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Castello : Costruzione medievale adibita a residenza del signore, munita di torri e mura a scopo difensivo | Dimora signorile che limita nella struttura il castello medievale, senza funzione difensiva | Paese in origine circondato da mura e fortificazioni.

Castello (latino castellum, diminutivo di castrum, accampamento), complesso di edifici fortificati, tipica dimora dei signori feudali. Già in epoca romana gli accampamenti considerati stabili, e soprattutto quelli situati lungo i confini dell'impero, venivano circondati da mura fortificate. Più tardi, in epoca medievale, il termine viene a indicare la dimora fortificata del signore feudale o, indifferentemente, l'insieme di mura e difese poste in assenza di un potere centralizzato, a protezione di un agglomerato di case (a testimonianza di queste origini stanno i nomi di molte città italiane, come Castell'Arquato, Castellamare, Castelseprio ecc.). Tra il XII e il XV secolo si assiste allo sviluppo maggiore del castello, che in quest'epoca si compone di una cinta, del mastio e del palazzo baronale. La cinta costituisce la difesa perimetrale del castello; può essere a pianta irregolare seguendo l'andamento del terreno, o a pianta geometrica, circolare, quadrangolare o poligonale. La cinta viene suddivisa dalle torri in tratti detti cortine, che possono essere isolati tra di loro, nei camminamenti, mediante trabocchetti e ponti levatoi. La cinta può essere una sola o possono esservene diverse successive, e comprendere anche una borgata. Dal XIII secolo si introduce l'uso del fossato, prima nel castello di pianura, poi anche negli altri. Le torri potevano essere a pianta circolare, quadrata o poligonale. Un bell'esempio di castello e torri a pianta ottagonale è il Castel del Monte, edificato in Puglia da Federico II nella prima metà del XIII secolo. Sulla sommità delle torri e delle cortine del castello corre il cammino di ronda, ove si trovavano i difensori. A partire dal XIII secolo per proteggere i difensori vennero introdotti nuovamente i merli, già usati in epoca romana, che vennero detti guelfi se a concio piano e ghibellini se terminanti con un doppio corno Particolare importanza rivestono poi l'ingresso del castello che poteva essere situato all'interno di una torre particolarmente robusta o affiancato da due torri. L'ingresso, generalmente protetto da un ponte levatoio, si compone di due porte: una carraia, che veniva ordinariamente tenuta chiusa, e una pusterla (o postierla), da cui poteva transitare un solo cavallo per volta. Il mastio (o maschio) è una torre molto alta e particolarmente fortificata, che assolveva il duplice compito di controllare il terreno intorno e di fungere da rifugio per l'estrema difesa. Denominato cassero in Toscana, esso ebbe una prima pianta circolare, poi quadrata, e costituisce, coi suoi muri spessi a strapiombo, con le sue merlature, col suo aspetto imponente, il tratto caratteristico dei castelli italiani. Inizialmente separato dal castello, il mastio venne poi a farne parte, tanto da unirsi armonicamente a esso, nelle opere migliori, fino a costituirne una sola unità architettonica (castello di Cafaggiolo di Michelozzo del 1403). A partire dal XV secolo il mastio comincio a perdere molto della sua importanza, perché più facilmente abbattibile dalle artiglierie, e venne sostituito dalla fortezza bastionata. Tracce di queste modificazioni tipologiche rimangono negli scritti di  Francesco di Giorgio e di Giuliano da Sangallo, che pure adottarono ancora il mastio rispettivamente nella rocca del Sasso del Montefeltro e nella rocca d'Ostia. Il terzo elemento costitutivo del castello era il palazzo. Inizialmente identificatosi nel mastio, il palazzo si compose poi di pochi semplicissimi ambienti, per poi ampliarsi successivamente, man mano che la vita dei feudatari andava raffinandosi, e ricoprendosi di ornamenti, pitture e sculture sempre più ricchi. A partire dal XIV secolo il palazzo ebbe generalmente pianta quadrangolare, con uno o più cortili, intorno ai quali correva un portico da cui partivano le scale che andavano ai piani superiori. A poco a poco, l'introduzione delle armi da fuoco, sempre più potenti, rese inutile le difese e le fortificazioni de castelli, i quali vennero a poco a poco abbandonati e cominciarono ad andare in rovina, o si trasformarono in palazzi ed edifici pubblici. Nell'Europa centrale il termine di castello è stato usato anche per definire, dopo l'epoca feudale, le residenze signorili di campagna, con marcate caratteristiche monumentali, in cui però la funzione difensiva viene a cadere rispetto alla funzione preponderante che è quella decorativa. Con queste caratteristiche il castello è un elemento tipico dell'architettura francese (castello della Loira e del Médoc). Durante l'800, il rinato interesse per i castelli portò a un rinnovato interesse per i restauri, che a volte diventarono vere e proprie ricostruzioni, come nel caso del restauro di Carcassonne a opera di Viollet le Duc e la trasposizione meccanica della tipologia del castello in America.

 

Cavallereschi, ordini, erano, nel Medioevo, le istituzioni militari o religiose (ospedaliere) di cavalieri che, almeno in origine, si impegnarono alla difesa dei Luoghi Santi e dei pellegrini (certuni anche il riscatto degli schiavi); attualmente, gli ordini cavallereschi sono decorazioni istituite per premiare meriti particolari. Prima del X secolo, sorse l'ordine di San Lazzaro per la cura dei lebbrosi; verso il 1020, quello degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme; verso il 1024, quello dei Santi Cosma e Damiano; nel 1118, quello dei Templari; nel 1174 (forse 1179) quello del Santo Sepolcro di Gerusalemme (fondato da Enrico II d'Inghilterra); nel 1191 quello dei Cavalieri Teutonici, o ordine Teutonico (riservato ai soli nobili tedeschi). Gli ordini cavallereschi cercavano la perfezione cristiana nella vita guerresca in battaglie combattute per la fede contro gli "infedeli". Tra gli ordini antichi, tuttora esistenti, ricordiamo quello della Giarrettiera (1350 circa) in Inghilterra e quello del Toson d'Oro (1429) in Spagna e Austria. La fine delle crociate sego anche la decadenza degli ordini cavallereschi. La rivoluzione francese li abolì definitivamente nel 1791, ma Napoleone li richiamò in vita, se non altro, l'istituzione degli ordini cavallereschi, creando (1802) l'ordine della Legion d'onore. Altri ordini moderni: gli ordini di Lenin e della Stella Rossa nell'Unione Sovietica; l'ordine supremo di Cristo (1919) conferito direttamente dal papa. In Italia durante il regno: SS. Annunziata. SS. Maurizio e Lazzaro, ordine della Corona d'Italia, ordine Civile di Savoia, ordine Militare di Savoia, ordine al merito del Lavoro. Con la proclamazione della Repubblica, sono stati aboliti tutti tranne l'ultimo, istituito nel 1901, che conferisce il titolo di cavaliere ai cittadini italiani distintisi nell'agricoltura, nell'industria e commercio. Altri ordini di nuova creazione sono l'ordine della Stella della Solidarietà Italiana (1947)  e l'Ordine al merito della Repubblica (1951) Questi ultimi prevedono diversi gradi: cavaliere, ufficiale, commendatore, grand'ufficiale, gran cordone.

 

Cavalleria : milizia a cavallo | una delle armi costitutive dell'attuale esercito italiano, montata su mezzi corazzati | istituzione medievale che si prefiggeva la lotta in difesa dei deboli, della donna e della Chiesa cristiana.

Cavalleria (derivato di cavaliere, da cavalier, francese antico chevalier, che risalgono al latino tardo caballarius, derivato di caballus, cavallo), l'insieme delle formazioni militari antiche che usavano il cavallo come mezzo di combattimento, e di quelle odierne che, dotate di mezzi blindo-corazzati, vengono impiegate per compiti di esplorazione, occupazione preventiva e protezione del ripiegamento o dell'inseguimento; presso i Greci e i Romani e soprattutto nel Medioevo, anche la classe sociale e politica costituita dai combattenti a cavallo (ippeoz, equites, milites). LA CAVALLERIA COME ARMA. Il cavallo come mezzo di trasporto utilizzabile anche a fini militari, si diffuse in Asia anteriore e in Egitto nei primi secoli del II millennio a.C., portatovi dai popoli indoeuropei provenienti dall'Asia centrale. Probabilmente, il primo fatto d'arme in cui i cavalli giocarono una funzione decisiva fu la battaglia di Kadesh (fine XIV secolo a.C.), quando gli Ittiti di Muwatallish sbaragliarono gli Egiziani. Non si trattava però di una cavalleria come la intendiamo noi: i cavalli servivano per trainare il grande cocchio da battaglia, dalle ruote falcate , in grado di frantumare le linee avversarie con una carica inarrestabile. I primi cavalieri montati di cui abbiamo notizia compaiono a Babilonia, sotto Nabu-kudurri-usur (Nabucodonosor I, 1124-1103 a.C.), ma si tratta solo di truppe ausiliarie addette alla scorta delle formazioni di cocchi, e poi in Assiria sotto il regno di Assurnasipal II (883-259), già con funzione autonoma. Una vera e propria cavalleria, nerbo e fondamento di tutto l'esercito, si sviluppò solo nella prima metà del I millennio, a opera delle popolazioni indoeuropee dell'Anatolia (famosa fu la cavalleria gentilizia dei Lydii) e tra i Persiani: erano truppe armate alla leggera, con arco e giavellotti , il cui impiego in battaglia era basato sulla mobilità, sulla velocità d'attacco da tutte le parti, sulla capacità di ritirarsi immediatamente e di tornare improvvisamente al contrattacco. Questo tipo di cavalleria leggera veloce avrà vita lunghissima: i Persiani la lasceranno in eredità ai Parti e ai Sasanidi (la cui cavalleria sarà tristemente nota ai Romani), dai quali la muteranno poi Arabi e Bizantini, sì che tutto un settore della storia militare dell'umanità sarà fondata su di esso fino alla fine del Medioevo. Più complesso sarà lo svolgimento della cavalleria a Occidente: in Grecia ebbe sviluppo ineguale, legata com'era alla scarsa possibilità di disporre di adeguati territori pianeggianti, e all'esistenza di una struttura gentilizia e aristocratica (i cavalli erano quasi una proprietà distintiva per i nobili). Per arrivare a un razionale impiego tattico della cavalleria bisognerà attendere l'Ellenismo. Epaminonda riorganizzò la cavalleria tebana affidandole il compito di difendere le ali della falange: questo modello fu sviluppato dai Macedoni, ed ebbe la sua massima applicazione nell'esercito di Alessandro Magno, la cui tattica era tutta basata sull'azione combinata di cavalleria e fanteria.  Il modello macedone sarà il fondamento di tutti gli eserciti dell'Ellenismo (con la saltuaria aggiunta di elefanti), e verrà sfruttato da grandi generali, quali Antigono, Demetrio Poliorcete, Pirro, Annibale. I Romani, nei loro tempi arcaici, avevano una cavalleria gentilizia (le tre centurie di celeres del primissimo esercito romano), sostituita, con l'ordinamento timocratico della prima repubblica, da una regolare cavalleria reclutata a spese del governo e da esso mantenuta. Dal 400 a.C. circa ai cavalieri equo publico si affiancarono quelli equo privato, equipaggiati a proprie spese: ma si trattava, ormai, di un corpo scelto di ufficiali, con funzioni di comando. Gli squadroni di cavalleria affiancati alle legioni furono composti sempre di più da ausiliari stranieri: dapprima Numidi, poi Spagnoli, Galli e infine Germani. Durante l'impero le turmae e le alae di cavalleria furono assai ampiamente impiegate, ma soprattutto con funzioni di avanscoperta, scorta e retroguardia: il nerbo dell'esercito romano fu sempre rappresentato dalle legioni appiedate. Solo in epoca tardo-imperiale l'aumentata pressione di popolazioni barbariche che, pure senza una vera organizzazione militare, tendevano a combattere a cavallo, determinò l'incremento dell'arma. Sparite, insieme all'Impero, anche le legioni, l'alto Medioevo germanizzato fu il vero periodo aureo della cavalleria, che allora assunse la totalità delle funzioni militari, provocando la quasi sparizione della fanteria. La concezione individualista e, a suo modo, gentilizia del combattimento, eredità medievale dell'antica scala dei valori germanica, fa sì che lo scontro tra due eserciti tenda a frantumarsi in una serie di scaramucce separate tra singoli cavalieri (che si preparano e si esercitano con i tornei): ciò determina un grande sviluppo delle protezioni individuali: dal X secolo circa il cavaliere è interamente rivestito da un'armatura corazzata, dal XII secolo la corazza riveste anche la bestia. I cavalieri in genere cadetti delle famiglie aristocratiche, presso cui si sviluppa tutto quel complesso codice d'onore militare e sociale che ancor oggi definiamo "cavalleria", hanno però scarsa possibilità di manovra, e devono essere accuditi da personale ausiliario: nel XIV secolo una "lancia" borgognone, l'unita della cavalleria, comprende, accanto all'unico cavaliere combattente, fino a sette od otto fra scudieri, palafrenieri, paggi ecc. Il XV secolo vede il tracollo di questa cavalleria individualistica: nascono i primi Stati nazionali, le cui armate contadine e borghesi hanno facilmente ragione dei cavalieri corazzati e isolati. Dopo le avvisaglie di Courtrai (1302) e di Crécy (1346) un clamoroso esempio di questa rivincita della fanteria si ebbe ad Azincourt (1415) quando gli arcieri inglesi ebbero facile successo su quella che era ritenuta la migliore cavalleria del mondo. L'invenzione delle armi da fuoco in questo stesso secolo determinò da un lato la scomparsa delle armature, dall'altro la fine della cavalleria come componente essenziale dell'esercito: non però la scomparsa dell'arma, che tornò a essere associata strettamente con la fanteria, con funzioni ausiliarie e anche di sfondamento. Negli eserciti dell'età moderna gli squadroni di cavalleria avevano il compito di attraversare velocemente la linea del fuoco, mentre il nemico ricaricava le armi, e di caricare, all'arma bianca o con la pistola, protetti dal fuoco della propria fanteria. Questa tecnica, nata negli eserciti svedesi di Gustavo Adolfo (XVII secolo) e grandemente perfezionata dai Prussiani di Federico il Grande, restò anche a fondamento dell'uso che della cavalleria fecero le armate napoleoniche. La teoria militare moderna assegnava alla cavalleria le funzioni di esplorazione, copertura, intervento risolutivo in battaglia, inseguimento: gli squadroni sono in genere lasciati dietro alle linee di fanteria, e il loro intervento è considerato quello decisivo, la "carica" per antonomasia. Ma il crescere della precisione di tiro, della capacità di penetrazione e della velocità di caricamento delle armi da fuoco rende sempre più letale  e meno produttivo l'impiego dell'arma: le più famose cariche dell'800 sono più spesso degli eroici suicidi (come quella famosissima dei 600 componenti di uno squadrone inglese a Balaclava, in Russia, durante la guerra di Crimea, 1854) che delle articolate azioni militari. Resta, alla cavalleria, la funzione di avanscoperta e quella di poter effettuare rapide penetrazioni all'interno del territorio nemico, oltre le linee. Già con la prima guerra mondiale, peraltro, i primi aeroplani e i primi automezzi sostituiscono profittevolmente i cavalli anche per le azioni ausiliarie: in ogni caso, fin dal tardo '800, l'uso delle armi automatiche era in grado di annullare quella che era stata la prerogativa tattica delle cavallerie moderne, ovvero la velocità di manovra sotto al fuoco. Reparti di cavalleria restano in tutti gli eserciti, e hanno il saltuario impiego anche durante la seconda guerra mondiale, soprattutto sui fronti coloniali e in Russia: il 24-8-1942 a Isbusenkij, il reggimento "Savoia Cavalleria" effettuò quella che viene considerata l'ultima carica della storia della cavalleria. Oggi il nome di cavalleria è puramente simbolico, trattandosi in pratica di truppe autocorazzate leggere, fornite di pochi cavalli con funzioni di rappresentanza e di parata. LA CAVALLERIA COME CLASSE SOCIALE E POLITICA. In Grecia e a Roma la cavalleria costituiva originariamente la classe sociale più ragguardevole, perché costituita da coloro che potevano permettersi di militare a proprie spese nella cavalleria. Il termine, peraltro, fu mantenuto anche quando l'arruolamento in cavalleria, in Grecia e a Roma, avvenne su tutt'altre basi. Particolarmente a Roma, dove l'arruolamento di cavalieri con cavallo ed equipaggiamento proprio risaliva al 400 a.C. circa, ma era caduto in disuso almeno dagli inizi del II secolo, il termine eques valeva come titolo di prestigio, particolarmente ambito dai cittadini abbienti non aristocratici, per i quali esso era in un certo modo sostitutivo della mancata nobilitas. Nel I secolo a.C., con un processo che risale all'attività dei Gracchi , e si concluse formalmente con le leggi di Roscio Otone (67), gli strati più alti della borghesia non aristocratica, la cui ricchezza si fondava soprattutto sulle attività mercantili e finanziarie, andarono costituendosi in una classe separata, riconosciuta dallo Stato, i cui appartenenti avevano il titolo di cavalieri (ordo equestris). Essi per tutte le guerre civili contesero aspramente all'aristocrazia senatoria il controllo dello stato, anche se non mancò chi, come Cicerone, cercava di imboccare la via di un accordo dei due ordini privilegiati, contro il pericolo di una troppo marcata trasformazione in senso democratico della respublica. Il programma ciceroniano fu parzialmente realizzato da Augusto, che provvide alla riorganizzazione dell'ordine equestre ai cui membri affidò in pratica la cura di quella parte dell'amministrazione pubblica dipendente direttamente dall'imperatore. Come corpo di alti funzionari (civili e militari) affiancati in pratica a parità di diritti ai senatori, i cavalieri svolsero una importantissima funzione per tutto l'impero. La cavalleria come istituzione politica e sociale ebbe il suo periodo di massima fioritura nel Medioevo quando il costume militare germanico venne a contatto con gli ideali cristiani. Dapprima la cavalleria fu libera a chiunque, nobile o no, disponesse di armi e cavallo. In seguito, con l'evoluzione delle istituzioni feudali, la milizia a cavallo divenne esclusivo appannaggio della società feudale. Questo, e la crescente importanza della figura del cavaliere nell'esercito medievale sono testimoniati dalla progressiva sostituzione nei documenti del termine caballarius con quello di miles, che dal primitivo significato di guerriero o soldato assunse appunto quello di cavaliere, per passare poi addirittura a quello di generico nobile. Il fanciullo nobile destinato alla carriera delle armi, fin dall'età di sette anni, serviva come paggio al servizio del sovrano feudatario del padre, dove, verso i dodici, col nome di damoiseau o valet o Knappe, riceveva non soltanto un'istruzione militare ma veniva anche educato agli usi del mondo e della corte. Dopo aver seguito il signore in qualche campagna come scudiero o armigero, il giovane riceveva l'investitura durante una cerimonia religiosa e civile regolata da speciali rituali il cui simbolismo, se da una parte testimoniava la sempre crescente influenza della Chiesa sulla classe nobiliare, dall'altra richiamava le regole morali che dovevano guidare la vita del nuovo cavaliere (lealtà, valore, fedeltà, rispetto della donna, protezione dei deboli, difesa della fede e della Chiesa). Tali regole, che miravano alla perfezione cristiana nella vita guerriera, facevano della cavalleria una vera organizzazione supernazionale. La realizzazione di tali ideali sembrò concretizzarsi all'epoca delle crociate, con l'istituzione degli ordini cavallereschi, formati da cavalieri provenienti da diverse nazioni, e dotati di una struttura gerarchica simile a quella della Chiesa. Ma l'esaurirsi della funzione di questi ordini come difensori della Cristianità in Oriente in seguito al consolidarsi della potenza turca, i privilegi goduti e o spostarsi dei loro interessi dal piano religioso a quello politico portarono a una graduale decadenza dei valori ideali di cui la cavalleria era depositaria. Un simile cambiamento, evidenziato in letteratura dal passaggio della chanson de geste (che, riflettendo gli antichi costumi, costituisce una fonte preziosa per la loro conoscenza) al romanzo cortese nel quale l'accento viene posto in prevalenza sull'amore e sul servizio della dama.

Cesarotti, Melchiorre, scrittore italiano (Padova 15.5.1730 - 4.11.1808). Abate dallo spirito enciclopedico, autore di opere d'ogni genere raccolte in quaranta volumi, raggiunse una improvvisa notorietà nel 1763 con la traduzione delle "Poesie di  Ossian", testi pubblicati in prosa tre anni prima dal Macpherson e destinati a vita al romanticismo italiano (oltre che a una moda della poesia "ossianica"). Dall'Alfieri al Monti e al Foscolo, molti gli devono qualcosa, anche se la sua opera di poeta, di storico della letteratura, di filosofo e di ricercatore, più che traduttore di testi classici, oggi può apparire discutibile. Fu tuttavia esempio raro di cultura cosmopolita, e la sua curiosità estetica diede non pochi frutti. Se ci può risultare difficile capire un rifacimento dell'Iliade (con il titolo "La morte di Ettore", 1786-1794), i suoi studi su Omero appaiono invece ancora sorprendenti. Anche il "Saggio sulla filosofia delle lingue" (1785) ebbe larga notorietà, ma non meno interesse destano il "Saggio sulla filosofia del gusto" (1788) e soprattutto l'"Epistolario", dove emergono tutti i suoi vasti interessi culturali e la ricchezza della sua personalità, tra illuminismo e romanticismo. Ebbe da Napoleone stima e onori, che gli permisero di trascorrere gli ultimi anni in una villa a Selvaggiano da lui stessa concepita come tempio della poesia e della spiritualità.