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Fermo e Lucia
Tomo 2
CAPITOLO X
La carrozza correva tuttavia velocemente, gl'indegni guardiani di Lucia,
consultavano non senza sollecitudine su lo stato di essa, guardandola fisamente,
cercando nel suo volto pallido e immobile le apparenze della vita, aspettando
ansiosamente ch'ella ne desse alcun segno; quando la poveretta cominciò a
rinvenire come da un sonno profondo, diede un sospiro, e aperse gli occhi. Penò
qualche tempo a distinguere i luridi oggetti che la circondavano, e a
raccappezzare le idee già confuse, e incerte che avevano preceduto il suo
deliquio, a confrontarle con le prime, che si affacciavano alla sua mente
ritornata: finalmente a poco a poco riprendendo le forze riprese tutto il
pensiero, e comprese la sua orribile situazione. I bravi, senza ardire di porle
le mani addosso, e guardandola con un certo rispetto le andavano facendo animo,
e ripetendo: «coraggio, non è niente, non vogliamo farvi male: siamo
galantuomini». Il primo uso che fece Lucia della vita fu di gittarsi con forza
verso lo sportello per vedere dove fosse, se gente passasse, se potesse
lanciarsi al di fuori ad ogni pericolo: ma appena potè scorgere che il luogo
ch'ella attraversava rapidamente era un bosco, che anima vivente non v'era: che
le braccia villane che l'avevano già conficcata la prima volta al fondo della
carrozza, ve la conficcarono di nuovo. Levò ella allora un altro grido, ma la
stessa manaccia tornò in furia con lo stesso fazzoletto, e il padrone di quella
manaccia disse nello stesso momento: «Facciamo i nostri patti: noi non vi faremo
male, non vi toccheremo, ma voi non cercherete né di fuggire né di gridare: già
è inutile, ma pure se voleste tentarlo, noi siamo qui, amici o nemici, come
vorrete».
«Lasciatemi andare», disse Lucia con voce soffocata dallo sdegno e dallo
spavento: «lasciatemi andare subito, subito: io non son vostra, lasciatemi
andare».
«Non possiamo», rispose il malandrino.
«Dove mi conducete? dove sono? voglio andare al convento dei cappuccini».
«Ohibò ohibò», disse sogghignando colui, «che le ragazze non istanno bene coi
cappuccini. Venite con noi di buona voglia».
«No no», rispose Lucia alzando la voce; ma il fazzoletto fu alzato.
«Lasciatemi andare per amor di Dio», ripigliò ella con voce più fioca. «Dove mi
conducete?»
«In casa di galantuomini, vicino a casa vostra», rispose il malandrino.
«No no», disse ancora Lucia: «lasciatemi andare».
«Ma se questo è contra i nostri ordini», rispose un altro.
«Chi vi può dare questi ordini?» domandò Lucia: «ricordatevi della giustizia,
ricordatevi dell'inferno, ricordatevi della morte».
«Pensieri tristi», replicò quello dal fazzoletto: «voi ci volete far malinconia,
e noi vi conduciamo a stare allegra».
«Santissima Vergine ajuto!» gridò Lucia, ma il malandrino con volto iracondo le
protestò che s'ella gridava un'altra volta, il fazzoletto sarebbe rimasto sulla
sua bocca fino a ch'ella fosse giunta al luogo destinato. E sforzandosi d'esser
garbato aggiunse: «già siamo vicini: parlerete con chi può comandare: noi siamo
servitori che facciamo il nostro dovere: è inutile che ci diciate le vostre
ragioni».
«Oh per amore di Dio, della Madonna», riprese Lucia in tuono supplichevole, con
voce interrotta da singulti, e senza pur pensare ad asciugare le lagrime, che le
rigavano tutta la faccia: «per amore di Dio, lasciatemi andare: io sono una
povera creatura, che non vi ha mai fatto male: vi perdono quello che mi avete
fatto, e pregherò Dio per voi: se avete anche voi una figlia, una moglie, una
madre, qualche persona cara a questo mondo, pensate quello che patirebbero se
fossero in questo stato: pensate all'anima vostra; fate una buona opera che vi
può salvare: fatemi questa carità, acciocché Dio vi usi misericordia, lasciatemi
qui».
«Non possiamo» risposero tutti e tre; commossi alquanto da quel lamento. «Non
possiamo», ripetè il capo; «ma non abbiate paura, fatevi animo; già non vi
conduciamo in un deserto: state tranquilla: se volete parlare noi vi
risponderemo; se volete tacere, noi non parleremo: non temete, nessuno vi
toccherà»; e così dicendo si ristringeva contra la carrozza lasciando più spazio
a Lucia perché stesse meno disagiata, perché non fosse oppressa da una vicinanza
ch'egli stesso sentiva in quel momento quanto dovesse essere incomoda e
ributtante. Gli altri due, si andavano pure ristringendo dal loro lato, facendo
luogo a Lucia, e tenendosi come in distanza, stornando gli occhi da quel volto
accorato, ma fermi nel loro atroce proposito di eseguire la commissione: come il
villanello che a fatica si è arrampicato all'albero per togliere un uccelletto
dal nido, e lo tiene nelle mani, e lo sente dibattersi e tremare, e sente il
cuore della povera bestiola battere affannosamente contra la palma che lo
stringe; prova pure qualche pietà: allenta le dita alquanto per non affogare la
povera bestiola, per non farle male; ma aprire il pugno, lasciarla tornare al
suo nido: oh no! il figlio del padrone gli ha chiesto l'uccelletto, gli ha
promessa una bella moneta s'egli sapeva snidarlo e portarglielo vivo. Lucia dopo
avere ancora indarno pregato; «ditemi dove mi conducete», richiese di nuovo.
«In casa di galantuomini, e non vi possiamo dire altro», rispose quegli che le
stava vicino. Lucia vedendo che le preghiere riuscivano inutili come la
resistenza, e stanca dell'ambascia, e dello stento, incrocicchiò le braccia sul
petto, si strinse nell'angolo della carrozza, in silenzio: e perduta ogni
speranza di soccorso umano, si rivolse a Dio da cui tutto sperava; e pregò
fervidamente da prima col cuore; indi cavato di tasca il rosario che teneva
sempre con sè, cominciò a recitarlo con voce sommessa. I bravi tacevano,
guardando di tratto in tratto quello ch'ella faceva, e sospirando tutti il fine
di quella spedizione: e Lucia di tempo in tempo fermandosi nella sua preghiera a
Dio, per voltarsi a coloro in forza dei quali ella si trovava, e ricominciava a
supplicarli: ma non udiva rispondersi altro che: «non possiamo». La sua
preghiera era esaudita, ma il momento non era venuto.
Erano già due ore che la carrozza correva, sempre per istrade deserte,
attraversando boscaglie, e campi abbandonati alla felce ed alla scopa (una gran
parte del territorio milanese era allora ridotta a quello stato dalle guerre,
dalle gravezze insopportabili, dall'ignoranza, dalla specie di barbarie insomma
in cui erano gli abitanti, e i legislatori). Il sole declinava verso l'orizzonte
quando Lucia sentì un romore continuo sempre crescente, come di un'acqua
rapidamente corrente. Era l'Adda infatti a cui la carrozza si avvicinava: il
bravo che stava sulla serpe accanto al cocchiere urtò col gomito chiamando
quelli di dentro; uno di essi pose la testa fuori dello sportello, e l'altro gli
disse: «il battello c'è». «Ah! bravo» dissero tutti e tre quei di dentro. Lucia,
vedendo che si stava per fare qualche cosa da cui doveva decidersi il suo
destino, ricominciò le sue preghiere, ma il vicino lieto di essere alla fine
della sua incombenza, e di non aver più a combattere con le istanze di quella
infelice, le impose silenzio dicendo: «Zitto zitto; abbiamo altro in capo che di
darvi retta ora: siamo occupati». La carrozza si fermò presso la riva, quel
della serpe fece un segno a cui fu risposto dal battello, e tosto ne uscirono
tre bravi con una vecchia, e si avviarono verso la carrozza. Lucia strillava, i
bravi le comandavano di tacere replicando: «non abbiate paura, e già tutto è
inutile; son tutti nostri amici». Lucia allora si rannicchiò tutta alla carrozza
invocando la Vergine nel cuore, e proponendo di lasciarsi piuttosto uccidere che
di uscire volontariamente da quel luogo, il quale per quanto orrendo le fosse le
pareva un asilo poiché vi aveva passate due ore, e non sapeva dove, a che
sarebbe strascinata quando ne fosse fuori. Mentre si stava così tutta
rannicchiata, udì chiamarsi da una voce femminile, aperse gli occhi e vide allo
sportello la vecchia rivolta verso di lei. Una donna parve in quel momento a
Lucia un angiolo del paradiso: si sollevò, e con volto supplichevole, e con una
certa fiducia le disse: «Oh brava donna, che fate voi qui? ajutatemi, se questi
sono vostri amici pregateli che mi lascino venire con voi; salvatemi,
salvatemi».
«Scendete e venite con me», rispose la vecchia; indi rivolta ai bravi
raggrinzando la fronte e scontorcendo la bocca: «Maladetti», disse, «le avete
fatto paura?»
«Ma la vedete sana e salva...?» rispondeva il capo; quando Lucia, chinandosi e
sporgendosi dalla carrozza a prendere con le mani le braccia della vecchia: «non
dite niente», interruppe, «quel che è stato è stato, purché mi lascino venire
con voi».
«Scendete, venite», disse la vecchia.
«Ma con voi sola», rispose Lucia.
«Andiamo andiamo», disse ancora la vecchia, e presa Lucia la strascinava, mentre
i bravi della carrozza l'ajutavano a scendere quasi portandola.
«No no», disse Lucia.
«Zitto, zitto», disse la vecchia, «venite colle buone».
«Ma voi siete d'accordo con questi scellerati», gridava Lucia.
«Zitto zitto», continuava a dire la vecchia, e così Lucia fu portata al
battello.
Guardò intorno e non vide altro che la boscaglia la riva e il fiume e il
battello; alzò gli occhi, e vide al di sopra delle cime dei monti la cima
tagliata a sega del Resegone, alle falde del quale era la sua casa, dov'era sua
madre, dove aveva passati i primi suoi anni nella pace; e l'accoramento le tolse
anco la forza di gridare; tutta grondante di lagrime, affannata, quasi fuor di
sè, fu posta a sedere nel battello sotto la tenda: la vecchia le si pose
accanto: il capo di quelli che erano venuti in carrozza saltò pure nel battello,
stette al di fuori coi bravi venuti per acqua; i quali tosto puntati i remi alla
riva ne fecero allontanare il battello, pigliarono l'alto del fiume, diedero dei
remi nell'acqua, e il battello partì. Appena Lucia ebbe ripreso un po' di fiato,
si pose ginocchioni dinanzi la vecchia, domandandole dov'era condotta,
pregandola di farla deporre su qualche riva, pregandola pei nomi i più temuti ed
amati dai cristiani; ma la vecchia inflessibile, immobile, non rispose altro che
«zitto, zitto». Lucia ricominciò a pregare Colui che ode anche quando non
risponde, si abbandonò alla sua provvidenza. Dopo forse due altre ore di
viaggio, il battello approdò: la notte precipitava, e Lucia sbigottita,
tremante, non sapeva più in che mondo si fosse: fu tolta in questo stato dal
battello, posta in una lettiga, e portata al castello del Conte del Sagrato.
La vecchia accompagnava la lettiga, entrò insieme in casa, la fece deporre in
una stanza, dove rimase sola con Lucia, dicendo a coloro che l'avevano portata,
che andassero ad avvertire il Signor Conte. Ma il Signor Conte aveva già intesa
dal Tanabuso la relazione del rapimento, del viaggio e dell'arrivo. «Ebbene»,
aveva egli detto al Tanabuso, «fatto?»
«Fatto», rispose Tanabuso.
«A dovere?»
«A dovere».
«Non c'è stato bisogno di spiegar le unghie?»
«Tutto è andato quietamente»; e qui fece il Tanabuso la sua narrazione. E
aggiunse: «Tutto è corso a verso, com'ella vede, signor padrone; ma una sola
cosa ci ha dato un po' di disturbo».
«Che è?» chiese il Conte.
«Quella ragazza», rispose il Tanabuso... «quella povera ragazza... un tal
guaire, un tal piangere, un tal pregare... restar lì come morta..., guardarci un
po' come diavoli, un po' con gli occhi pietosi... che... che...»
«Che?» disse il Conte; «sentiamo un po' questa che vuol essere nuova,
ribaldonaccio».
«Che mi ha fatto compassione».
«Ohe!» disse il Conte, «bisognerà che ti dia doppia mancia per quello che ha
patito il tuo povero cuore».
«Possa io diventare un birro se non è così», rispose il Tanabuso; «mi ha fatto
compassione. Dico la verità Signor padrone, avrei avuto più caro che l'ordine
fosse stato di darle una schioppettata, alla lontana, prima di sentirla
discorrere».
«Ora», riprese il Conte, «lascia da parte la compassione, cacciati la via tra le
gambe, vanne diritto al castello di quel Don Rodrigo... Sai dov'è posto?». Il
Tanabuso accennò di sì: «fagli dire che sei mandato da me, dagli questo segno
nelle mani, e torna a casa. La giornata è stata faticosa, ma tu sai che il tuo
padrone vuole esser servito ma sa anche pagare...»
«Oh illustrissimo!...»
«Taci, e vanne tosto... ma no, aspetta: dimmi un poco come ha fatto costei per
moverti a compassione. Che abbia un patto col demonio?»
«Niente, niente, signor padrone, era proprio il crepacuore che aveva quella
povera ragazza. Se non avessi avuto un comando del mio padrone...»
«Ebbene?...»
«L'avrei lasciata andare».
«Oh! andiamo a vederla costei; e tu aspetta, partirai domattina... dopo aver
ricevuto i miei ordini... tanto fa che quello inspagnolato aspetti qualche ora
di più... Domattina sii all'erta per tempo».
Il Tanabuso partì, facendo un inchino, e il Conte s'avviò alla stanza dove Lucia
stava in guardia della vecchia.
Bussò, disse: «son io», e tosto il chiavistello di dentro corse romoreggiando
negli anelli, e la porta fu spalancata. Lucia si stava seduta sul pavimento,
acquattata, accosciata nell'angolo della stanza il più lontano dalla porta, nel
luogo che entrando le era sembrato il più nascosto, si stava quivi aggomitolata,
con la faccia occultata, e compressa nelle palme, tutta tremante di spavento, e
quasi fuor di sè: al romore che fece la porta, alla pedata del Conte che entrava
trasalì, ma non levò la faccia, non mosse membro, anzi fece uno sforzo per
ristringersi ancor più tutta insieme; e stette con un battito sempre crescente
aspettando e paventando quello che avvenisse.
«Dov'è questa ragazza?» disse il Conte alla vecchia.
«Eccola», rispose umilmente la malnata.
«Come?» disse il Conte, «l'avete gettata là come un sacco di cenci».
«Oh s'è posta dove ha voluto».
«Ehi! quella giovane», disse il Conte avvicinandosi a Lucia: «dove diavolo vi
siete posta a sedere? alzatevi; non voglio farvi male... lasciatevi vedere».
Lucia non si mosse.
«Peggio per voi», disse il Conte; «se volete fare il bell'umore. Ah! ah! non
sapete dove siete. Pretendereste voi di resistermi? Abbassate subito quelle mani
ch'io voglio vedervi».
Queste parole furono dette con un tuono così minaccioso, che le mani di Lucia
obbedirono quasi senza il comando della volontà: e Lucia lasciò vedere la sua
faccia spaventata e dolente. Alzò ella allora gli occhi al volto del Conte che
la stava guardando attentamente; e dopo un momento, gli disse con una voce, in
cui al tremito dello sgomento era mista la sicurezza d'una indignazione
disperata: «Che male gli ho fatto io?»
«E che male voglio io fare a voi, scioccherella?» rispose il Conte, con voce più
mite. «Credete forse d'essere condotta al macello? Verrà un giorno che riderete
di tutto questo vostro spavento, e riderete forse anche di me, che vi rispondo
ora così sul serio».
«Ridere! oh Dio!» rispose Lucia «ridere!» e guardando un momento come smemorata,
diede in un nuovo scoppio di pianto.
«Sì sì, tutte voi altre fate così», replicò il Conte.
«Ma perché», riprese Lucia, «mi fa ella patire le pene dell'inferno? Mi dica che
cosa le ho fatto? Oh non mi faccia più patire così: Dio glielo potrebbe rendere
un giorno...»
«Dio: Dio: sempre Dio coloro, che non hanno niente altro: sempre rinfacciar
questo Dio, come se gli avessero parlato. Dov'è questo vostro Dio?»
«È da per tutto, è qui», rispose Lucia: «è qui a vedere s'ella si muove a pietà
di me, per usarle pietà in ricambio un giorno. Oh abbia misericordia d'una
poveretta, mi lasci andare, lasci ch'io mi ricoveri in qualche Chiesa, su le
montagne, in un bosco. Oh lo vedo; tutto dipende da lei: con una parola ella mi
può salvare: dica questa parola. Non so dove sono, ma troverò la strada per
andare da mia madre. Oh Dio! non è forse lontana: ho visto i miei monti: oh
s'ella sentisse quel ch'io patisco! non conviene ad un uomo che ha da morire,
far tanto patire una creatura innocente: mi lasci andare; oh se pregherò Dio per
lei! la benedirò sempre». E animata nel suo discorso si levò da sedere, si pose
in ginocchio, giunse le mani al petto, e continuò: «Che cosa le costa dire una
parola? Non iscacci una buona ispirazione, un sentimento di pietà. Oh Dio
perdona tante cose per un'opera di misericordia!»
- Che pazza curiosità ho avuto di venirla a vedere - pensava tra sè il Conte. -
Dugento doppie! ne ho bisogno. Costoro vogliono esser ben pagati; eh! hanno
ragione: espongono la loro vita: ma vorrei piuttosto toglierne cinquanta a
quattro usuraj, e farli scannare tutti e quattro.
«Non mi dica di no», continuava Lucia, sempre singhiozzando, «sono una povera
figlia. S'ella provasse a pregare, a pregare, a cercar misericordia senza
poterla ottenere! E se le accadesse una disgrazia!... ma no, no io pregherò per
lei il Signore e la Vergine... mi lasci andare...»
«State di buon animo», rispose il Conte, senza intenzione di nulla promettere,
senza sapere egli stesso che senso avessero le sue parole, ma spinto da un
bisogno di far cessare quell'angoscia e quel lamento, di consolare quella
creatura.
«Oh», disse Lucia, «Dio la benedica, ella mi lascia andare».
«State di buon animo», ripetè il Conte, «cercate di riposare... domani...
parleremo...»
«E voi», rivolto alla vecchia, «voi», disse, «fate ch'ella non abbia da lagnarsi
pure di una parola torta. Ora vi si allestirà la cena... ristoratevi, e dormite
tranquilla».
«No, no», rispose Lucia, «mi lasci andar subito...»
«Domani... domani ci parleremo», replicò il Conte, e con un rapido movimento
andò verso la porta, ed uscì.
Lucia, tutta piena della speranza di ottenere la sua liberazione si alzò, e
volle correr dietro al Conte, ma quando si trovò sull'uscio non ardì movere un
passo più in là, né chiamare: tornò indietro come spaventata, e si raccosciò di
nuovo nel suo angolo.
«Volete dunque cenare?» le disse la vecchia.
«No no; badate bene a non partire di qua» rispose Lucia, «ricordatevi di quello
che vi ha detto il vostro padrone: chiudete la porta». La vecchia obbedì, e
tornata: «mettetevi a letto e dormite dunque», disse.
«No: io non mi voglio movere di qui» replicò Lucia.
«Che pazzie?...»
«Non voglio», replicò di nuovo Lucia, risolutamente: quel coraggio di
disperazione ch'ella si sentiva da quando a quando era stato accresciuto e
corroborato da quella compassione ch'ella aveva veduta nel Conte, dalle parole
di speranza che egli le aveva date, e dagli ordini ch'egli aveva lasciati con
impero alla vecchia.
- Ih! ih! che fummo ha costei, - disse tra sè la mala vecchia. - Maladette le
giovani che hanno sempre ragione e quando sono svergognate e quando fanno le
smorfiose.
«Badate a non ispegnere quella lucerna», disse Lucia.
«Sì sì», rispose la vecchia, e senza più rivolger la parola a Lucia si coricò
brontolando.
Lucia rimase nel suo angolo. Era questo per lei, in quella orrenda giornata il
primo momento di riposo; ma quale riposo. I pensieri che l'avevano assalita
tumultuosamente, ad intervalli nel giorno, tornarono tutti in una volta ad
assediare la povera sua mente. Le memorie così recenti, così vive, così atroci
di quelle ore, di quel viaggio, di quell'arrivo, si affollavano alla sua
fantasia; l'avrebbero oppressa se fossero state memorie d'un pericolo trascorso:
e che dovevano fare, nel mezzo del pericolo stesso, nella durata, nella orribile
incertezza dell'avvenimento! Qual passato! e qual presente! quel silenzio,
quella compagnia, quel luogo. Qual notte! e per giungere a qual domani!
L'infelice intravedeva ben qualche cosa della orditura spaventosa del laccio
dove era stata tirata, ma rifuggiva dal pensiero di scoprirne più in là. Di
quando in quando le parole di speranza del Conte la rincoravano: le andava
ripetendo fra sè, s'immaginava di essere l'indomani fuori di quell'antro con sua
madre, ma un altro avvenire possibile rispingeva questa immaginazione, e a tutta
forza veniva a collocarsi nella sua mente. Tremava, si faceva animo, sperava,
disperava, pregava: le forze del corpo finalmente cedettero ad un tale
combattimento dell'animo, e Lucia fu presa da una febbre violenta. Le sue idee
divennero più vive, più forti, ma più interrotte, più mescolate, più varie, si
urtarono più rapidamente, e la confusione togliendole una parte della coscienza,
rese sofferibile una angoscia che altrimenti ella non avrebbe potuto sofferire e
vivere. Nel calore della febbre, le parve ad un tratto che la preghiera sarebbe
stata più accetta, certamente esaudita, se con la preghiera ella avesse offerte
in sagrificio quelle che altre volte erano state le sue più liete speranze.
L'unica speranza di quel momento, quella di uscire da quel pericolo, le parve
con questo divenire più fondata, più ferma: aperse gli occhj, li girò con
sospetto e con ansietà nel barlume di quella stanza; tese l'orecchio, e non udì
altro che il russare della vecchia; si levò chetamente, stette ginocchioni; e
votò alla Vergine di viver casta, senza nozze terrene, s'ella poteva uscire
intatta da quel pericolo. Proferito il voto, o, quello che a Lucia parve tale,
ella si sentì come racconsolata; si raccosciò nel suo angolo, e passò il resto
della notte in un letargo febbrile, interrotto da sussulti, e da vaneggiamenti.
Il Conte partito da quella stanza andò secondo il suo costume a visitare i posti
del suo castello, a vedere se le guardie erano poste ai luoghi stabiliti, se
tutto era in ordine, e si chiuse nella sua stanza. Ma l'immagine di Lucia non
l'aveva mai abbandonato nel suo giro; ma quando egli si trovò solo nella sua
stanza, senza più nulla da fare che d'ascoltare i suoi pensieri, e di dormire se
avesse potuto, quella immagine più viva, più potente si pose a sedere nella sua
mente, e vi stette.
- Che sciocca curiosità da femminetta, m'è venuta, - andava egli pensando, - di
andare a vedere questa giovane? Ho dovuto sentire dalla sua bocca di quelle cose
che nessun uomo vivente avrebbe ardito dirmi sul volto. Le ho sentite, e mi
seccano. Perché non è figlia d'uno spagnuolo? o di qualcuno di quei sozzi
birbanti che m'hanno bandito: che avrei goduto di sentirla guaire, di vederla
tremante ai miei piedi. Ma costei non mi ha mai fatto male... Ecco, lo andava
ripetendo... pareva sapesse che questa era la corda da toccare per farmi
compassione... Compassione!... ma certo io ho avuto compassione: la sento
ancora... e qualche cosa di peggio... Che diavolo ho io addosso questa notte?...
Ha fatto compassione perfino al Tanabuso! Oh aveva ragione quella bestia, quando
disse che sarebbe stato men male averle data una schiopettata... Poveretta! una
schiopettata... no credo che mi avrebbe fatto compassione anche morta. Eh
sciocchezza! i morti almeno non si stanno a guardare, non si sentono, non vi si
mettono ginocchioni davanti... è un conto saldato. Dicono mo' i preti che un
giorno hanno a risuscitar tutti quanti! Poh! imposture! imposture, non è vero,
non è vero. Vorrebb'essere una bella processione.
E qui cominciarono a schierarsi dinanzi alla sua memoria tutti quelli ch'egli
aveva cacciati o fatti cacciare dal mondo, dal primo, ch'egli essendo ancor
giovanetto aveva passato con una stoccata per una rivalità d'amore, fino
all'ultimo che aveva fatto scannare per servire alla vendetta di un suo
corrispondente; tutti coi loro volti, nell'atto del morire, e quelli che egli
non aveva veduti, ma uccisi soltanto col comando, la sua fantasia dava loro i
volti e gli atti.
- Via, via, sciocchezze, - diceva: - sono io diventato un ragazzo? domani a
giorno chiaro riderò di me. E se domani a sera costoro mi tornassero in mente?
che dovessi passar sempre la notte così? Diavolo! comincio ad invecchiare:
vorrebb'essere un tristo vivere, e un tristo... morire. Che cosa m'ha detto
quella poveretta? «Oh Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia...»
Che sa mai quella contadina? L'ha inteso dire dal curato e lo ha creduto.
Imposture. Ho sempre detto imposture, e quando aveva proferita questa parola,
bastava... ma adesso non serve... tornano sempre quei pensieri. Sono io quello?
Sono stato tanto tempo un uomo, non ci ho pensato; ho avuto l'animo di farne
tante, tante... Ebbene! ne ho fatte troppe... se non le avessi fatte... in
verità sarebbe meglio. A buon conto l'opera di misericordia sono in tempo di
farla. Poniamo che appena fatto il giorno io entri nella sua stanza: la
poveretta si spaventa; ma io le dirò subito, subito: «vi lascio in libertà, vi
farò condurre a casa». Oh come si cangerà in volto! che cose mi dirà! mi darà
delle benedizioni che mi faranno bene. Voglio badar bene a tutto quello che mi
dirà. e ricordarmene per pensarvi la notte. Oh! sono fanciullaggini... ma a buon
conto io non posso dormire. Ma quando verrà giorno! Che notte eterna! Mi pare
quella notte ch'io passai ad agguatare dietro un angolo quel temerario di
Vercellino che doveva tornare dal festino di corte... Ecco, io stava lì cheto,
cheto; quando sentiva una pesta, guardava fiso, fiso; non era egli, ed io ritto
e cheto nel mio angolo: sento una pedata che mi par quella, sporgo il capo,
guardo, è colui: fuori, addosso col mio stocco: mandò un gemito, e mi cadde
sulle gambe, gli diedi una spinta, e me ne andai... Oh che coraggio aveva
allora! era un uomo! e in un momento sono diventato... che cosa son diventato?
che è accaduto? non son sempre quello? Ecco anche quel Vercellino vorrei non
averlo ammazzato. Se doveva pensare così un giorno, era meglio che avessi
pensato così sempre. Vieni o luce maledetta, ch'io possa uscire da questo
covaccio di triboli, e andare a vedere quella ragazza. Ma devo lasciarla andare?
Vedremo: vedremo come mi sentirò. Se potessi dormire almeno un'ora, forse mi
sveglierei coll'animo di questa mattina!
In questi e simili pensieri passò il Conte del Sagrato quasi tutta la notte;
finalmente, non essendo il giorno lontano, la stanchezza lo vinse, e si assopì.
Ma i pensieri che avevano riempiuta la sua veglia, trasmutati ora alquanto e
rivestiti di forme più strane e più terribili lo accompagnarono nel sonno. Era
già levato il sole, e il Conte stava affannoso sotto il giogo di quei sogni
rammentatori, quando a poco a poco egli cominciò a risentirsi scosso come e
quasi chiamato da un romore monotono, continuo, insolito: stette alquanto tra il
sonno e la veglia, e finalmente tutto desto, e gettato un gran sospiro,
riconobbe un suono festoso di campane, e pensò che potesse essere, né gli
sovvenne di cosa che potesse essere allora cagione di festa. Si alzò, si vestì
rapidamente, e prima d'andare alla stanza di Lucia (che la risoluzione gliene
era rimasta) si fece alla finestra della sua stanza che dominava il pendio,
prima rapido, poi più lento e quasi piano fino al lago; e qua e là villaggi
sparsi, e case solitarie. Guardò intorno, e vide contadini e contadine in abito
da festa per tutti i viottoli avviarsi verso la strada che conduceva al
Milanese; altri uscire dalle porte, e parlarsi quelli che s'incontravano in aria
di premura e di festa. - Che diavolo hanno in corpo costoro? - diss'egli fra sè,
e tosto chiamato uno de' suoi fidati, domandò la cagione di quel movimento e di
quel concorso; e intese che s'era risaputo la sera antecedente che il Cardinale
Federigo Borromeo arcivescovo di Milano era giunto improvvisamente a Lecco per
visitare le parrocchie di quei contorni; che quella mattina doveva trovarsi ad
una chiesa (che nominò, ed era alla metà della via, distante circa due miglia
dal castello) e che tutti accorrevano a vedere quell'uomo il quale dovunque si
portasse attraeva sempre folla.
Il Conte congedò con un cenno del capo il fidato, e rimase ancora un momento
alla finestra a guardare, dicendo fra sè: - Come sono contenti costoro! E
perché? Perché è arrivato un uomo che si porrà un bell'abito, e darà loro delle
parole, e alzerà le mani tagliando l'aria in croce. Oh! come saltano: sembrano
cavriuoli: eh! avranno forse..., certo, dormito meglio di me! Tanto contenta
questa canaglia... ed io... Voglio andare anch'io; voglio veder quest'uomo, che
li fa esser tanto vogliosi, tanto contenti. Andrò, andrò. Voglio parlargli;
voglio un po' sentire se ha qualche cosa anche per me! vedere quel volto,
sentire queste sue parole che fanno sparire le afflizioni. Voglio vedere se ha
ancora quegli occhj che hanno fatto abbassare i miei... cospetto... cinquant'anni
sono. Era uno strano giovanetto! E ora che sarà? ne dicono tante cose! Oh sarà
peggio d'allora certamente! Ma che ho io paura di brutti musi? Io andare da lui:
a che fare? che dirgli? Certo mi mostrerà due occhj più arrovellati di quel
giorno... Non importa: voglio andare a sentire che parole ha costui, per render
la gente così allegra.
L'occhiata che aveva fatta tanta impressione e lasciato un così profondo marchio
di rimembranza nella mente del Conte era stata data nella occasione che
ricorderemo brevemente. Federigo Borromeo, giovanetto allora di 15 anni si
trovava nella chiesa di Giovanni in Conca nel giorno solenne di quel santo; e
aveva pregato e invitato poscia dai frati s'era posto a sedere nel presbitero e
quivi assisteva pensoso e riverente al rito che si celebrava. Quando una brigata
di giovanetti, di adolescenti delle principali famiglie della città, entrata a
turba nella Chiesa per curiosità, e visto in quel luogo il giovane Federigo, che
sempre con l'esempio, e talvolta con le parole gli faceva vergognare del loro
vivere superbo scioperato molle e violento, s'accordarono di fargli fare una
trista figura, di vendicarsi, e di divertirsi un momento a sue spese. Rotta la
folla s'avvicinarono all'altare, e appostatisi in faccia a Federigo, si diedero
a fare i più strani e beffardi atti del mondo, storcer le bocche, torcere il
collo come chi irride un ipocrita, cacciare un palmo di lingua, sghignazzare. Il
Conte che fu poi del Sagrato era tra essi, anzi queglino erano con lui; perché
egli non era mai stato secondo in nessun luogo, e in nessun fatto. Federigo,
contristato e mosso a pietà ed a sdegno nello stesso tempo, ma non confuso, girò
su quella turba un'occhiata che esprimeva tutti questi affetti con una gravità
tranquilla, ma più potente dell'impeto indisciplinato di quei provocatori;
quindi piegate le ginocchia dinanzi all'altare, pregò per essi, i quali
partirono col miserabile contegno di chi è stato vinto in una impresa in cui il
vincere stesso sarebbe vergognoso.
Torniamo al Conte vecchio: il quale stette in fra due, se doveva prima andare
alla stanza di Lucia. Dopo aver pensato qualche tempo: - no - diss'egli fra sè
-: non la vedrò: non voglio obbligarmi a nulla; voglio venirne all'acqua chiara
con questo Federigo. Potrei lasciarla andare, e pentirmi. Se comincio a fuggire
da uno spauracchio, a desistere da un'impresa, è finita, non son più un uomo.
Parlato che avrò con costui, mi convincerò che sono sciocchezze, e sarò più
forte di prima... o se... costui... mi facesse... cangiare... son sempre a
tempo. Andiamo, sarà quel che sarà.
Chiamò un'altra donna alla quale in presenza del Tanabuso impose che si portasse
sola alla stanza di Lucia, che vedesse che nulla le mancasse, e che sopratutto
ordinasse alla vecchia guardiana di trattarla con dolcezza e con rispetto: e che
nessun uomo ardisse avvicinarsi a quella stanza.
Dato quest'ordine, pensò se dovesse pigliar seco una scorta; e - oh! via, -
disse, - per dei preti e per dei contadini? Vergogna! Se vi sarà alcuno che non
mi conosca non avrà nulla da dirmi: per quelli che mi conoscono...!
Così il Conte solo, ma tutto armato uscì dal castello, scese l'erta e giunse
nella via pubblica, la quale brulicava di viandanti: la turba cresceva ad ogni
istante: a misura che la fama del Cardinale arrivato si diffondeva di terra in
terra, tutti accorrevano. Ma in quella via affollata il Conte camminava solo:
quegli che se lo vedevano arrivare al fianco, s'inchinavano umilmente, e si
scostavano come per rispetto, e allentavano il passo per restargli addietro:
taluno di quelli che lo precedevano, rivolgendosi a caso a guardarsi dietro le
spalle, lo scorgeva, lo annunziava sotto voce ai compagni, e tutti studiavano il
passo, per non trovarglisi in paro. Giunto al villaggio, sulla piazzetta dov'era
la Chiesa, e la casa del Parroco, trovò il Conte una turba dei già arrivati, che
aspettavano il momento in cui il Cardinale entrasse nella Chiesa per celebrare
gli uficj divini. E qui pure tutti quelli a cui si avvicinava, svignavano pian
piano. Il Conte affrontò uno di questi prudenti, in modo che non gli potesse
sfuggire e gli chiese bruscamente come annojato che era di quel troppo rispetto,
dove fosse il Cardinale Borromeo. «È lì nella casa del curato», rispose
riverentemente l'interrogato. Il Conte si avviò alla casa fra la turba, che si
divideva come le acque del Mar Rosso al passaggio degli Ebrei, ed entrò
sicuramente nella casa. Quivi un bisbiglio, una curiosità timida, un'ansia, un
non saper come accoglierlo. Egli, rivolto ad un prete gli disse che voleva
parlare col Cardinale, e chiedeva di essergli tosto annunziato. Il prete che era
del paese, fu contento d'avere una commissione del Conte per allontanarsi da
lui, e riferì l'imbasciata ad un altro prete del seguito del Cardinale. Quegli
si ritirò a consultare coi suoi compagni; e finalmente di mala voglia entrò per
dire a Federigo quale visita si presentava.