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Sigmund Freud
Gli enigmi dell'infanzia, la discriminazione razziale, gli anni della formazione, il primo approccio all'isteria
Sigmund Freud nacque a Freiberg in Moravia
(attuale rep. Ceca) il 6 maggio 1856. Il
padre, Jacob Freud, di origine ebrea, era
un commerciante di lane e tessuti. Si era
sposato tre volte ed aveva già avuto molti
figli; il primo aveva la stessa età della
madre di Freud. Dal terzo matrimonio, contratto
a quarantanni con la ventenne Amalie Nathanson,
nacquero Sigmund come primogenito, cinque
figlie e altri due figli. Sommandoli a quelli
avuti dai precedenti matrimoni, abbiamo una
prole da patriarca ed un modello familiare
piuttosto simile a quello di un clan.
Molti hanno visto in questa situazione infantile
una spiegazione alle posizioni di Freud,
alla sua insistente ricerca sui traumi psichici
della prima infanzia. Indubbiamente, se poniamo
attenzione al fatto che sua madre rimase
incinta nemmeno un anno dopo la nascita di
Sigmund, e che questo nuovo figlio, Julius,
morì dopo solo otto mesi, abbiamo una spiegazione
alla difficoltà da parte di Freud stesso
di evidenziare il rapporto tra madre e figlio
nei primissimi mesi dell'infanzia.
Certamente si sentì trascurato e la grande
sofferenza mostrata dalla madre per la perdita
di Julius non lo aiutò di certo.
Ma tra i numerosi episodi raccontati della
vita di Freud ce n'è uno che solleva qualche
dubbio ed allo stesso tempo, qualora fosse
vero, mostrerebbe perchè egli si sia costantemente
interessato al tabù dell'incesto, l'equivalente
del biblico comandamento "non fornicare"
(non commettere atti impuri), sia negli scritti
sulla sessualità infantile, sia nei maturi
saggi di antropologia psicoanalitica.
Peter Gay nella biografia citata getta un'ombra
non da poco sulla vita infantile di Freud,
sostenendo che è probabile che uno dei fratelli
maggiori di Freud, quelli nati dal primo
matrimonio del padre, sia in realtà il vero
padre della sorella Anna.
Gay scrive testualmente: «Sigmund Freud,
il grande solutore degli enigmi umani, crebbe
tra misteri e confusioni sufficienti a stimolare
l'interesse di uno psicoanalista...Quando
Jacob Freud, nel 1855, sposò la terza moglie,
Amalie Nathanson, aveva quarantanni e venti
più della sposa. I due figli di primo letto
- Emanuel il maggiore, a sua volta sposato
e con figli, e Philipp, scapolo - vivevano
non lontano. Ed Emanuel era più vecchio della
giovane e bella matrigna che il padre aveva
portato con sè da Vienna, mentre Philipp
aveva solo un anno meno di lei...
L'intricato schema dei rapporti familiari
si complica ulteriormente: la bella e giovane
madre sembra a Freud assai meglio assortita
al fratellastro Philipp che non al padre,
invece Amalia Freud condivide il letto con
il padre.
Nel 1858, quando Freud non ha ancora due
anni e mezzo, il problema diventa particolarmente
acuto: nasce la sorella Anna.
Ripensando a quegli anni, Freud ritiene di
aver capito, allora che la sorellina era
uscita dal corpo della madre. Più difficile
gli era parso spiegare in che modo il fratellastro
Philipp avesse preso in un certo senso il
posto del padre nella competizione per l'affetto
della madre. Era stato lui a dare alla madre
quella nuova, odiosa rivale? Tutto appariva
estremamente sconcertante, e sapere era tanto
necessario quanto pericoloso.»
Un altro aspetto da sottolineare è che, nonostante
le origine ebraiche e la relativa povertà
della famiglia, dovuta più alla crisi economica
che ad una endogena indigenza, la famiglia
di Freud potè permettersi una bambinaia,
ferventa cattolica romana, che accudì il
bimbo fino all'età di due anni e mezzo.
Scrive ancora Gay: « La madre di Freud
la ricordava attempata, brutta, e intelligente;
nutriva il bambino di storie devote e lo
trascinava in chiesa: "Allora quando
tornavi a casa, " dirà la madre a Freud,
"facevi la predica e ci raccontavi che
cosa fa Dio Onnipotente." Quella bambinaia
fece qualcosa di più, anche se non è chiaro
quanto di più: Freud lascia intendere indirettamente
che essa gli fornì insegnamenti in materia
sessuale. Era severa e molto esigente con
il precoce bambino, ma Freud ricorda di averle
voluto bene anche per questo.
Fu un amore bruscamente troncato: durante
il puerperio dopo la nascita della sorella
Anna, il fratellastro Philipp fece arrestare
per piccoli furti la bambinaia, che finì
in prigione. Freud ne sentì crudelmente la
mancanza. La sua sparizione, che coincise
con l'assenza della madre, lasciò in Freud
un ricordo vago e spiacevole che egli cercò
di chiarire ed interpretare solo molti anni
dopo.»
Quando Sigmund aveva quattro anni, la famiglia
si spostò a Vienna, capitale dell'impero
con l'aquila asburgica come simbolo.
Freud si formò culturalmente e professionalmente
in questa città, allora tra le più aperte
e stimolanti d'Europa.
Fu spesso il primo della classe e dimostrò
una precoce capacità di scrittura. A diciassette
anni ottenne la maturità insieme ad una menzione
d'onore.
Ma oltre all'istruzione pubblica ricevette
anche un'educazione privata che risentiva
delle origine ebraiche.
Alla nascita era stato circonciso.
Suo padre aveva registrato il suo nome, Schlomo
Sigismund, sulla Bibbia di famiglia. Ma a
diciassette anni egli stesso decise di chiamarsi
e farsi chiamare solo Sigmund.
Generalmente si insiste sul precoce ateismo
di Freud, ma si presta poca attenzione su
come e quando cessò di credere all'esistenza
di Dio. Sappiamo che negli anni giovanili
frequento il circolo B'nai B'rith e che si
immerse a lungo nello studio della Bibbia,
un libro che affascina anche i non credenti
per diversi motivi, specie per la crudezza
ed il realismo di tante storie di vita.
Ma ben presto i suoi interessi si volsero
soprattutto alla tradizione classica. Lesse
avidamente molti testi greci e latini e opere
di storia letteraria e filosofica.
Scrive Roberto Speziale Bagliacca nella monografia
"Freud -Le dimensioni nascoste della
mente": «Presto potè contare su uno
stile e una bellezza di scrittura che impressionava
i suoi insegnanti. Lui stesso racconterà
che il brano tratto da Virgilio e i trentatre
versi della tragedia Edipo re di Sofocle,
che aveva dovuto tradurre all'esame di maturità,
gli erano già familiari grazie a letture
fatte.»
Ma Freud non amava Vienna. Lo sappiamo da
alcune lettere giovanili, compresa una alla
fidanzata Martha Bernays, residente ad Amburgo.
"Ti risparmio qualsiasi accenno all'impressione
che mi ha fatto Vienna" - scrisse a
sedici anni all'amico Emil Fluss.
Nella lettera alla fidanzata. scritta da
Berlino, confessò: "Vienna mi opprime,
forse più del necessario."
Sembra che in particolare odiasse "l'abominevole
campanile" della chiesa di Santo Stefano,
il duomo.
In seguito egli riconoscerà che in questa
ostilità per Vienna emergeva qualcosa di
sepolto.
Tra le cose sepolte nella vita di Freud vi
è deve essere stato, fin da quando il padre
gli raccontò un certo episodio, un forte
risentimento nei confronti di un certo tipo
di antisemitismo, fastidioso, diffuso, ossessivo
ed umiliante. Aggiungerei "umiliante"
soprattutto per chi lo pratica. Ma nello
stesso Freud emerge, poi il lato oscuro della
vicenda, quella che in genere non viene raccontata,
ovvero che il vero antisemita, come pure
l'antiitaliano, l'antislavo come l'antiariano,
è proprio l'ebreo, l'italiano, lo slavo e
l'ariano. Nessun critico esterno riesce ad
essere così feroce e pungente come il critico
interno, colui che si sente pregiudicato
da una appartenenza ad un insieme che non è il suo, un insieme costruito
su caratteristiche che non sono le proprie.
Questo il fatto: un giorno Jacob Freud raccontò
al figlio un episodio della sua gioventù.
Voleva mostrargli di quanto fossero migliorate
le condizioni degli ebrei in Austria. «
"Da giovane, un sabato, me ne andavo
a passeggio nelle vie della tua città natale,
tutto agghindato, con un berretto di pelliccia
nuovo. Mi venne incontro un cristiano, con
un colpo fa volare il mio berretto nel fango
e grida: 'Fatti da parte, ebreo!'" "E
tu cosa hai fatto?" chiese con interesse
Freud. "Sono andato in mezzo alla strada
e ho raccolto il berretto"...»
Così la racconta Peter Gay, aggiungendo che
Freud, "con poca generosità", commentò
questa dimessa reazione con un "non
mi è parsa eroica". "Suo padre
- scrive ancora Gay - non era dunque un uomo grande e forte?"
«Scottato dal racconto dell'ebreo codardo
che si prosterna davanti al gentile, Freud
sviluppa fantasie di vendetta. Si identifica
con lo splendido, intrepido semita Annibale,
che ha giurato di vendicare Cartagine malgrado
la potenza dei romani, e lo eleva a simbolo
del "contrasto tra la tenacia degli
ebrei e l'organizzazione della chiesa cattolica".
Non lo avrebbero mai visto, lui, Freud, a
raccogliere il berretto dal fango della strada."»
A piè di pagina Gay annota qualcosa di molto
interessante. « Sospetto che Freud
avesse un altro motivo per scegliere come
suo eroe preferito l'immortale condottiero
che aveva quasi conquistato la detestata
e detestabile Roma contro ogni prostico:
un motivo del quale Freud non era probabilmente
consapevole. Così come nello scegliere il
nome per il fratello minore Alexander aveva
celebrato un conquistatore più grande del
padre, Filippo il macedone, che fu a sua
volta un grand'uomo, nell'identificarsi con
Annibale scelse un'altra possente figura
la cui fama aveva superato quella del padre,
Amilcare, che, come Filippo di Macedonia,
fu peraltro un grande uomo di stato e un
capo militare di statura storica.»
Qui c'è innanzi tutto da notare che Sigmund
Freud scelse il nome del fratellino minore,
occupando di fatto il posto del padre.
Gay, giustamente, insiste sul carattere edipico
di questa identificazione, un figlio più
grande del padre, che prenda il suo posto,
ma non spinge la riflessione fino alle estreme
conseguenze: Alessandro il macedone fu anche
l'assassino di suo padre, istigato da sua
madre. Scegliendo di identificarsi con Annibale
anzichè con Alessandro, al di là dell'origine
semitica dello stesso, Freud scelse un figlio
che non aveva ucciso suo padre, e scelse
anche un perdente, perchè, infine, Annibale
vinse tutte le battaglie, ma perse la guerra.
Ciò che stona in questa immatura speculazione
freudiana improntata al riscatto è tuttavia
la scelta, come modello di identificazione,
di un generico semita, Annibale il cartaginese,
anzichè qualche condottiero biblico di prima
grandezza. Da Giosuè a David, magari attraverso
la splendida figura del giudice Gedeone.
Oltretutto si tratta di tre figure vincenti,
anche se giustamente si potrebbe obiettare
che David vinse tutte la battaglie, ma come
Annibale, perse la guerra, consegnando il
suo popolo alla tirannia di un re in tutto
e per tutto uguale ai faraoni d'Egitto: suo
figlio Salomone.
Ho insistito su questi episodi delicati della
vita di Freud per poi mostrare come in realtà
il rapporto tra Freud e la sua origine razziale
non sia del tutto pacifico. Al di là della
figura deludente di un padre non grande e forte, nel tempo Freud viene maturando un'ostilità
sorda contro il popolo cui appartiene. Sceglie
come modello un condottiero di altra provenienza,
semita ma pagano, adoratore di baal. Poi
a sedici anni rivela all'amico Emil Fluss
di aver provato un sentimento di fastidio
e di disgusto per una famiglia ebrea dell'Europa
orientale che aveva viaggiato con lui in
treno da Freiberg a Vienna.
Scrive Gay: «La loro compagnia gli
era parsa " più intollerabile di qualsiasi
altra" e gli era sembrato di riconoscere
nel vecchio un noto personaggio di Freiberg.
"Altrettanto dicasi del figlio, con
il quale parlava di religione. Era fatto
di legno dal quale, quando i tempi sono maturi,
il destino ritaglia il farabutto, astuto,
falso, incoraggiato dai cari familiari a
credersi un individuo di talento, ma privo
di principi o di una qualsiasi visione della
vita."
Un aguzzino di professione - commenta Gay
- non avrebbe potuto esprimersi, nei confronti
degli ebrei, con maggiore durezza.»
In effetti non si può comprendere questo
disagio e questo disgusto di Freud per una
particolare forma di ebraismo esteriore,
folkloristico, se non si pone attenzione
a quei giudizi che noi italiani subiamo quando
andiamo all'estero, specie in Germania e
nei paesi mitteleuropei. Difficilmente succede
che almeno una volta, al caffè, sul treno,
mentre scattiamo fotografie, non ci imbattiamo
con qualcuno che ha qualche commento folkloristico
da esternare sugli italiani "chiassosi,
indisciplinati, passionali e tutto spaghetti,
chitarra e mandolino."
C'era da parte di molti ebrei di lingua tedesca,
evoluti intellettualmente, un forte senso
di estraneità nei confronti dei parenti poveri
dell'Europa orientale, che parlavano quella
strana lingua, intruglio di slavo, tedesco
e yiddish medioevale, si vestivano in modo
curioso, portavano oltre alle fluenti barbe,
anche i capelli lunghissimi arricciati in
treccine. E si lavavano raramente. La figura
del chassidim, mistico, estasiato da Dio,
che si gira dall'altra parte quando vede
una donna, oppure le parla con gli occhi
bassi, corrisponde purtroppo a quella dell'ebreo
"pidocchioso" e parassita, astuto
mercante ed usuraio, un vero esperto di trucchi
ed espedienti per vivere ed arricchirsi senza
lavorare.
I luoghi comuni si nutrono purtroppo di dati
comuni, anche se, normalmente, proprio nel
trapasso dal dato al "luogo", si
assiste anche alla loro deformazione caricaturale.
Una mezza verità diviene così una fandonia,
se non una calunnia vera e propria.
Freud non fu ovviamente un antisemita in
questo senso, cioè in senso nazista. E certo
non accettò mai di accettare la teoria delle
differenze biologiche tra un ariano od un
ebreo, tanto più che la sua ricerca psicoanalitica
finì per abbandonare in larga misura proprio
il terreno biologico, per avventurarsi su
quello psichico.
Egli stesso ebbe la ventura di leggere il
manoscritto di Otto Weininger, poi pubblicato
con il titolo Sesso e carattere, e si sa che Freud sconsigliò fermamente
il giovane intellettuale ebreo di pubblicare
"quelle sciocchezze", che in qualche
modo precorrevano le idee naziste sugli ebrei.
Weininger, dopo aver esternato in modo lucidamente
delirante la sua avversione alle donne ed
agli ebrei, come spostamento dell'odio verso
sé stesso, ebreo e, verosimilmente, omosessuale,
si suicidò. Ma la sua eredità venne raccolta
e produsse notevoli sviluppi. Mein Kampf di Adolf Hitler è una ripresa volgare del
sofisticato delirio di Otto Weininger ed
il tragico esito di quello sparo nella nebbia che pose fine alle sofferenze terrene del
povero Otto, a soli ventitre anni.
Fosse logico istituire un parallelismo tra
Weininger e Hitler, e per certi aspetti lo
è, potremmo dire che entrambi odiavano fermamente
sé stessi, ed entrambi erano potenzialmente
omosessuali, ma non di tipo biologico, bensì
di tipo psichico.
Weininger, dopo aver cercato invano di scaricare
la propria aggressività verso l'esterno,
scrivendo un testo "cattivo" carico
d'odio e di pregiudizi, la risolse contro
sé stesso, nell'unico modo possibile, cioè
suicidandosi. Hitler, prima di arrivare allo
stesso esito, dovette distruggerre, uccidere,
ordinare odiosi esperimenti su esseri viventi
e massacri, scatenare la belva bionda.
Questa vicenda, in parte dimenticata, riesplose
molti anni dopo, quando l'amico Fliess accusò
Freud di aver passato le sue originali idee
al povero Weininger, il quale le aveva pubblicate
nel testo definitivo di Sesso e carattere. Che Fliess considerasse il libro di Weiniger
come degno di essere letto, un prodotto culturale
come tanti altri, costituisce il lato oscuro
e non indagato di tutta la vicenda. La figura
di Wilhelm Fliess, l'altro di Freud, il suo
confidente epistolare per molti anni, ne
esce, per così dire, sordidamente inquietante.
E' un vero peccato che lo storico sia in
possesso solo delle lettere di Freud a Fliess
e non di quelle di Fliess a Freud.
Fatto questo inciso, è giusto sottolineare
che i rapporti tra Freud e suo padre furono
generalmente ottimi. Il vecchio Jacob andava
fiero di questo figlio così diverso, così
intelligente, e lo sostenne economicamente,
nei limiti del possibile, per tutta la durata
degli studi, ed anche dopo. Andrebbe anche
detto che egli non era affatto un ebreo orientale,
del tipo di quelli detestati da Sigmund.
Certo non fu mai una grande personalità e
Peter Gay suggerisce un ruolo preponderante
della figura materna nella formazione di
Sigmund.
Di certo possiamo dire che Sigmund rispettò
il padre, ne ebbe a lungo bisogno, anche
per non morire di fame, ed amò sua madre.
Nel 1873 Sigmund Freud si iscrisse alla facoltà
di medicina di Vienna, ma si laurerà solo
nel 1881.
Questa lentezza nel procedere potrebbe indurre
a pensare che egli se la prese comoda. In
realtà come scrisse egli stesso, era insoddisfatto
degli insegnamenti e cercava instancabilmente
da solo o servendosi di occasionali supporti
come le borse di studio.
Per due anni, nel '75 e nel '76 fece ricerche
sulle gonadi delle anguille nella stazione
zoologica di Trieste.
Studiò medicina sotto la guida di E.W. von Brücke, a sua volta seguace delle teorie di Heimholtz, teorico di un determismo radicale per il
quale ogni effetto, cioè ogni evento fisico,
aveva la sua causa fisica determinata e determinabile.
Von Brücke era dunque un fiero avversario
del vitalismo, orientamento di pensiero che sosteneva
l'esistenza di una corrente vitale responsabile
delle dinamiche biologiche. Questo significava
che per la scuola di von Brücke l'origine
della vita era riducibile a fatti meccanici
o chimico - fisiologici.
Scrive l'Abbagnano nel Dizionario di filosofia
che: «La caratteristica propria del
vitalismo è quella di dichiarare inutile
la stessa indagine scientifica dei fenomeni
vitali in quanto essa non riuscirebbe mai
a cogliere la forza che costituisce l'essenza
della vita. Il vitalismo in questa forma
fu reso impossibile dalle scoperte della
biochimica che, a cominciare dal 1828 (data
in cui fu effettuata la fabbricazione sintetica
dell'urea) dimostrò la possibilità di produrre
nei laboratori le sostanze organiche.
Il neo vitalismo, prendendo atto di questa
possibilità, riconosce l'utilità dell'indagine
fisico-chimica dei fenomeni vitali, ma continua
ad ammettere l'irriducibilità di questi fenomeni
alle forze fisico chimiche riconoscendo che
ad essi presiede un elemento specifico varimente
denominato.»
Von Brücke era dunque un positivista.
Il suo tipo di approccio in medicina significava
che l'eziologia poteva progredire pressochè all'infinito
perchè non vi erano forze sovrannaturali
inidentificabili, ma solo processi determinati
e determinabili.
Comprendere come questa impostazione abbia
influito in maniera determinante sulla prima
visione scientifica del mondo nel giovane
Freud è dunque fondamentale.
Del resto è facilmente comprensibile che
il cosiddetto meccanicismo dell'etiologia
è spesso solo un'accusa di filosofi e teologi
e non una
reale caratteristica della ricerca medica
e fisiologica, la quale non è meccanica, come la fisica di quel tempo, ma ovviamente
centrata sul vivente come dotato di caratteristiche
sue proprie.
Col tempo, come vedremo, Freud, anche grazie
alla frequentazione delle lezioni del filosofo
Franz Brentano, venne a maturare alcune profonde convinzioni
sull'autonomia dei fenomeni psichici da quelli
strettamente fisiologici e nervosi, di fatto
giunse a riconoscere che la corrente vitale
interna risulta in qualche modo lesa o bloccata
per motivi non fisiologici, arrivando così
ad ammettere che non solo, a volte, non vi
sono cause fisiche ai mali dell'anima, ma
che vi sono persino cause psichiche ai mali
fisici.
Si laureò in medicina nel 1881, continuò
a fare ricerche con von Brücke fino
a quando lo stesso non gli fece notare che
per un "povero" medico era meglio
una carriera professionale che una vita di
ricerca.
Vittima, in certo senso, di una discriminazione
di classe, oltre che razziale, possiamo immaginare
la frustrazione del giovane Sigmund Freud,
il suo dramma esistenziale. Ancora una volta
l'umiliazione è dovuta al padre, alla sua
collocazione di classe ed alla sua razza.
La presunta avidità degli ebrei si spiega
in modo molto semplice: ha fame di soldi
chi ne ha sempre visti pochi.
Possiamo sintetizzare gli sviluppi del pensiero
di Freud in una serie di tappe. Per comodità
espositiva più che altro.
In genere questi riassuntini non riescono
mai a dare il senso interno dei processi,
ma solo a puntualizzare gli eventi in una
serie cronologica che non sempre riesce a
sembrare altrettanto logica.
Vediamo dunque di intendere: un Freud frustrato
ed amareggiato per l'esclusione dalla ricerca,
comincia, dopo la laurea, a lavorare in ospedale
per tre anni in diversi reparti. Finalmente
riuscì ad arrivare nella clinica psichiatrica
di Meynert dove ebbe la possibilità di entrare in contatto
con pazienti psicotici e con il loro mondo
di allucinazioni.
Nel 1885 ottenne il titolo di Privatdozent che lo riconosceva specialista in malattie
nervose. Grazie ad una borsa di studio potè
raggiungere Parigi e frequentare le lezioni
di Charcot alla Salpêtriere.
Ma nelle corsie dell'ospedale parigino Freud
incontra qualcosa di veramente inquietante:
l'isteria femminile, cioè un universo di
apparente irrazionalità, una realtà che la
psichiatria e la psicologia "razionali"
non riescono a spiegare che a singhiozzi,
spesso per giudizi liquidatori anche piuttosto
rozzi. Va da sè che, se una razionalità non
riesce a capacitarsi dell'irrazionale, non è sufficientemente razionale. E' semplicemente rigida e limitata, si presume razionale. Ma tant'è. Uno dei vizi di fondo
dell'approccio sedicente scientifico alle
cose è la pretesa che esse si adattino alla
teoria anzichè viceversa.
Charcot era indubbiamente riuscito a realizzare
un serio progresso nello studio di questa
patologia, probabilmente perchè coltivava
questa pretesa in minima parte. Grazie a
lui abbiamo un ordine nella sintomatologia
isterica e l'abbandono della vecchia dottrina
neuropatologica. Questo indirizzo, tuttavia,
finisce con il contrapporsi alla teoria di
von Brücke, ed in generale, allo stesso
positivismo.
Sempre grazie a Charcot, Freud cominciò a
capire la base sessuale dell'isteria. Ma
per un certo tempo dovette arrendersi alla
dicotomia ancora presente in Charcot, che
pensava l'isteria in modo ambivalente ma
non complementare: da un lato essa doveva
avere cause extranervose, effetto di suggestioni
o persino simulazioni, in quanto non si riuscivano
a trovare lesioni o malformazioni organiche
tali da supportarla. Dall'altro la considerava
esattamente come affezione neurologica, ma
perchè?
In quale punto, con quale processo, il fisico
incideva sullo psichico e viceversa?
Bisogna dire che a centanni di distanza il
problema si ripropone pari pari: come interagiscono
i fattori ambientali che condizionano il
soggetto e gli forniscono una mentalità ed
un'esperienza del mondo con quelli genetici?
E' in un gene che possiamo trovare la causa
della depressione, o non sarà questa solo
una predisposizione, ma la causa vera andrà
da ricercarsi altrove? Possiamo dire che
un carattere è predeterminato dalla nascita?
O non è forse vero che un carattere mantiene
molti connotati originali, dunque molte costanti,
ma insieme matura e muta, e muta in base
ad esperienze?
E' su questo problema che si arrovella Sigmund
Freud. Solo che noi, a differenza di Freud,
abbiamo studi molto più approfonditi in fatto
di biologia e genetica. Purtuttavia non possiamo
dire dire di essere vicini ad una spiegazione
finale, come strombazzano quelli del genoma. La verità è che ne sappiamo solo di più,
ma non ne sappiamo abbastanza.
Vorrei sottolineare a questo proposito solo
un punto: la depressione come in generale
un qualsiasi stato d'animo negativo incide
pesantemente sulla considerazione che noi
abbiamo della nostra forza interna. Crediamo
di essere meno forti di quello che siamo.
Ma a volte è vero il contrario, ovvero che
l'euforia ci porta a sopravvalutare noi stessi
e le nostre capacità fisiche ed intellettive.
Difficilmente riusciamo ad essere equilibrati,
cioè a sentire e valutare con realismo quanto
siamo veramente in forma.
Freud, tornato a Vienna, conosce momenti
di sgomento e si attira, per una imperdonabile
leggerezza anche qualche critica. Aveva infatti
somministrato cocaina, unita alla morfina,
ad un suo amico ed a sè stesso. L'intento
era buono nel senso che egli si era prefisso
di liberare Ernst von Fleischl-Marxow dalla
dipendenza della morfina, che doveva assumere
per lenire i dolori di una grave malattia.
Questo condurrà lo stesso amico ad una dipendenza
da cocaina. Come a dire che l'unica soluzione
sarebbe stata quella di sopportare i dolori.
Ma il caso cocaina era destinato ad influire
negativamente su Freud per molto tempo ancora.
Su questo argomento aveva scritto un saggio.
Dopo pochi anni egli venne accusato di aver
scatenato il terzo flagello, dopo l'alcoolismo
e la morfina. Costretto a difendersi da questo
scandalo, egli non fece una gran figura.
Ma in quegli anni, come riporta anche Roberto
Speziale Bagliacca, commise un altro errore
gravissimo, presentando una relazione su
Charcot e l'isteria ad una conferenza di
specialisti viennesi, snobbando i contributi
rilevanti dati dagli stessi ed esaltando
oltre misura Charcot.
Speziale Bagliacca interpreta questo singolare
incidente come un bisogno di Freud di farsi
dei nemici esterni per dare battaglia, ma
io non credo che questa lettura dei fatti
corrisponda alla verità perchè in quel momento
Freud necessitava di approvazione ed incoraggiamento,
non di nemici. Egli era ancora del tutto
alla ricerca dell'autoomologazione e doveva
dimostrare di non essere "un ebreo come
gli altri", ma uno studioso serio.
Sarei invece propenso a credere ad una ingenuità
freudiana, il quale non era in fondo un buon
psicologo:-)))
Battute a parte, intendo sottolineare che
mancava di esperienza e che in quel periodo
il successo poteva avergli procurato qualche
baldanzosità di troppo.
Nel 1888 pubblica un saggio intitolato semplicemente Isteria (Hysterie). In esso formula una sorta di
riassunto dei sintomi già descritti da Charcot,
il quale aveva parlato di Grande Isteria,
o isteria maggiore, o ancora istero-epilessia.
In questo scritto cominciano ad emergere
quelle perplessità sull'origine fisica delle
patologie che abbiamo già sottolineato.
Scriveva Freud: «L'isteria è una nevrosi
nel senso più stretto della parola - vale
a dire che non non soltanto in questa malattia
non si sono trovate alterazioni percettibili
del sistema nervoso, ma che non ci si deve
neppure aspettare che un perfezionamento
delle tecniche anatomiche ne riveli alcuna...»
L'isteria viene caratterizzata da attacchi
convulsivi, preceduti da un'aura peculiare,
senso di pressione all'epigastrio, costrizione
alla gola, pulsazioni alle tempie, scampanio
nelle orecchie, oppure parti di questo insieme
di sensazioni.
«E' particolarmente noto - proseguiva
Freud - il globus hystericus, una sensazione riferibile agli spasmi della
faringe, per cui si ha l'impressione che
un grumo stia salendo dall'epigastrio alla
gola. Un vero attacco, se è completo, si
manifesta in tre fasi. La prima fase detta
"epilettoide" somiglia a una comune
crisi epilettica, occasionalmente ad una
crisi epilettica unilaterale. La seconda
fase, quella dei grand mouvments, si manifesta
con movimenti che descrivono ampi cerchi,
simili a quelli noti come "inchini",
posizioni arcuate (arc de cercle), contorsioni e così via. Spesso la forza
sviluppata in essi è addirittura immensa.
Per distiguere questi movimenti da quelli
che si notano in una crisi epilettica si
può osservare che i movimenti isterici vengono
sempre compiuti con un'eleganza e una coordinazione
che sono in netto contrasto con la rozza
goffaggine degli spasmi epilettici. Inoltre
anche nei casi più violenti di convulsioni
isteriche si evitano per lo più danni gravi
come quelli possibili in una crisi di epilessia.
La terza fase dell'attacco isterico, quella
allucinatoria o delle attitudes passionnelles, è caratterizzata da atteggiamenti e da
gesti propri di scene appassionate che il
paziente vive in stato allucinatorio e spesso
accompagna con le parole corrispondenti.
Durante tutto l'attacco la coscienza può
venir mantenuta o persa - il più delle volte
avviene la seconda cosa.»
Ancora in questo studio, utile a comprendere
a quale punto fosse arrivata la riflessione
freudiana, troviamo una rilevante individuazione
delle zone isterogene, ovvero i punti ipersensibili
del corpo nei quali anche un leggero stimolo
scatena un attacco.
«Queste zone - scrive Freud - possono
trovarsi sulla pelle, nelle parti profonde,
nelle ossa, nelle mucose ed anche negli organi
di senso.
E' più facile che siano sul tronco piuttosto
che sulle estremità, ed hanno una particolare
predilezione per determinati punti - per
esempio nelle donne si trovano spesso in
un punto della parete addominale in corrispondenza
delle ovaie, al vertice del capo e nella
regione sotto la mammella e nell'uomo nel
cordone spermatico e nei testicoli. Spesso
una pressione in queste zone libera non la
convulsione, ma le sensazioni d'aura. E'
anche possibile servirsi di molte di queste
zone isterogene per esercitare un'influenza
inibitoria sulgi attacchi convulsivi; per
esempio una forte pressione esercitata sulla
zona ovarica libera molte pazienti da un
attacco isterico o da un sonno isterico.»
Ancora in questo saggio Freud descrive i
disturbi dell'attività sensibile e dell'attività
sensoriale. Evidenzia che i disturbi della
sensibilità possono consistere in un'anestesia
od anche in una iperestesia.
L'anestesia può interessare la pelle, le
mucose, le ossa, i muscoli, i nervi, gli
organi di senso e l'intestino.
Può anche accadere che le sole sensazioni
tattili generino dolori.
« L'analgesia isterica - scrive Freud
- raggiunge spesso un grado talmente elevato
che la faradizzazione delle ramificazioni
nervose non produce alcuna reazione sensoriale.
L'estensione può essere totale; in qualche
caso può interessare la superficie della
pelle e la maggior parte degli organi di
senso.»
Freud annota ancora che spesso si da una
relazione di reciprocità tra anestesia e
le zone isteriogene, « come se tutta
la sensibilità di una parte relativamente
grande del corpo fosse compressa in un solo
punto. I disturbi della sensibilità sono
i sintomi su cui è possibile basare una diagnosi
di isteria, anche nelle forme più rudimentali.
Nel Medio Evo la scoperta delle zone anestetiche
ed anemiche (stigmata Diaboli) fu considerata come una prova di stregoneria.
»
Vedremo nel prossimo capitolo a quali conclusioni sull'isteria arriverà
Freud nel 1888.