l'eccidio

FONDI DI SCHILPARIO
La deposizione di un milite della Tagliamento

L'altra inutile strage del 28 aprile 1945 Ai Fondi di Schilpario lo scontro tra partigiani e i militi della 5ª e 6ª Compagnia della Tagliamento, avvenne la sera del 28 aprile. Di questa tragedia si è già raccontato tutto, anche dei sospetti di tradimento interno nel gruppo partigiano e del ruolo del Tenente medico Giovanni Scolari. Il Comunicato partigiani dopo la strage è riportato nel diario da don Carlo Comensoli (1894-1976) arciprete di Cividate Camuno, animatore delle Fiamme Verdi in Val Camonica: "Il Comando del sotto settore di Schilpario comunica che la sera del 28 aprile 1945 verso le ore 21 per mezzo di un nostro autocarro, una nostra pattuglia formata da 20 uomini, muoveva in perlustrazione nella zona sita ad Est di Schilpario, ove erano segnalate forze Repubblicane, provenienti dal Passo del Vivione. Raggiunta la località Fondi, la nostra pattuglia si trova d'improvviso accerchiata e fatta segno ad un nutrito fuoco di armi automatiche. Nello scontro, 11 degli uomini componenti la pattuglia rimanevano morti e tre altri feriti. Si è potuto accertare che le forze avversarie erano costituite da elementi della 5ª e 6ª comp., appartenenti al Battaglione della legione d'Assalto Tagliamento, provenienti dal Mortirolo. A seguito dell'interrogatorio di uno degli elementi, che hanno partecipato all'azione e catturato in seguito, ci risulta che guidavano detta azione i seguenti ufficiali e sottufficiali: Maggiore Menegozzo Oreste, tenenti Silvestri e Pucci, sottotenenti Baldo Ezio, Amato, Agostini e Cristofori, il sergente maggiore Eleuteri, i caporali maggiore Fontana, De Fazi, Esposito e Brizzolari, i caporali Chiaretti e Feretti. I nominativi… ci risultano in un campo di concentramento di Piacenza, provenienti da Corteno, dove si erano arresi alla Brigata Schivardi. Vi preghiamo gentilmente di occuparvene affinché siano rintracciati e resa giutizia".
Sul camion (mezzo tedesco requisito) c'erano 19 partigiani: Emilio Fantocci, Mario Vecchi, Giorgio Serantoni, Linfardo Volonté. Achille May, Paolo May, Pietro May, Elia Mancini, Paolo Bonaldi, Giovanni Bonaldi, Camillo Mora, Gianni Mora, Rino Mora, Pietro Mora, Giovanni Pizio, Antonio La Casa, Giovanni Rizzi, Pietro Romelli e Giovanni Scolari. La vicenda è ricostruita in "Credettero che bastasse venir cantando" di Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi - Quaderno n. 1 del Museo Etnografico di Schilpario - 1995.Il conteggio delle vittime viene riportato in modo diverso (11 o 12) a seconda dei relatori: 11 le vittime partigiane cui si deve aggiungere il tenente medico Scolari. Ma perché quelle due compagnie avevano risalito la strada del Vivione, cacciandosi in un imbuto? Apparentemente un'assurdità. Infatti si sono fatte congetture di ogni sorta. Siamo in grado di riportare la versione di uno dei militi della Tagliamento che parteciparono all'azione: si tratta del Caporal Maggiore Gino De Fazi, il cui nome compare nell'elenco nel Comunicato partigiano. E già da questa deposizione si capirebbe come certi fatti fossero (e sembra incredibile) la conseguenza di mancanza di collegamenti e informazione."La mattina del 28 aprile 1945 alle pendici del Mortirolo veniva organizzato un gruppo di combattimento al comando del Maggiore Oreste Menegozzo, costituito da un plotone della VI Compagnia e da due plotoni della V Compagnia, avente lo scopo di rilevare i nostri esigui presidi, isolati, al Passo della Manina ed al Passo della Presolana, per poterli ricongiungere alla Legione. Con tale intento ci dirigemmo verso il Passo del Vivione e da qui raggiungemmo la località Fondi di Schilpario, ove ci restammo per riposarci e con l'intenzione di riprendere poi la marcia". Certo, le informazioni non erano facili. Non c'è alcun cenno al massacro di Rovetta (avvenuto a mezzogiorno del 28) che avrebbe fatto cadere automaticamente qualsiasi velleità di rilevare il presidio del Passo della Presolana, che si era arreso addirittura due giorni prima, il 26 aprile. E nello stesso pomeriggio il Presidio della Manina trattava per arrendersi (una testimonianza in merito l'abbiamo dal Sergente Maggiore Mariano Renzetti). Torniamo alla notte del 28 aprile ai Fondi di Schilpario.
"Dopo la mezza notte del 28 aprile e quindi nei primi minuti del 29, notammo un automezzo che a fari accesi, privi di protezione attenuatrice, si dirigeva proprio verso il punto dove ci eravamo fermati e dove avevamo preso normali misure di sicurezza per evitare sorprese. A tale scopo ci eravamo appostati dietro ad alcune baracche poste lungo i lati della strada, dove si trovava una fornace ormai in disuso. Appena giunto nel piazzale della ex fornace, e quindi vicinissimo al nostro luogo di appostamento, l'automezzo invece di fermarsi all'alt intimato dalla sentinella, proseguiva la sua marcia. Ricordo di aver udito nettamente una raffica di mitra o di mitragliatrice, e dopo altre raffiche di armi automatiche e scoppi di bombe a mano. Ebbi il tempo di notare che sulla cabina di guida dell'automezzo era appoggiato un fucile mitragliatore, che cominciò a sparare. Nonché dalla cabina di guida dell'automezzo scese un uomo in divisa, che agitava le mani gridando. Subito dopo venne colpito e cadde a terra. Lo scontro durò pochissimi minuti (due o tre) e subito dopo fu silenzio. Mi avvicinai al corpo disteso in terra del milite che avevo visto scendere dalla cabina dell'automezzo. Era disteso in una pozza di sangue e riconobbi in lui il nostro tenente medico Scolari. Era stato colpito al petto ed anche alla schiena".Quest'ultimo particolare è importante. Scolari, prelevato dal presidio del Dezzo dai partigiani per fare da mediatore, si trova tra i classici due fuochi. A questo punto i militi capiscono che, comunque, non hanno strada libera né per raggiungere la Manina né il passo della Presolana, dove non avrebbero comunque trovato nessuno. Era l'alba del 29 aprile. "rendendoci conto dell'inutilità di proseguire verso il compito che ci eravamo prefissati, decidemmo il ripiegamento del gruppo che, sempre a piedi, raggiunse Edolo la sera del 29 aprile 1945, dove speravamo di trovare le truppe che dovevano presidiare la Valtellina per l'ultima resistenza. Ad Edolo non trovammo nessuno.
La mattina del successivo 30 aprile venimmo a conoscenza del crollo della repubblica Sociale Italiana e dell'avvenuta morte del Duce". Il "gruppo di combattimento" che si prefiggeva di aumentare i soldati e tentare quindi di passare il confine, in realtà è braccato in valli che sono diventate ostili e in paesi "liberati" dove la popolazione non ha certo buona predisposizione d'animo verso i fascisti. Cosa resta da fare se non arrendersi? Ma non tutti sono d'accordo. "A seguito di trattative intercorse tra il nostro comandante (Magg. Menegozzo) e un prete del posto, si decise la resa ai partigiani delle Fiamme Verdi". Da notare che anche il C9 di Schilpario, che aveva subito l'imboscata ai Fondi, faceva parte delle Fiamme Verdi, anche se poi non verrà riconosciuto dall'Anpi (l'Associazione partigiani) per la storia non proprio limpida di questa formazione (al punto che si sospettò perfino che il vero bersaglio dei Fondi fosse proprio un regolamento di conti interno alla formazione: sospetto smentito da questa relazione). La decisione della resa non è condivisa. "Il plotone della VI Compagnia decideva di dirigersi verso il Passo del Tonale, con la speranza di ricongiungersi alla Legione Tagliamento, che da detto Passo era transitata il giorno precedente, raggiungendo la Val di Non; i due plotoni della V Compagnia nella grande maggioranza si arresero; il rimanente decise invece di disperdersi. Personalmente scelsi quest'ultima soluzione e mi diressi sui monti verso Sud, sperando di raggiungere una località sul Lago d'Iseo dove una ragazza mi aveva promesso ospitalità". Il fuggiasco gira affamato e stanco, un prete di un paese di cui non ricorda il nome gli dà dei vestiti civili e lo indirizza sulla strada per Boario. Sulla strada si aggrega "a un gruppo di prigionieri provenienti dall'Austria e dalla Germania, che mi accolse benevolmente e che mi dette perfino una coperta". A Cedegolo a un posto di blocco partigiano De Fazi viene riconosciuto e catturato. "Era la sera del 30 aprile. Il giorno successivo, verso le 17, fui prelevato insieme con un mio commilitone (siciliano, di nome Scuccimarra). Ci portarono nel cimitero di Cedegolo e ci misero ciascuno presso i pilastri del cancello d'ingresso, dopo averci legato i polsi. Formarono un plotone di uomini e ci dissero che saremmo stati fucilati: il mio camerata si accasciò al suolo, io rimasi fermo e vidi un partigiano che, agitando una sciabola, stava per dare l'ordine al plotone di sparare. Questa volta le luci di un'auto che si avvicinava a grande velocità fu provvidenziale, perché l'intervento di un sacerdote valse a salvarci la vita. Era il 1 maggio del 1945. Il giorno successivo fummo caricati su un treno stracarico di altri camerati che dalla stazione di Cedegolo ci condusse a Brescia dove, incolonnati, sfilammo per le vie della città. In testa alla colonna vi era la madre del Ten. Scolari. Fui rinchiuso nel carcere 'Gli Spalti' di Brescia e successivamente nel Castello di Brescia dove 'soggiornai' fino al 23 dicembre 1945, data del mio rilascio, munito del foglio di via obbligatorio". Questa testimonianza è del 4 dicembre 2000. Riguardo al tragitto dalla Val Camonica a Brescia dei militi catturati dai partigiani c'è anche la testimonianza del Sergente Maggiore Mariano Renzetti: "Venimmo condotti a Darfo e, insieme ad altri militari della R.S.I. e tedeschi, fatti salire su di un treno. La Tagliamento ebbe il 'privilegio' di un vagone riservato, con la scritta della Legione sulla fiancata, in modo di attirare su di sé le maggiori attenzioni per le 'migliori' accoglienze, che, infatti, furono numerose e sentite, poiché ogni stazione ferroviaria costituì una vera Via Crucis, fatta di botte da orbi e minacce di morte da parte della 'piazza' scatenata e aizzata: a Marone ebbi la testa spaccata con il calcio di un fucile. La destinazione fu Brescia…".
Il Comandante della Compagnia della Tagliamento protagonista della strage dei Fondi di Schilpario, Maggiore Oreste Menegozzo, fu processato per strage e condannato a diversi anni di reclusione, alla degradazione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici dal Tribunale Militare di Milano il 28 agosto 1952.
Ps. La vicenda è ricostruita in "Credettero che bastasse venir cantando" di Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi.