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Saggi e scritture |
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Maria Grazia Tundo 2000:
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Il corpo impuro della luna Salomè di O. Wilde AAVV, Il Corpo narrato. Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Bari, Terza serie, 1985, VII, 2, Fasano, Schena editore, pp. 153-161.
Seguendo le suggestioni di un testo di scrittura strutturato teatralmente tenterò di seguire le tracce di un corpo che, ora invadente, ora elusivo, si snoda insinuante offrendosi come punto di fuga per immaginari sentieri sulla soglia di un attimo di incertezza. Il testo in questione si inscrive nella sensibilità decadentistica di fine secolo, appartenendo a quellepitome dellart pour lart che era Oscar Wilde, ma essendo la scrittura un errare attraverso una proliferazione di luoghi senza limiti, tralascerò ogni riflessione pietrificata che si ponga presuntuosamente come attività di decifrazione della unità e coerenza del testo, per farmi portare dallinquietudine ambivalente del simbolo nel suo irridere ogni tentativo totalizzante dellesperienza di fruizione letteraria. Il lasciarsi incantare dagli interstizi, dai ritmi del testo è già viverlo come corpo sempre incompiuto e mobile che dissipa la regola, la definizione, e la sua stessa identità: in quanto sorta di anagramma del corpo erotico il soggetto vi si sfalda per poi godere della sua dispersione in quellattività fantasmatica che è la mimesi parodica del reale, da sempre spazio della scrittura. Ed è una scrittura teatrale questa di Salomè, anche nel senso che si assiste ad una irruzione pulsionale del corpo nel suo dispiegamento ritmico allinterno della lingua stessa, che perde ogni velleità di "racconto", nel senso edipico di scioglimento dellenigma, di risoluzione del mistero, per irradiarsi nellambivalenza irriducibile di uno spazio totalmente metaforico. Il corpo, nella sua dimensione di significante fluttuante, dunque di motilità energetica non codificata, pervade 1intera strutturazione del testo e culmina nella "danza dei sette veli" in cui si esibisce Salomè di fronte ad Erode. Il ritmo di questa danza pervade tutta larticolazione sintattica del testo e la parola cessa di essere descrittiva o informativa per "incarnarsi" in una musicalità diffusa, non al servizio della caratterizzazione dei personaggi, ma agente della loro disseminazione. Salomè, figura leggendaria, archetipo della donna sensuale, "fatale", si carica qui di valenze molteplici che ne sfumano i contorni nitidi ereditati dal mito evangelico per inserirla nello spazio ambiguo delluniverso poetico e nei suoi scintillanti ed inquietanti giochi di superficie. Tale affascinante ambiguità la ritroviamo, a ben guardare, in quelle figure cinematografiche di cui Salomè è, in qualche modo, progenitrice: da Greta Garbo che danza Mata Hari nellequivoco di quel suo mistero ieratico ed imperscrutabile che ne alimenta il potere di seduzione, fino alle molteplici "donne del peccato" che nei loro giochi rituali di fascinazione distruggono 1altro e se stesse nella vertigine inconsulta dellapparenza. E non è, in fondo, anche la scrittura una femme fatale il cui gioco perverso ed insensato seduce inesorabilmente il lettore e lo scrittore, uniti dalla stessa incomprensibile passione per ciò che li interroga in quanto soggetti veritieri e li espone allincanto di quellabisso del non-senso che li sfida?
2. Ciò che maggiormente colpisce nel testo teatrale in questione è la sua capacita ritmica di sfondare la totalità puramente visiva delle immagini per organizzarsi intorno ad un elemento musicale di fondo, che costantemente rompe la catena associativa dello sguardo per aprire varchi pulsionali ed energetici di accelerazione o reiterazione sonora che infrangono le catene della nominazione, inscrivendovi lo spazio vuoto del corpo desiderante. Voce fuori dalle parole che traccia i percorsi di una vicenda senza racconto, immobile intorno ad una circolarità senza reale sviluppo che è quella del desiderio. Tutto il resto si articola come musicalità orgiastica ed ipnotica, come motilità ripetitiva ed incommensurabile del corpo. La tessitura dialogica stessa è strutturata come polifonia di "frasi" in senso musicale, contrappuntisticamente accostate. Non cè un vero dialogo tra i personaggi nel senso di domande e risposte, o repliche e coerenza di battute. Piuttosto ogni personaggio scandisce ritmicamente delle frasi poetiche che si intrecciano a quelle dellaltro come in una rete armonica di voci. E' un sussurro di immagini verbali che potenziano il vibrare dei corpi, dunque a scrittura si insinua nelle parole di ognuno. È da notare come, malgrado la tessitura teatrale di questo testo, i personaggi non vengano descritti da didascalie esterne allinterazione dialogica dei personaggi. Nessun accenno è fatto alle loro caratteristiche somatiche, al loro abbigliamento, alla loro storia. Sintetizzati in un nome si disperdono in questa lapidaria nominazione ed i loro corpi non "rappresentati", vengono suggeriti ed elusi nel contempo da una ambigua simbologia di immagini. Salomè, ad esempio, viene costantemente associata al doppio volto lunare ora pallido «come una donna morta», (Wilde Salomè, it: 23), ora vacillante tra le nuvole, ubriaco in cerca damanti e completamente nudo (ivi: 54). E' lo spessore polisemico della scrittura ciò che allude ai corpi dei personaggi, non rinchiusi nei confini angusti di corpi anatomicamente segnati ed imprigionati da alcuna rigidità di nominazione, La reversibilità simbolica delle loro identità ne permette 1'espansione in quellinfinito spazio del corpo che si dilata sul margine delleccedenza di una il-logica erotica, di parole reiterate in maniera quasi rituale. Rottura del tempo lineare del racconto, il loro corpo-scritto si espande nel fluire distillato di parole incantatorie cariche di sospensioni, che nella loro ambivalenza fanno vacillare tutti i giudizi di valore. E' questo decentrare ogni significato ultimo, questo sviare ogni senso restituendo al linguaggio la sua inquietudine che fa della scrittura un corpo (v. Galimberti 1983: 268-273).
3. La rete che intreccia e rende circolari i significanti del testo è il movimento dionisiaco di quel significante fluttuante e metamorfico costituito dal personaggio di Salomè, che attenta al rigore della Legge con la sua indeterminatezza semantica. Figura elusiva e danzante offre un corpo senza storia allincanto dellamore, instaura una ritmica temporale che straripa da ogni senso imposto dalla linearità di ogni cronologia. La vediamo nellattimo della sua fascinazione di fronte al profeta Iokanaan. Al richiamo della sua voce, della sua immagine cede senza residui di paura, si affida totalmente alla differenza che il movimento vorticoso ed equivoco della seduzione instaura. Salomè rinuncia alla castità, alla purezza gelida e senza compromissioni del suo passato verginale per disperdersi nellimprovvisa implosione dei segni del suo cedere al richiamo del corpo. Allopposto dello sguardo di Salomè che si muove miope sul labirinto di quelloggetto inappropriabile che è il corpo amato del profeta, cè la "visione profetica" di questultimo che, nel suo essere moralistica, messianica ed escatologica, si mantiene al riparo da ogni contaminazione del desiderio, di quel desiderio che implica la dispersione del proprio io, la confusione di tutti i codici, la proliferazione anarchica di significanti vuoti di senso. La malattia della vista di Salomè è quella mortale dellimmaginazione, del processo fantasmatico dellamore e del suo luogo di esilio. Tramite lo sguardo, 1occhio si fa specchio e allontana irrimediabilmente 1oggetto del desiderio, eppure può accostarsi a ciò che tiene a distanza solo se non ne rompe 1incanto enigmatico, solo se accetta 1insolubilità del quesito e rinuncia a farsi Edipo, solo se accetta di perdersi come soggetto autocosciente per fluidificarsi nella malinconia dellamore (v. Agamben 1977: 94 -100).
Salomè: La tua voce era un incensiere che spandeva strani profumi, e quando io ti guardavo udivo una musica strana! Ah! Perché non mi hai guardata, Iokanaan? Tu hai nascosto il volto dietro le mani e le bestemmie. Hai messo sopra agli occhi la benda di colui che vuole vedere il suo Dio. Ebbene, tu 1hai visto il tuo Dio, Iokanaan. ma me, me... non mi hai visto mai. Se tu mi avessi vista mi avresti amato. Io, io ti ho veduto, Iokanaan, e ti ho amato. [...] Se tu mi avessi guardato, mi avresti amato. Lo so bene che mi avresti amato, e il mistero dellamore e più grande del mistero della morte (ivi: 103-104). Contro la visione profetica di Iokanaan, il suo sguardo a distanza, distante, la sua Legge che separa e distingue, quel suo sguardo che su nulla si posa poiché con niente si confonde, quello sguardo che possiede la netta infaticabilità del coltello che recide e confina i limiti del Vero/Falso, del Sacrilego e del Profano, contro quel suo sguardo freddo, positivo perché incontaminato, si pone lo sguardo "miope" della principessa che sul corpo del profeta legge i segni contraddittori delleros, nell'inutile e tremenda bellezza della sua indecifrabilità. Salomè, malata e pallida, spersa nellamore, ha infranto i contorni della sua purezza, si è bagnata nel sangue del profeta inaugurando il tempo delloblio, lo spazio dellimmaginario. Dal suo linguaggio incauto e simbolico traspare la trasmigrazione del senso verso la terra di nessuno del discorso amoroso, quel discorso che parla lopposizione, che legge il suo sempre perduto oggetto damore nellambivalenza di un corpo restituito allindecidibilità della cifra. Il corpo del profeta, agli occhi di Salomè, partecipa del bianco splendore delle nevi che dormono sulle montagne di Giudea e nel contempo dellorrendo sfrangiarsi di un corpo corroso dalla lebbra, i suoi capelli sono grappoli duva e grandi cedri, ma nel contempo conservano la sozzura del fango e della polvere (v. ivi: 47-51). Qui, in questo sguardo che intacca la realtà ed abita le densità delluniverso fantasmatico sorge e si espande il desiderio. Qui è il disordine vuoto della fantasia damore, delloziosità luttuosa di chi lascia 1inappropriabile oggetto damore invadere e trionfare sul proprio io. Qui è la perversione improduttiva e lintima contraddizione dello sguardo erotico che vuole abbracciare l'inafferrabile e nel contempo mantiene fisso nellinaccessibile il proprio desiderio. In questo movimento estenuato che pone il proprio tempo come incantata ripetizione strappata al tempo cumulativo dellesperienza, dal deserto delloblio, parla la scrittura di Salomè, il suo corpo che danza. 4. Erode: ... Ma questa sera sono triste. Dunque, danza per me. Danza per me, Salomè, te ne supplico. Se tu danzi per me potrai chiedermi tutto quello che vorrai, e io te lo donerò. Si, danza per me, Salomè, ed io ti donerò tutto ciò che mi chiederai, fosse anche la metà del mio regno. Salomè: (Alzandosi) Mi darai tutto quello che ti chiederò, tetrarca? Erodiade: Non danzare, figlia mia. (ivi: 79). Non ascoltando il saggio consiglio della madre, la principessa abbandona i propri sandali e danza, danza nel sangue di chi è morto per lei, di chi ha rinunciato ad avere un futuro pur di abbandonarsi allestasi del suo sguardo. Estrema confusione delle lingue e dei codici, la danza di Salomè è quel pericoloso viaggio negli spazi del disordine dei segni, in quella atemporalità senza costrizioni che essa stessa disegna. Spazio di un corpo che ride, parodia dei sistemi articolati, profusione bizzarra di gesti, la danza altro non è che quel movimento centrifugo di dispersione del proprio corpo in figurazioni che eccedono gli spazi angusti che gli sono usualmente concessi e che ne definiscono 1individualità e lunità. Nella trance della danza il corpo diviene monstrum, abbagliante miraggio nella sua produzione di forme sconcertanti che negano lumano e lo forzano fino ai suoi estremi limiti di significazione. Il corpo si fa indifferente ed inerte, raggiunge la potenza del neutro, lascia scorgere lambivalenza delle cose nel suo farsi beffe di ogni polarità disgiuntiva mentre "segue il ritmo", mentre, non imponendo più il suo equilibrio allo spazio che lo accarezza e lo modella, si lascia andare, si trasforma e metamorfizza, cede al richiamo musicale. Questo processo camaleontico irride ogni fissità, ogni stabilità: è assumere i suoni e i ritmi dellanimale, della terra, dellaria, del fluire dei liquidi. E' la rinuncia all "umanità", e il massimo dellartificio del gesto. La danza e quindi la scrittura del corpo, scrittura senza racconto che non impone la parola, che non domina gli avvenimenti, ma che forse ascolta le molteplici identità del proprio passato ridursi a nessuna. (v. Gil 1978: 1124-1129). Nella sua danza Salomè si è fatta sciamano, ha compiuto il rito della cessazione dei segni, è divenuta energia libera, significante fluttuante in movimento nel magico regno del desiderio e della seduzione. Pulsione allo spreco, sconvolgente accostarsi al centro vuoto dellesistenza, la dimenticanza di sé nellincantesimo dionisiaco-musicale annulla la soggettività, o meglio, la riduce ad una eco che risuona dallabisso dellessere, dallabisso delloblio (v. Nietzsche 1871, it: 41-42). Sotto questa luce si può leggere la richiesta della principessa, ciò che ella desidera in cambio della sua danza. Non si tratta di pavoni, né di gioielli e rifiuta perfino il potere che Erode sarebbe disposto a dividere con lei. La sua è una richiesta di messa a morte. Morte del profeta, morte della principessa. Luno come doppio dellaltra. Il tempo si incrina nel fluttuare dei veli dei significanti e riproduce il circolo vizioso della morte, del sacrificio insensato. 5. Leros si confronta ora con 1abiezione. La testa del profeta, recisa, viene offerta su un piatto dargento a Salomè che, finalmente, può baciarne la bocca, le labbra insanguinate. Scena macabra, memorie di vampirismo, saturazione di perversione e orrore. Oppure il cannibalismo, il pasto omofagico, la tremenda fame damore, 1insaziabile desiderio. Ancora una volta è l'oggetto a trionfare sullio, quelloggetto che può essere incorporato solo a prezzo della sua distruzione, cioè della sua perdita irrimediabile. E se 1oggetto è perduto per sempre, anche lio che lo ha divorato ha inaugurato la propria perdita, ha rinunciato al proprio trionfo per diventare abietto esso stesso, per disperdersi nelle acque dellin-significabile. Nel languore amoroso, qualcosa se ne va, senza fine; è come se il desiderio non fosse nientaltro che questa emorragia. La fatica amorosa è questo: una fame che non viene saziata, un amore che rimane aperto. E ancora: tutto il mio io è tratto fuori, trasferito alloggetto amato il quale ne prende il posto. (Barthes 1977 it.: 126). Latopia delleros ha, in qualche modo, familiarità con 1abiezione e 1oggetto damore è sempre, in fondo, labietto, poiché si mostra con il fascino e 1obbrobrio di un corpo inqualificabile, inclassificabile, che dunque sfida i limiti della demarcazione e della significazione (v. ivi: 38-39). Paura dellirrappresentabile, di quelloggetto che sempre mette a rischio la nostra stessa possibilità di esistenza, poiché porta con sé il fascino delloblio della separazione originaria, cioè di quel distacco che inaugura la nostra auto-identificazione e ci permette di esistere, di nominarci (v. Kristeva 1980). Ecco, minacciosa e repellente, lorribile testa mozza d ecco il disgusto per lirrefrenabile fluire dei suoi liquidi. Eppure quel bacio è, paradossalmente, bacio ad un corpo finalmente eccedente ora che la sua rigida unita di verità e purezza è infranta. Attraversamento del limite del sé/non-sé per un corpo deturpato, ormai senza leggi, non più ridotto alla schiavitù del Logos, suo spezzettamento necessario per una nostalgica fusione al confine della realtà della vita. Quel bacio dato sul limitare di un corpo che non è più tale secondo gli stilemi dell"umanità", di un corpo che ha perso la consistenza unitaria dellessere, è forse il bacio al corpo desiderabile per eccellenza, che la messa in scena artistica dipinge metonimicamente. La morte è data al profeta mimando la "deflorazione" del corpo, che non più rinchiuso su se stesso si frantuma nel vuoto vertiginoso dell'erotismo. Sia la scrittura che lerotismo intaccano i confini prescritti simbolico a1 corpo, per moltiplicarlo ed espanderlo, per aprirlo alla contaminazione dei (suoi) liquidi, alla sozzura del contatto tra il fuori, per renderlo impuro, per sottrarlo alla dittatura del medesimo.Se 1arte non è purezza, il profeta Iokanaan non è dalla parte della scrittura finché si mantiene in uno spazio separato, recintato. La cisterna dove egli è rinchiuso, non è malsana, vi si può vivere all'infinito (v. Wilde ivi: 31): è recintata e protetta come il suo corpo con la sua pulsionalità negata. Il profeta è al sicuro tra le pareti del linguaggio che lo fanno portavoce di un dire univoco, che permette la scelta discriminante. Il movimento di Salomè, invece, è quello di un corpo sfuggente, impreciso, sensuale, ambiguo come le sue parole. Chiedendo che il profeta venga liberato dalla cisterna ella cancella dal suo corpo i segni di un passato lineare per immetterlo nello spazio impreciso ed indeterminato che lestasi della seduzione inaugura. 6. A ben guardare, Iokanaan non cede alla tentazione ed al suo effetto vertiginoso. Allo stupore ed al rapimento che laccettare la sfida della seduzione porterebbe con sé, il profeta contrappone i limiti introdotti da un Dio che è ridotto a valore intelligibile e manifesto, nel senso di essere al servizio del profitto dellio, della propria volontà di potenza. Eppure il desiderio di naufragare, dellincandescenza della morte nella vita, di quellesperienza estrema che è al limite del possibile e dell'impossibile appartiene, in qualche modo, anche al profeta. Il suo orrore per la tentazione, la sua fuga davanti al pericolo del "crollo" che la seduzione implica è nientaltro che unattrazione carica di repulsione. E' qui che lesperienza mistica del profeta si accosta palesemente al desiderio erotico di Salomè. In entrambi si mescola e con-fonde il disgusto e la fascinazione per il corpo dellaltro che, solo, potrebbe offrire 1esperienza del vuoto di quella vertiginosa "piccola morte" che è il rapporto erotico in cui il corpo delluno si disperde e naufraga nel mare del corpo dellaltro (v. Bataille 1957 it: 251). Se «la tentazione è il desiderio di cadere» (ivi: 252) estasi mistica ed erotismo divengono prossimi: in entrambe le esperienze il massimo dintensità è legato allindifferenza. È 1attimo incantato, la semplicità dellistante in cui 1essere si fa passivo e straripa, si fa indifferente alla conservazione della propria vita e non si differenzia più dallindistinto delluniverso (v. ivi: 258 e 261). È da questo spazio indistinto che il corpo di Salomè lancia la sua sfida di seduzione ad ogni significante dispotico regolatore di codici per scriversi, invece, come mana, come energia significante che inaugura unarea di reversibilità simbolica. La il-logica imperiosa della seduzione. Quel movimento che invischia nel suo gioco di lucide apparenze, che apre labisso superficiale dellirreale. Salomè è leurre, larva, illusione, nel suo farsi beffe della verità, nel suo mettersi in scena come mito del corpo desiderante, nel suo inaugurare il rituale vorticoso della fascinazione. Fragilità narcisistica di un corpo che danza ed evoca continuamente un se stesso minacciato e fragile, inconsistente come acqua di fonte. Gioco speculare della seduzione. Amore per 1immagine che spossessa il reale ed elude ogni possesso. Fine delleconomia e dellaccumulo significativo dei segni. Sedurre è dunque, in primo luogo, mancare, incrinarsi, accettare la compromissione con lo spazio illusorio abitato dal fantasma. Seduzione come spazio del sogno, del gioco che sogna se stesso e mina lo statuto della realtà. Effetto prismatico, eclissi della presenza, incanto ipnotico che apre lo spazio sacrificale della passione (v. Baudrillard 1979: 93-97). La passione per limmagine è anche passione per la voce. Eco e Narciso riuniti nella mise en abyme della duplicazione. Salomè è quel corpo che danza la sua superficie ambigua e manca alla presenza trascinando nel vortice del desiderio e dellincanto gli altri corpi che ha stregato, che in lei si duplicano ed in cui ella stessa si raddoppia ed annulla. Salomè è corpo di scrittura, una scrittura legata al ritmo, al timbro, a que1 fenomeno inteorizzabile che è la voce (v. Lacoue-Labarthe 1979 it: 34) e nel contempo inscritta in quello spazio disegnato da un occhio privo di visione, ma complice dellinganno dello sguardo e della sua superficie liquida. È in questo corpo mostruoso, eccedente, indescrivibile che la scrittura si riconosce e si frammenta. E come Salomè ha reso vuoto ed incurante i1 suo sguardo nel momento dellincanto damore, cosi Orfeo chiunque voglia farsi scrittore deve compiere il gesto proibito di guardare, cioè di confondere il suo canto nel gioco dombre insensato che gli farà perdere Euridice e se stesso ( v. Blanchot 1955 it.: 149-151). Solo con questa perdita si può inaugurare lo spazio del corpo e della sua danza, lo spazio della scrittura. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AGAMBEN, GIORGIO 1977 Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Einaudi. BARTHES, ROLAND 1977 Frammenti di un discorso amoroso, Paris: Seuil; tr. it. Torino: Einaudi, 1979. BATAILLE, GEORGES 1957 Lerotisme, Paris: Minuit; tr. it. Milano: Mondadori, 1969. BAUDRILLARD, JEAN 1979 De la séduction, Paris: Galilée. BLANCHOT, MAURICE 1955 LEspace littéraire, Paris: Gallimard; tr. it. Torino: Einaudi, 1967. GALIMBERTI, UMBERTO 1983 Il corpo. Antropologia, psicoanalisi, fenomenologia, Milano: Feltrinelli. GIL, JOSE 1978 « Corpo » in Enciclopedia, Torino: Einaudi. KRISTEVA, JULIA 1980 Pouvoirs de lhorreur. Essai sur labjection, Paris: Seuil; tr. it.Milano, Spirali, 1981. LACOUE-LABARTHE, PHILIPPE 1979 Leco du sujet, Paris; Aubier-Flammarion; tr. it. Milano Feltrinelli, 1980. NIETZSCHE, FRIEDRICH 1871 Die Geburt der Tragödie; tr. it. Milano. Adelphi, 1972 e 1977, (1983). WILDE, OSCAR Salomè; tr. it. Milano: Rizzoli, 1950 (1982). © Maria Grazia Tundo 2000
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