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Sorbettiere italiano dell'ottocento

Il FREDDO IN CASA

POSSO OFFRIRVI UN GELATO?        

Poi, radunati in casa ai soliti diletti,si bevon le acque fresche, si bevono i sorbetti.
Carlo Goldoni

La citazione è tratta dalla lettera in versi inviata ad un amico e testimonia della popolarità e diffusione anche domestica di sorbetti, gelati e bevande ghiacciate intorno alla metà del Settecento. Non è certo tra le più antiche testimonianze dell'uso di refrigerare cibi e bevande, poiché fu scoperta relativamente facile capire che d’inverno gli alimenti si conservavano meglio e per un tempo più lungo. Il difficile era riprodurre queste condizioni anche nel periodo estivo, specialmente in quelle zone dove l’inverno era molto corto. Le sorgive, le cavità e i pozzi profondi ispirarono da subito la possibilità di stivare in questi luoghi, ghiaccio pressato sia nel nuovo che nel vecchio mondo ancora separati. Lo fanno a Roma ma anche in Turchia e Mesopotamia. Le "nevaie" o ghiacciaie rappresentarono per molti secoli la soluzione del problema della conservazione delle cibarie deperibili. La conservazione della neve, che spesso veniva pressata e trasportata in sacchi per decine o centinaia di chilometri, era affidata a buche o grotte nelle quali la neve poteva essere utilizzata anche ad anni di distanza. Solo nel XVII secolo si scoprì in Italia (Zimarra) un metodo scientifico per la conservazione del ghiaccio: bastava aggiungere alla neve sale marino o salnitro.  La mistura permetteva di passare ad una temperatura negativa, sotto lo zero, e di arrivare quindi allo stato di congelamento. Ben da prima erano conosciute le bevande ghiacciate o i primi rudimentali sorbetti ottenuti mescolando succhi di frutta e sciroppi con ghiaccio o neve tritati (oggi le chiameremmo "granite"). Ma è soprattutto dal 1600, dopo quella scoperta, che la preparazione ed il consumo di sorbetti e di veri e propri gelati diventa una costante, sia nei trattati di cucina che nelle descrizioni di pranzi, banchetti e feste. Quel metodo è rimasto l'unico sistema per ottenere freddo "artificiale" sino al brevetto dell'americano Perkins (1860 ca.), della prima macchina per la produzione del freddo sfruttante la teoria di Faraday sul cambio di stato dei fluidi gassosi. Per usi locali e minori si era scoperto che l’acqua dentro gli orci porosi evaporava lentamente abbassando la temperatura. Tipico è l’uso antico degli otri di pelle o il moderno della borraccia in cui si bagna il feltro esterno. Un altro sistema già adottato è quello di spostare veri e propri iceberg o lastre ghiacciate in porto dove verranno tagliate a blocchi e vendute. Il frigorifero portaghiaccio ha una struttura molto semplice: di legno foderata in lamiera a tenuta stagna internamente con una cella per alloggiare il ghiaccio. Tale sistema resterà in essere migliorato e diffuso fino all’avvento nel dopoguerra del frigorifero industriale. Queste prime applicazioni della refrigerazione meccanica avranno esclusivamente finalità industriali e commerciali.  La prima macchina refrigerante per uso familiare comparve soltanto nel 1913, a seguito dell’avvento della corrente elettrica. Frutto dell’ingegno dell’architetto Fred Wolf, fu battezzata Domelre” (DOMestic ELectric REfrigerator) ed era formata da una unità refrigerante da montare in cima al contenitore del ghiaccio del cliente. L’invenzione tardò ad avere successo: a quei tempi l’idea di investire una montagna di soldi per la realizzazione di una macchina simile sembrava semplicemente pazzesca. Anche il prototipo di Alfred Mellowes (1915), con il compressore posto in basso all’armadietto, non riusciva a decollare per le gravi condizioni finanziarie in cui versava l’azienda produttrice di Detroit. L’affare, però, poteva rappresentare una vera miniera di soldi. Fu così che, nel 1918, William Durant, l’allora presidente della General Motors soprannominato “Billy il selvaggio”, rilevò l’azienda e con essa tutti i diritti di produzione.  L’acquisizione della General Motors della Frigidaire Corporation segnò la grande svolta. Durant applicò alla costruzione dei frigoriferi le tecniche di fabbricazione in serie dell’industria dell’automobile. Sotto la presidenza di Biechler, nel 1929, la Frigidaire poté festeggiare il milionesimo frigorifero. L’azienda passò illesa attraverso la grave depressione economica degli anni ’30; le sue vendite andavano a gonfie vele anche grazie all’adozione del gas refrigerante freon al posto di gas mortali come l’ammoniaca, l’anidride solforosa e il cloruro metilico. Nel 1930 l’Electrolux lanciò sul mercato il primo frigorifero incorporato: era un prodotto compatto, silenzioso ed adatto ai minuscoli appartamenti del tempo. In quegli anni l’azienda svedese fu aspramente criticata perché i suoi modelli non permettevano di riporre in posizione verticale le bottiglie di grappa da un litro. Gli svedesi rivendicavano il diritto di avere grappe ben fredde e per questo gli interni dei frigoriferi andavano ridisegnati secondo i dettami della moda.

Clicca per ingrandireQUANDO CON IL CALDO TORRIDO SI CONVIVEVA
 
Quando non c’era il frigorifero c’era la ghiacciaia, sorta di mobiletto con apertura superiore nel quale si introduceva il ghiaccio frantumato. Ai lati c’erano due armadietti rivestiti internamente di lamiera dove si riponevano le vivande; il serbatoio per il ghiaccio era in lamiera pure lui, chiusura superiore, e in basso, si trovava il rubinetto da dove fuoriusciva l’acqua sciolta del ghiaccio. In mezzo al ghiaccio si infilavano il burro, le cervella, il fegato e le bistecche, nei due sportelli di lato i commestibili vari. I pezzi di ghiaccio, parallelepipedi lunghi 50 e larghi 25 centimetri, venivano frantumati sul tavolo della cucina a colpi di mannaia e provenivano dalla ditta xxxxxxxx che vendeva anche le bibite gassate. La distribuzione avveniva a mezzo di un grande carro trainato da una coppia di robusti cavalli da tiro, sul carro stavano parecchie decine di pezzi di ghiaccio ricoperti da teli mentre le massaie si affollavano intorno con le borse di tela incerata, mentre Renzo e Pippo spaccavano a colpi vigorosi i pezzi, "a stima", su richiesta delle clienti. “Una lira, una e cinquanta, due lire....” e giù una mozzata da levare il fiato. Bisognava fare presto perché il sole già batteva e il ghiaccio (ahimè) già si scioglieva. Il carro, ma anche due o tre, percorrevano le vie principali di prima mattina, perché col solleone le cose si sarebbero complicate vieppiù. Per combattere il caldo si bevevano le granatine, le bibite in ghiaccio, i gelati della ditta xxxx che girava con la sua gondola “Gelateria Veneta”.  Alla guida il buon vecchio Valerio che ebbe, quale cliente estiva, la non ancor celebre Paola Ruffo di Calabria, futura regina dei Belgi, che veniva in bicicletta da Campiglione con le amiche. Alla fiera di agosto, comparivano le angurie, rosse bianche e verdi, patriottico gigantesco popone che troneggiava sui banchi, onusti di enormi pani di ghiaccio. “Su ragazzi” - urlava il mercante – “con una lira mangiate, bevete e vi lavate la faccia!” Ricordo il grido caratteristico nelle stazioni assolate, quando si andava al mare in treno: “Bibite in ghiaccio! Gelati! Granatine!” mentre la vaporiera lanciava sbuffi che ammorbavano l’aria e il gelataio correva a porgere i bicchieri colmi di ristoro mentre il vagone si muoveva. D’estate si stava bene in cantina, e questo lo sapevano certi ragazzotti di mia conoscenza che portavano, là sotto, la morosetta, con la scusa della temperatura... Ma che si stesse bene ‘in crota’ d’estate, lo sapevano anche gli antichi che costruivano ampi locali sotterranei dove scorrevano torrentelli, magari con rinforzo di qualche corrente d’aria. Nel 1945 si cominciarono a vedere i frigoriferi, timidamente, in due o tre negozi in città. Mia zia ne comprò uno gigantesco, un Bosch alto due metri e ricordando il tempo di guerra e le restrizioni  mio zio era preoccupato che ci stesse dentro tanta roba. Il venditore, un ometto grinzoso con gli occhiali a stanghetta aprì lo sportello panciuto del frigo e si accoccolò dentro berciando gioiosamente: “Come vede, madamin, qui dentro ci può stare anche un maiale intero!” 

Nella vignetta, dell’autore, una tipica cucina degli anni '30. Notare la ghiacciaia e, vera rarità, la carta moschicida, in alto a destra -Mario Gontier Tratto da "Il Monviso"

 

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