torna indice Mill | vai a indice positivismo | vai a indice filosofia degli ultimi due secoli |
John Stuart Mill
L'educazione precoce, l'attivismo politico culturale dell'adolescenza, la crisi esistenziale, il rapporto con Comte
John Stuart Mill nacque a Londra il 20 maggio
1806.
Suo padre era James Mill. Dall'Autobiografia di John Stuart, finita di scrivere nel 1870,
ovvero tre anni prima della morte, sappiamo
che James Mill si incaricò personalmente
dell'educazione del figlio primogenito, imponendogli
una formazione spirituale ed un tirocinio
intellettuale molto precoce. Lo introdusse
allo studio del greco a tre anni. A otto
anni il piccolo John Stuart aveva già letto
sei dialoghi platonici. Sempre a otto anni
dovette cominciare a studiare il latino.
A quattordici anni la sua educazione letteraria forzata era praticamente conclusa. Ma non era finita:
gli venne ancora imposto un corso di economia
politica, ovviamente classica, cioè inglese,
o meglio, scozzese, dunque centrata sulla
teoria di Adam Smith.
A John Stuart vennero così a mancare le felici
spensieratezze infantili e, più tardi, le
gioie dell'adolescenza. A leggere l'autobiografia
di Stuart Mill si rimane impressionati dal
fatto che egli visse un'infanzia interamente
immersa nei libri, salvo le camminate mattutine
in compagnia del padre. Le uniche esperienze
ricordate sono le innumerevoli letture ad
argomento storico, filosofico, i romanzi,
le poesie.
Sta di fatto che James Mill lavorò su un
materiale particolarmente ricettivo e plasmabile,
anche se non del tutto insensibile ai richiami
delle futilità e dei divertimenti negati.
Nell'Autobiografia lo stesso John Stuart riconobbe che, tutto
sommato, egli aveva tratto giovamento da
quel severo training, ed indubbiamente ne
aveva anche ricavato piacere. Per suo padre
ebbe straordinarie parole di elogio: «
In questo periodo della vita di mio padre
- scrisse nell'Autobiografia - ci sono due cose dalle quali è impossibile
non essere colpiti: una di esse sfortunatamente
è una circostanza molto comune, l'altra una
singolarità rara.
La prima è, che nella sua posizione, con
nessun'altra risorsa che la sua precaria
condizione di collaboratore di periodici,
egli si sposò e diede vita ad una grande
famiglia; [...]. L'altra circostanza è la
straordinaria energia richiesta per condurre
la vita che condusse, con gli svantaggi sotto
i quali fu costretto a lavorare fin dall'inizio,
e con i quali portò sé stesso alla realizzazione
del matrimonio.
Non fu una piccola cosa mantenere sé stesso
e la sua famiglia durante così tanti anni
di attività pubblicistica, senza mai essere
in debito, o in difficoltà economiche; mantenendo,
come egli fece, opinioni, sia in politica
e religione, che risultavano odiose a tutte
le persone di influenza, e al senso comune
degli inglesi più facoltosi [...] (Autobiografia - trad. parz. di Guido Marenco)
A diciassette anni John Stuart era già impiegato
alla Compagnia delle Indie, la stessa società
nella quale il padre occupava un posto di
alto funzionario, e presto si impegnò in
una vivace attività giornalistica sulle colonne
della Westminster Review, fondata nel 1823.
A quindici anni aveva già letto Bentham, e ne era rimasto talmente impressionato
da sentire in sé la vocazione di "riformatore
del mondo". Fondò un'associazione culturale
giovanile, il Club Utilitaristico, e tenne
continue conferenze e dibattiti. Collaborò
strettamente con Bentham, lavorando sui manoscritti
di una sua opera.
Passò una notte in galera per aver diffuso
volantini a favore della contraccezione.
(Evidentemente, in quel periodo non condivideva
la teoria malthusiana dell'autocontrollo
morale).
Ma a ventanni visse una crisi durante la
quale sentì l'estraneità della dottrina utilitaristica
di Bentham e di suo padre.
Di questa crisi egli stesso scriverà:«Immagina
che tutti gli obiettivi della tua vita siano
realizzati, che tutti i mutamenti nelle istituzioni
e nelle opinioni a cui aspiri siano completamente
realizzati in questo stesso istante; sarebbe
questa una grande gioia e felicità per te?
La risposta è : no.
Al che il mio cuore colò a picco senza di
me. L'intera fondazione su cui poggiava la
mia vita crollò. Tutta la mia felicità era
dovuta alla continua ricerca di questo fine.
Ora il fine aveva cessato di affascinarmi,
e come avrei mai potuto trovare interesse
nei mezzi?
Mi sembrava di non avere alcuna ragione di
vivere. » (Autobiography - trad. parz. di Guido Marenco)
Poche righe oltre, dopo la citazione di un
verso di Coleridge estremamente significativo
per Mill, veniamo a sapere qualcosa di molto
interessante: « Mio padre, al quale
sarebbe stato naturale ricorrere in ogni
difficoltà pratica, era l'ultima persona
alla quale, in un caso come questo mi sarei
rivolto per un aiuto. Ogni cosa mi persuadeva
che egli non aveva nessuna conoscenza degli
stati mentali come quello di cui soffrivo,
e perfino fosse stato fatto per comprenderlo,
egli non era il medico che mi poteva guarire.
La mia educazione, che era stata totalmente
una sua realizzazione, non aveva avuto alcun
riguardo per la possibilità che potesse prodursi
un simile risultato, e io non vedevo alcuna
utilità nel dargli il dolore di pensare che
i suoi piani erano falliti, quando il fallimento,
era probabilmente irrimediabile, e a tutti
gli effetti, al di là del suo potere di rimediare.»
(idem)
John Stuart Mill aveva, dunque, preso le
distanze dall'unilateralità dell'utilitarismo
benthamiano. Pur continuando a scrivere,
a partecipare a pubblici dibattiti, cominciò
a divagare sui pensieri degli antiutilitaristi.
In un dibattito interno allo stesso club
culturale che aveva fondato, difese Coleridge
contro le critiche avanzate da molti partecipanti.
Comprese infine, e questo gli consentì di
uscire dalla crisi, che non si ottiene la
felicità facendone uno scopo della vita,
ma dedicandosi ad un compito sensato, che
possa assorbire le energie interne, arrivando
alla felicità attraverso la mediazione di
scopi diversificati.
L'attività filosofica era, sotto questo riguardo,
la più promettente.
Interessato alle idee di Comte, John Stuart Mill entrò in corrispondenza
con lui ed è importante sottolineare l'originaria
concordanza di idee, per poi comprendere
le ragioni del profondo disaccordo successivo.
Tuttavia la crisi fu superata anche perchè
John Stuart prese contatto, finalmente, con
il mondo dell'arte, della musica e della
poesia.
In seguito, quando da più parti fu accusato
di materialismo e di edonismo, egli ebbe
buon gioco nel rispondere che la musica è
un'attività spirituale che procura un piacere
insieme spirituale e materiale.
Devo dire che mi ha molto colpito questo
modo di uscire dalla crisi, perchè in fondo
riguarda tutti i temperamenti viziati da
un precoce razionalismo e da una maturazione
in anticipo sull'età biologica.
Si trattava di riscoprire il gusto della
vita, liberarsi di un sapere libresco e dottrinario,
innamorarsi, cavalcare, andare per boschi
e brughiere, gironzolare senza meta per città
e campagna. Probabilmente Stuart Mill non
fece praticamente tutto questo, se non in
misura molto limitata ed estemporanea, ma
l'importante era avere dinnanzi la possibilità.
Nel 1830 conobbe Harriet Taylor, che era
sposata con un uomo molto più anziano di
lei, e dovette attendere fino al 1851, anno
della morte del marito, per regolarizzare
la relazione; visse quindi un rapporto extraconiugale,
probabilmente platonico, molto lungo ed infelice, anche se il sentimento
di tenerezza per Harriet sembrava appagante.
Certamente non è bello accettare che la propria
donna sia costretta a vivere con un altro,
e probabilmente a subire anche relazioni
sessuali prive di sentimento.
Sul rapporto tra Harriet Taylor e John Stuart
Mill esiste un'ampia letteratura più "rosa"
che storico-realistica. Secondo lo stesso
filosofo ella ebbe un'importanza capitale
nella sua ispirazione. Secondo diversi studiosi
fu lo stesso Mill a creare il mito, non diversamente
da Comte, che aveva creato la leggenda di Clotilde
De Vaux.
In realtà Harriet Taylor non era un'oca e
nemmeno uno di quelle che se la tirano da
intellettuale per farsi un'immagine. Era
una donna intelligente, vivace e combattiva,
che pensava con la sua testa. Stuart Mill
ebbe un partner che capiva e discuteva, e
quando ella morì, sette anni dopo il matrimonio,
lasciò davvero il filosofo in uno stato di
profonda prostrazione. Tra l'altro, nello
stesso anno, Stuart Mill era andato in pensione,
e la coppia aveva intenzione di andare a
stabilirsi in Francia, ad Avignone, in un
clima più temperato che avrebbe giovato alla
salute di entrambi.
Nel Saggio sulla libertà Stuart Mill scriverà, dopo aver accuratamente
citato Alexander von Humboldt, (per il quale
"il fine dell'uomo, o ciò che è prescritto
dai dettami eterni o immutabili della ragione,
non suggerito da desideri vaghi e passeggeri,
è il più elevato e armonioso svilppo dei
suoi poteri in un'unità completa e coerente"):
«Tuttavia, per quanto poco gli uomini
siano abituati a dottrine come quella di
von Humboldt, e per quanto possano sorprendersi
del valore che attribuisce all'individualità,
la questione può soltanto essere soltanto
questione di grado: nessuno pensa che la
migliore condotta possibile sia di non fare
assolutamente altro che copiarsi a vicenda.
Nessuno affermerebbe che gli uomini non dovrebbero
esprimere in alcuna misura il proprio giudizio
o il proprio carattere individuale nel loro
modo di vivere e nella condotta dei loro
affari. D'altra parte, sarebbe assurdo pretendere
che gli uomini debbano vivere come se prima
di venire al mondo tutto fosse stato completamente
ignoto; come se l'esperienza non avesse ancora
indicato in una certa misura che un dato
modo di vivere o di comportarsi è preferibile
ad un altro. Nessuno nega che da giovani
gli uomini debbano essere educati ed addestrati
a conoscere i risultati accertati dall'esperienza
umana e a trarne vantaggio. Ma è privilegio,
e giusta condizione, dell'uomo, una volta
giunto alla pienezza delle sue facoltà, usare
ed interpretare l'esperienza a modo suo.
Tocca a lui determinare in quale misura l'esperienza
già acquisita sia opportunamente applicabile
alle proprie circostanze ed al proprio carattere.»
In queste poche righe, che sono un pacato
invito ad essere sè stessi ad onta di tutti
i pensieri educativi e di tutte le pedagogie
che vorrebbero produrre individui fatti in
serie con lo stampo, c'è molta della reale
filosofia esistenziale di Stuart Mill e c'è
dunque molto anche della sua intera filosofia.
Il rapporto con Comte
Le prime lettere che Stuart Mill inviò a
Comte esprimevano una cauta adesione alla
filosofia positiva. Egli era convinto dell'urgenza
di introdurre in Inghilterra l'impostazione
positivistica, ma era altresì preoccupato
per lo spirito antireligioso del Cours comtiano.
In Inghilterra era necessaria una maggiore
diplomazia nell'introdurre critiche nei confronti
della teologia. Lo stesso utilitarismo non
era una filosofia del tutto atea, lo era
solo nella sua versione più radicale. In
realtà erano passati quasi quarantanni dalla
pubblicazione dei Principi di filosofia morale e politica di Paley, opera nella quale si dimostrava
che per obbedire alla volontà di Dio, bisognava
compiere azioni per rendere felici il maggior
numero di persone.
La teologia inglese era utilitarista, e il
reverendo Malthus, lo era anche più.
Queste riserve sull'antiteologismo non dovevano,
pertanto, arrestare il processo, che Stuart
Mill interpretava già come liberazione dalla teologia e dalle ridicole entità metafisiche, a differenza di Comte,
evidentemente, molto preoccupato per il disordine
spirituale e morale del tempo.
A ben pensarci questa convergenza desta più
di una perplessità, dato il punto di partenza.
Ma è evidente che le preoccupazioni di Stuart
Mill piacevano a Comte. Erano pensieri da
persona seria, per intenderci, da uomo preoccupato quanto
lui dei problemi derivanti dal disordine
morale.
In questa fase il passato benthamiano di Stuart Mill, con tutta probabilità, giocò
a favore del rapporto con Comte.
Su questo piano Stefano Poggi spiega: «
Il radicalismo ispirato a Bentham - cui Mill
aveva aderito nei primissimi anni della sua
attività intellettuale - aveva argomentato
con "logica serrata" la necessità
della "opposizione ad ogni tentativo
di spiegazione di qualunque fenomeno tramite
delle ridicole entità metafisiche ."
Se la concezione benthamiana era anzi stata
la "migliore preparazione" alla
"vera positività", solo la filosofia
positiva poteva garantire il necessario rinnovamento
del dibattito filosofico inglese. Anzi, era
solo la "filosofia positiva" quella
che, caduti i vari sistemi metafisici, poteva
evitare l'esigenza di una "coordinazione
sistematica del pensiero" venisse soddisfatta
dalla filosofia tedesca - dalla filosofia
dell'idealismo tedesco - che aveva preso
ad esercitare una cospicua influenza anche
in Inghilterra.» (Tutte le citazioni
di Poggi stanno in: The early letters of John Stuart Mill, 1812-1848:
The Collected Works of John Stuart Mill, vol XIII, Toronto-London 1963. Da Il positivismo - Stefano Poggi - Laterza - Bari - ristampa
del 1999)
Dal lato di Comte le motivazioni ad un rapporto
con il brillante Stuart Mill erano le stesse che un qualunque
maestro avrebbe potuto intrattenere con un
allievo ben dotato, nonostante la differenza
di età sia di solo otto anni. Dal versante
del filosofo inglese, invece, attraverso
Comte, venne a scoprire una problematica
più complessa, una dimensione del filosofare
che avrebbe potuto notevolmente arricchire
e rinnovare la filosofia inglese. In questo
senso i progetti comtiani di riorganizzazione
intellettuale e morale della società esercitarono
indubbiamente un loro fascino, tanto più
che essi sembravano davvero sfuggire alla
logica dell'idealismo tedesco, per trovare
un'autonoma fondazione nel dato reale, nella
realtà stessa delle cose.
Del resto Stuart Mill non aveva avuto difficoltà
a riconoscere gli importanti stimoli che
la scienza francese, e di consenguenza, il
nuovo sistema educativo francese, centrato
sulle matematiche, aveva prodotto anche in
Inghilterra. Ma al di là dell'importanza
di questo dato, il vero punto di accordo
tra Comte e Stuart Mill stava nel fatto che
Comte « avesse preso a sottolineare
e rivendicare i diritti della biologia contro
la dominazione "oppressiva" e "irrazionale"
dei geometri, da lui giudicati non sempre
in grado di di assicurare piena comprensione
delle relazioni tra fatti, delle leggi. Mill
esprimeva invece pieno plauso nei confronti
della ricerca francese del vivente, deplorando
nel contempo che la ricerca inglese, priva
di autonomia nei confronti della pratica
medica e incapace di liberarsi della tutela
di pregiudizi di ordine religioso, fosse
rimasta arretrata.» (Poggi -idem)
L'unica riserva, al momento, era costituita
dall'adesione di Comte alla frenologia di
Franz Joseph Gall (1758-1828), un medico
austriaco, il quale aveva postulato la localizzazione
cerebrale delle facoltà intellettuali, in
pratica l'esistenza di veri e propri luoghi
deputati alla memoria, all'intelligenza e
così via. Nell'insieme Gall aveva elencato
27 facoltà.
Stuart Mill in questa presa di distanza,
comune persino all'idealista Hegel (che aveva
criticato la frenologia nella Fenomenologia dello Spirito, asserendo che il collegamento tra i bernoccoli
del cranio e le facoltà era totalmente arbitrario),
si rivelò intuitivamente profetico. La dimostrazione
che la frenologia era una fregnaccia sarebbe uscita solo nel 1842 ad opera del
fisiologo francese Pierre Flourens (1794-1867).
Questi, nell'opera Esame della frenologia, avrebbe dimostrato, attraverso esperimenti
su piccioni decerebrati, che il cervello
è un'unità inscindibile e che "non ci
sono dunque sedi diverse nè per le diverse
facoltà, nè per le diverse percezioni."
(da Storia della psicologia - Pewzner & Braunstein - cit.)
Ben prima della dimostrazione scientifica
di Flourens, il filosofo francese Maine de
Biran (1766-1824) nelle sue Osservazioni sulle divisioni organiche del
cervello, del 1808, aveva criticato l'impostazione
di Gall, asserendo che tra l'altro, mancavano
i presupposti, ovvero mancava "una lista
delle facoltà da localizzare", ovvero
che la lista di Gall non era soddisfacente.
Come stiano davvero le cose è peraltro controverso
anche oggi. Il problema, per quel tempo,
era che, in realtà, lo stesso Gall aveva
presentato le sue tesi come una filosofia
e non come una semplice ipotesi scientifica
forte di alcune decisive dimostrazioni. Ammettendo
l'innatismo, ma contestando Cartesio, per
il quale erano innate le idee, Gall aveva
detto che erano gli organi ad essere innati. O meglio, erano innate le qualità di questi
organi, e ciò andava contro una tradizione
empirista e sensista, diffusa sia in Francia
che in Inghilterra. Da questa tradizione,
di cui Locke era stato il principale ispiratore
con le sue idee sulla mente coma una tabula rasa, Stuart Mill era certamente profondamente
influenzato.
continua: Il rapporto "critico" con Bentham