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Tra Jean Meslier, prete ateo, e Kant, laico fedele
di Guido Marenco
Tra il 1664 e il 1729 visse in Francia un uomo capace di condursi in una costante ambiguità, sempre in bilico tra verità e menzogna, verità interiori e menzogne esteriori, nonché bugie intrise di verità. Alla fine delle sua vita, decise di render noto il suo pensiero e la sua esperienza, manifestando pubblicamente la propria versione della verità. Dio non esiste e la religione è una truffa. Aveva fatto il parroco di campagna, godendo dei benefici ecclesiastici riconosciuti al clero. Una vita da Don Abbondio prima dell'incontro con i bravi di Don Rodrigo, e che quando incontrò un facsimile di Don Rodrigo, un vescovo di santa romana chiesa deciso a proibire il matrimonio tra il parroco e la causa dei poveri, osò disobbedire. L'assurdo della vicenda di Jean Meslier fu quello di esercitare il ruolo del parroco come lo si dovrebbe fare, senza predicare eresie, tentando di comprendere perché si dovesse fare così, se in obbedienza al Vangelo o solo per una straordinaria percezione di sé, del tipo "ho rispetto di me stesso, per cui mi comporto così", "ma non ho la forza di tagliare il rapporto con la chiesa, cosa potrei fare altrimenti?" Era una delle logiche possibili, ma era anche quella che lo sovrastava e lo schiacciava in quei luoghi ed in quella funzione, con l'abito talare sempre indosso. E' probabile che Meslier abbia più volte pensato che, rimanendo al suo posto, veniva a svolgere la funzione del rompiscatole, una costante pietra d'inciampo per gli altezzosi prelati. Magra consolazione? Interrogativo più che legittimo, se si riuscisse a dimostrare che esistono grasse soddisfazioni.
E' dubbio, lo riconobbe egli stesso, che tale atteggiamento abbia giovato alle sue pecorelle. D'altra parte, rifiutando di lasciarle sole, o di vedersi sostituire da uomini di fiducia dello spocchioso vescovo, egli rese un servizio alla causa della dignità degli individui. Si dovrebbe inoltre considerare che nessuno al mondo possiede il privilegio di raccogliere le confidenze più intime di uomini e donne, fanciulle e fanciulli, come un sacerdote mediante la confessione. Ad un certo punto della sua esperienza, Meslier deve aver esclamato: "ma nessuno crede veramente!" E allora sono nel giusto.

Il lascito spirituale di Jean Meslier fu una memoria di circa 1200 pagine a favore dell'ateismo, zeppo di ripetizioni e di ritorni ossessivi. Non era un testo per i poveri, leggibile a lume di candela o con la famiglia raccolta attorno al fuoco del caminetto. Infatti, furono in pochi a leggerla, e pochissimi a comprenderne la portata. Tuttavia, finì nelle più aristocratiche biblioteche d'Europa. A Berlino, Federico II, sovrano di grande cultura, ne possedeva una copia. Anche Voltaire lo lesse e lo divulgò in forma riassuntiva, ma deformando il testo e strumentalizzandolo volgarmente come incitazione al deismo, ossia ad una religione fondata sul lume naturale anziché sulla rivelazione delle scritture. Nulla di più falso, perché Meslier si era dichiarato ateo, credendo fermamente che il lume naturale conduca alla negazione dell'esistenza di Dio. Uno dei pochi elementi in comune tra il pensiero di Meslier e quello di Voltaire fu che l'individuo "moderno" che si accosti alla Bibbia e la mediti profondamente, non può che trarne conseguenze negative. Per Voltaire la Bibbia allontana da Dio. Per Meslier la Bibbia allontana da Dio, se viene messa a confronto con la realtà di come vanno le cose nel mondo. Gesù di Nazareth insegnò: "chiedete e vi sarà dato". Si può credere che questo sia vero?
Dobbiamo a Georges Minois, storico dell'ateismo, la riscoperta di Meslier in epoca attuale, ed ad alcuni curati di campagna della zona di Mézierès, nelle Ardenne, la conservazione dei manoscritti. (1) (2)

Una lettera scritta in fin di vita, indirizzata ai colleghi curati iniziava così: «Credo di non avere più a questo punto alcuna difficoltà a dire la verità.» In una seconda lettera aggiungeva: «Non so bene che ne penserete, né che direte, non più di quello che direte di me, di avermi messo quest'idea in testa, e questo disegno nell'anima. Guarderete forse questo progetto come un mio momento di follia e di temerarietà...» «Valutare le ragioni in base alle quali si crede, o non si crede, ciò che ci insegna la nostra religione e vi obbliga a credere in maniera assoluta. Sono certo che se voi seguiste la luce naturale dei vostri intelletti, vedreste chiaramente almeno quanto me, che tutte le religioni del mondo sono invenzioni umane, e che tutto ciò che la vostra religione vi insegna e vi obbliga a credere, come il sovrannaturale e il divino, alla fin fine non è che errore, menzogna, illusione e raggiro.» E dopo un richiamo alla «verità» e «dei popoli che soffrono la tirannia» con la complicità delle religioni, Meslier affondò il colpo: «in effetti adorate delle fragili statuette di pasta e di farina [riferimento esplicito all'Eucarestia, ndr], e adorate le statue di legno e di gesso, d'oro e d'argento. [...] Vi divertite, Signori, a interpretare e a spiegare in senso figurato, allegorico e mistico delle scritture vuote che definite comunque sacre e divine; date loro il senso che voi volete; fate dire loro tutto ciò che volete per mezzo di questi bei presunti significati spirituali e allegorici che voi create per loro, e che voi decidete di fissare per loro, con il fine di trovarci, e di farci trovare delle supposte verità che non ci sono, né mai ci sono state.»
L'accusa più grave sembrava tratta direttamente dal Vangelo di Matteo. Ipocriti, vi affaticate a discutere dei peccatucci della povere gente, la minacciate di perdizione eterna, «e non protestate contro le rapine pubbliche, né contro le palesi ingiustizie dei governanti che depredano, calpestano, rovinano i popoli, li opprimono e sono la causa autentica di tutti i mali e di tutte le miserie che prostrano i popoli stessi.» Insomma, levate pagliuzze dagli occhi degli altri e non vi accorgete della trave che è nei vostri.
Meslier, a differenza di un altro grande critico delle religioni idolatriche, il profeta Geremia, anziché rivolgere l'accusa alla pratica religiosa ed all'organizzazione della Chiesa, agli indirizzi etici e politici della stessa, decise di tagliar corto, in modo drastico. Se le religioni non sono altro che invenzioni umane, è anche vero che le scritture sono false, comprese quelle di Geremia. Dio non esiste ed è falsa la credenza dell'immortalità dell'anima. «Se ci fosse veramente qualche divinità o qualche essere infinitamente perfetto, che volesse essere amato e adorato dagli uomini, farebbe parte della sua stessa ragion d'essere, oltre che della giustiza e del dovere di tale presunto essere infinitamente perfetto di manifestarsi, o almeno di farsi conoscere in qualche modo da quelli e da quelle da cui vorrebbe essere amato, adorato e servito.» Qui ci fermiamo, perché, in definitiva, non credo che il risentimento di Meslier nei confronti di Cristo e del cristianesimo e della promessa, mai realizzata del regno di Dio, andasse oltre la più banale delle constatazioni. "Beati i poveri? Non diciamo fesserie!"

Meslier riuscì a centrare, indubbiamente, il cuore del cristianesimo codificato, dopo aver preso di mira la proposizione fondamentale. Dopo quella autentica sciocchezza compiuta da Dio, la condanna dell'umanità per il peccato originale, si rese necessario - non si capisce bene perché, e mai si capirà - l'invio del suo Figlio unigenito a soffrire ed a morire per la salvezza di tutta l'umanità. La salvezza verrebbe così a dipendere dall'azione di uomini insulsi come Pilato, Giuda e Caifa, essenzialmente gli ebrei. «E' come dire che Dio - scrisse Meslier - infinitamente saggio e buono si sia sentito oltraggiato dagli uomini e si sia irritato con loro con tanta severità per un nulla e una sciocchezza, e che si sia riappacificato e riconciliato con altrettanta misericordia con loro attraverso il più efferato dei crimini.? Attraverso un orribile deicidio che essi avrebero commesso, crocifiggendo e facendo martire il suo caro e divino figlio in maniera crudele e vergognosa?» La religione cristiana si fonda su un'autentica follia, così concludeva Meslier.
Manca in questa considerazione la constatazione che in tutta la Bibbia si accenna al peccato originale solo all'inzio e solo alla fine, nelle lettere di Paolo. Nei Vangeli, straordinariamente, non v'è alcuna traccia di questa storia infame. Gesù non ha mai parlato di "peccato orginale". Tutti gli studiosi seri sanno che il racconto di Adamo ed Eva è il frutto di una mente letteraria inserita nel corpo della Bibbia in epoca relativamente recente, si parla di VI secolo a,C. Probabilmente, essa finì nelle copie degli scritti sacerdotali, ma non arrivò mai alle sinagoghe in cui si leggevano e commentavano i testi profetici. E' persino probabile che il Gesù concreto, Gesù di Nazareth come figura storica, non fosse a conoscenza di quel testo. Ed è altrettanto possibile che lo fosse, data la sua entratura con alcuni ambienti sacerdotali, ma abbia ritenuto opportuno non complicare ulteriormente la situazione. L'unica cosa che mi viene in mente quando rileggo quella storia, è che sembra fatta su misura per gettare fango su Dio. Non solo, a tratti, cioè nei giorni dispari, vedo una singolare convergenza dello scriba biblico e Nietzsche. Sembrano dire la stessa cosa. (3) Da ciò deriva una singolare considerazione: cronologicamente parlando la narrazione di Adamo ed Eva è successiva alla redazione della Legge. E' una contestazione della Legge.

Analiticamente parlando, la montagna di parole impiegata da Meslier risulta una di quelle costruzioni destinate a franare non appena si sia spento l'entusiamo più genuino per la promessa di una liberazione dalla tirannia clerico-nobiliare, identificata tout-court con la tirannia del falso Dio. Meslier dimenticò che l'essenziale del messaggio cristiano delle origini era una riforma dell'umanità a partire dalla riforma dei singoli. Si potrebbe rimproverare, in senso stretto - ma davvero molto stretto ed angusto - alla figura storica di Gesù di Nazareth solo la mancata progettazione di una rivoluzione sociale e nazionale. In sostanza, di non essere il Messia promesso da alcune scritture. Il che, sotto il profilo dello scarso materiale storico di cui si dispone, è assolutamente falso. La chiesa di Gerusalemme, nelle sue varie articolazioni, diede subito vita ad un movimento di soccorso sociale ed umanitario. Che fu represso nel sangue, dapprima con il martirio di Stefano, e poi con la liquidazione di tutto il gruppo dirigente, a partire da Giacomo, il misterioso fratello del Signore, cioè dello stesso Gesù. Uno dei protagonisti della repressione fu Paolo, presente alla lapidazione di Stefano. Dopo la folgorante conversione sulla via di Damasco, non fu mai in rapporti ottimali con la chiesa di Gerusalemme. Ora, qui si tratta di intendere il punto essenziale. Se nemmeno la chiesa dei mansueti e degli operatori di pace e solidarietà, gode della protezione divina, dopo il supremo sacrificio del Figlio, anzi, viene perseguitata e distrutta, è legittimo trarne la conseguenza che Dio non esiste?
Il difensore dell'esistenza di Dio, a prescindere da tutte le sottigliezze filosofiche e teologiche elaborate dalle teste d'uovo, avrebbe in realtà una montagna di argomenti da spendere. La verità delle scritture profetiche è sostanzialmente una: gli individui che antepongono onestà e giustizia alla vanità, saranno perseguitati fino alla fine dei giorni. Al punto che nell'Apocalisse gridano:"fino a quando dovremo sopportare?" Non è vero che le autorità sono costituite da Dio. "Questo mondo è in potere del demonio", come appunto constatò e profetizzò Gesù di Nazareth prima di scomparire dalla vista di chi credeva in lui. Chi vede le cose in trasparenza, non credo possa nutrir dubbi in proposito. Pur evitando di chiamarlo Satanasso o Belzebù, e limitandoci a termini laici come intenzioni, desideri, interessi personali, e persino Wille zur macht, non ci si sottrae all'impressione che alcuni individui siano posseduti da potenze come il desiderio molto più di altri. Si potrebbe arrivare ad ammettere che è meraviglioso "lasciarsi andare" e sfogare le passioni. Ma, se non si arriva al punto nel quale ci si arresta di fronte al crimine, se non si riparte dall'alta considerazione che sempre si dovrebbe avere per se stessi e per la propria decenza e sobrietà, vuol dire allora che i desideri e le passioni hanno vinto. L'individuo non è più libero, non è più un'unità pensante, responsabile verso sé e verso gli altri, ma solo un grumo di passioni da soddisfare.

Saltiamo alla fine, trascurando di occuparci di oltre mezzo secolo di filosofia e teologia, scosse in varia misura da Jean Meslier e da critiche analoghe. Non è che non abbia importanza, solo che arrivando a Kant, si fa molto prima a giungere al nocciolo.
Meslier non poteva conoscere l'obiezione che verrà da Kant alla pretesa, assai diffusa prima e dopo Meslier, di un Dio visibile e vanitosamente impegnato a mostrare il proprio splendore per farsi adorare. Questa è cosa da uomini e donne vanesie. Se Dio fosse visibile - scrisse Kant - l'umanità vivrebbe nel timore e mancherebbe della libertà necessaria per arrivare alla maturità ed allo stadio adulto. Sarebbe uno degli argomenti più profondi mai pensati da mente umana, non a favore dell'esistenza di Dio, ma diretta a confutare il pensiero di chi ricorre ad argomenti banali ed immediati per negarla, od anche affermarla. Il vizio di chi scrive di Dio è quasi sempre lo stesso: non essere mai all'altezza del compito, muovendo da visioni piccine e unilaterali, oppure da dogmi difesi a spada tratta. In fondo - presumo di aver compreso il pensiero del maestro di Königsberg - non ha molto importanza se chi scrive sia ateo o credente; ciò che conta è che, una volta introdotto il concetto di Dio, se ne abbia il sufficiente rispetto.
Kant credeva che il problema dell'umanità non fosse quello di guadagnare la felicità, ma quello di rendersi degni della felicità. Ciò spostava l'attenzione dai mezzi ai fini, una svolta epocale rispetto ad Aristotele e ad al suo modello di saggezza, ma nemmeno questo è tutto. La scelta dei fini non si può risolvere facilmente, specie se si parla di rendersi degni della felicità. Per Kant, l'autentica felicità era la fatica spesa per realizzare un comportamento morale, non solo nella vita, ma anche in filosofia, nel lavoro di scrittura e di insegnamento, nell'offrirsi come esempio. In ultimo, credo che Kant fosse del tutto consapevole che la felicità sia possibile solo ricongiungendosi a Dio, all'unica divinità razionale, ovvero al tizio che parlò alla coscienza di Mosè dall'interno della coscienza di Mosè. Un'operazione chirugica delicatissima, consistente nell'estrarre poche pagine da quel cumulo di fandonie contenute nella Bibbia. Nella Pedagogia, Kant sarà molto esplicito: sarebbe meglio che i bambini stessero lontani da questo libro violento e menzognero. Era una posizione che veniva stranamente a coincidere con quella della chiesa cattolica, e che rischiava di passare come anti-luterana. Si dovrebbe allora disitnguere tra la pedagogia di Kant, avente come fine l'educazione dell'infanzia in una società civile, e la presunta pedagogia della chiesa cattolica di quel tempo, avente come fine la conservazione dello stato di minorità dell'insieme degli esseri umani. Centrati i contesti, si capisce che le due posizioni non coincidono affatto. Bisogna arrivare a leggere la Bibbia da soli e da individui maturi e raziocinanti per capire che non è l'opera di una sola mano e di una mente divinamente ispirata, ma una bacheca sulla quale hanno scritto troppi individui immaturi, del tutto incapaci di rendere a Dio quel che sarebbe di Dio.

A questo punto, mi consento un'interpretazione di Kant non del tutto ortodossa, nel senso che va oltre le sue parole prese alla lettera, e che tuttavia potrebbe incontrare il suo pensiero rimasto inespresso, se non semi-conscio. Kant rimase sicuramente impressionato dall'insegnamento fondamentale di Gesù. «Chiamiamolo Padre e non più Dio.» Siamo tutti suoi figli. E se il fine di un padre è la maturità dei figli, perché dovrebbe star loro col fiato sul collo? Questo sarebbe il vero significato della parabola del "figliolo prodigo". Tutti, in varia misura, abbiamo diritto ad esplorare, a conoscere il mondo ed il consorzio umano, incontrando le sue delizie e, purtroppo, le sue illusioni. Inseguire le delizie ha un costo insopporatbile, sia per sé che per gli altri. Non sarà il caso di smettere? Sicché, per rendersi degni di vera felicità, bisogna osare di sottrarsi alle lusinghe della vanità e tornare a casa.
Il Dio di Kant non è quello delle religioni mondane ed esteriori, ma quello della meditazione e delle responsabilità erga omnes. In
linea di principio, non è quindi nemmeno il Dio dell'amore e della tenerezza incondizionata, ma del ragionamento sull'amore, su chi è degno di guadagnare un po' di felicità. Se avesse letto Meslier - credo non l'abbia letto - avrebbe potuto obiettare che il buon curato fu vittima di un eccesso di amore per l'umanità ed i poveri. Arrivò all'ateismo partendo da ragionamenti totalizzanti. Ossia, se l'amore non ha trionfato, Dio non ci può più illudere. Puntiamo sull'amore senza Dio. E' il lamento di un bambino. cui viene negata la tenerezza ed a cui non si può rispondere "che cosa hai fatto per guadagnartela". Probabilmente, anche Kant esagerò. Il mondo reale è sempre molto più complicato di quel poco di reale che entra nella testa dei filosofi, anche i migliori. Resta che noi possiamo decifrarlo con molta più sagacia anche grazie a Kant.

Note:
1) Tutte le citazioni di Meslier sono tratte da Georges Minois -Storia dell'ateismo - Editori Riuniti 2003
2) Per la verità, Voltaire giunse a proclamarsi "teista" e probabilmente in qualche occasione prese anche i sacramenti. Ma, sostanzialmente fu un critico della Bibbia e della teologia.
3) Su Nietzsche mi permetto di consigliare un testo appropriato: Lo scriba del caos - di Ferruccio Masini - Il Mulino 1978

moses - 21 marzo 2013

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Jean Meslier secondo wikipedia

Jean Meslier homolaicus


La pedagogia di Kant
(testo integrale)


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