troppo rapidamente l'ospite
rischia di non raggiungerne mai un secondo, cosicché la selezione naturale
sembrerebbe favorire una minore virulenza. La virulenza di un patogeno,
tuttavia, è una caratteristica che nel corso del tempo può aumentare o
diminuire, a seconda di quale opzione sia più vantaggiosa per i suoi geni.
Per i patogeni che si diffondono direttamente da una persona all'altra, una
bassa virulenza è generalmente vantaggiosa perché permette all'ospite di restare
attivo e assicura al patogeno la possibilità di entrare in contatto con altri
potenziali ospiti. Tuttavia alcune malattie, come la malaria, vengono trasmesse
altrettanto bene o anche meglio se l'ospite è inabile. Quindi, per i patogeni
che si avvalgono di un vettore intermedio, come la zanzara, un'alta virulenza
può costituire un vantaggio selettivo. Questo principio ha dirette implicazioni
nel controllo delle infezioni ospedaliere, dove le mani del personale sanitario
possono funzionare da vettori che portano alla selezione di ceppi più virulenti.
Nel caso del colera, l'acqua assume lo stesso ruolo della
zanzara. Quando l'acqua che viene usata per bere o per lavarsi è contaminata da
scarichi di individui inabilitati a muoversi, la selezione porta a un incremento
della virulenza, perché una diarrea più forte provoca una maggiore diffusione
dell'organismo, anche se i singoli ospiti muoiono rapidamente. Tuttavia quando
le condizioni igienico sanitarie migliorano, la selezione agisce contro il
batterio favorendo il biotipo più benigno. In queste condizioni, un ospite morto
rappresenta un vicolo cieco per il patogeno; al contrario, un ospite mobile, in
grado di infettare molti altri per lungo tempo, costituisce un veicolo efficace
per un patogeno a virulenza più bassa.
Queste considerazioni potrebbero essere rilevanti per la
sanità pubblica. Le teorie di tipo evolutivo prevedono che l'uso di siringhe non
contaminate e le pratiche sessuali sicure, oltre a preservare direttamente
numerosi individui dall'infezione da HIV, avranno anche un effetto meno
immediato. Se il comportamento stesso dell'uomo riuscirà a rallentare la
velocità di trasmissione dell'HIV i ceppi che non uccidono rapidamente i loro
ospiti avranno un vantaggio selettivo a lungo termine rispetto a quelli più
virulenti, che tenderanno a morire assieme ai loro ospiti senza avere occasione
di diffondersi. Le nostre scelte collettive, quindi, possono cambiare la natura
stessa dell'HIV.
Far fronte alle novità
Anche l'umanità ha provocato a se stessa numerose malattie. L'infarto del miocardio,
per esempio, è soprattutto conseguenza dell'aterosclerosi, un problema che si è
manifestato in modo diffuso solo durante l'ultimo secolo, e che rimane tuttora
raro fra i popoli di cacciatori - raccoglitori. La ricerca epidemiologica
fornisce le informazioni che dovrebbero aiutarci a prevenire l'infarto: limitare
il consumo di grassi, mangiare molte verdure ed effettuare regolare attività
fisica. Nonostante tutto ciò sia ben noto, sono in molti a seguire uno stile di
vita esattamente opposto. Negli Stati Uniti un terzo della popolazione è in sovrappeso e tale frazione sta crescendo.
Tentazioni ancora più pericolose sono procurate del resto dalla sempre più ampia
disponibilità di sostanze psicoattive, principalmente alcool, tabacco e droghe
responsabili di molte malattie, di enormi spese sanitarie e di molte morti
premature.
Compromessi e limiti
Qualsiasi forma di adattamento comporta compromessi. Se le
ossa del braccio umano fossero tre volte più spesse di quanto sono, le fratture
sarebbero quasi inesistenti, ma l'Homo sapiens sarebbe un essere rozzo e
sgraziato e costretto a una dieta molto ricca di calcio. Orecchi più sensibili
ci sarebbero utili in molte situazioni, ma saremmo continuamente afflitti da
rumori di intensità minima.
Equilibri di questo tipo esistono anche a livello genetico. Se una mutazione
offre un vantaggio riproduttivo, la sua frequenza nella popolazione tenderà ad
aumentare, anche se comporta maggiore vulnerabilità a una malattia. Perciò,
anche se il gene per l'anemia falciforme è causa di una grave malattia, la sua
presenza è favorita nelle zone malariche.
Invecchiamento
L'invecchiamento potrebbe essere il miglior esempio di compromesso genetico. Nel
1957 si ipotizzò che i geni che causano l'invecchiamento e la morte potessero
comunque essere favoriti dalla selezione naturale qualora avessero altri effetti
vantaggiosi per gli individui più giovani, quelli cioè che sono maggiormente
sottoposti a pressione selettiva. Per esempio, un ipotetico gene in grado di
regolare il metabolismo del calcio in modo da accelerare la riparazione di
fratture ossee ma anche di produrre la calcificazione delle pareti delle
arterie, potrebbe risultare favorito pur costituendo un fattore di mortalità
negli individui anziani. La gotta è un
altro caso particolarmente interessante, perché ha origine quando un potente
antiossidante, l'acido urico, forma cristalli che precipitano provocando
depositi nelle articolazioni. Gli antiossidantì hanno l'effetto di ritardare
l'invecchiamento, e i livelli plasmatici di acido urico in diverse specie di
primati sono strettamente correlati con la vita media degli adulti. E' possibile
che alti livelli di acido urico siano vantaggiosi per la maggior parte degli
esseri umani, perché rallentano l'invecchiamento dei tessuti; alcuni individui,
tuttavia, pagano il prezzo dì questo beneficio soffrendo di gotta.
Altri esempi riguardano meccanismi che probabilmente contribuiscono ad
accelerare l'invecchiamento. Per esempio, energiche difese immunitarie ci
proteggono dalle infezioni, ma causano piccoli e continui danni ai tessuti. E
anche possibile, naturalmente, che la maggior parte dei geni che causano
l'invecchiamento non porti benefici in alcuna fase della vita; in natura, questi
geni potrebbero semplicemente non influire sulla capacità riproduttiva in misura
tale da essere eliminati per selezione naturale.
Il percorso della selezione naturale può perciò portare a binari morti come
l'appendice cecale, ultimo vestigio di una cavità che i nostri antenati
utilizzavano per la digestione. Dato che l'appendice non svolge più la sua
funzione originaria, e considerato che la sua infiammazione può avere esiti
letali, ci si domanda come mai la selezione naturale non l'abbia già eliminata.
La realtà è alquanto più complessa di quanto non appaia a prima vista.
Lungi quindi dall'affermare che tutto nell'organismo è perfetto, un'analisi di tipo
evolutivo svela che conviviamo con alcune spiacevoli caratteristiche ereditate
dai nostri predecessori, e che certi nostri punti deboli possono in realtà
essere attivamente mantenuti dalla pressione selettiva.
L'evoluzione della medicina darwiniana
Nonostante l'immenso impatto delle teorie darwiniane, solo di recente la
biologia evoluzionistica ha cominciato a essere considerata come una scienza di
base necessaria alla medicina. La maggior parte delle malattie
riduce la capacità adattativa, e per questo si immagina che la selezione
naturale debba determinare lo stato di salute, non le condizioni patologiche.
L'approccio di tipo darwiniano ha senso solo se si cerca di spiegare non le
malattie, ma piuttosto i tratti che ci rendono vulnerabili a esse. Anche l'idea
che la selezione naturale massimizzi la salute è errata: la selezione naturale
favorisce il successo riproduttivo dei geni. I geni che permettono a un
organismo di avere un maggiore successo riproduttivo si diffonderanno di più,
pur compromettendo alla lunga la salute dell'individuo.