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Adelchi


 

 

 

 

 

 

 

Atto Quinto

Longobardi

Desiderio, re

Adelchi, suo figlio, re

Ermengarda, figlia di Desiderio

Ansberga, figlia di Desiderio, badessa

Duchi Longobardi

Baudo, duca di Brescia

Giselberto, duca di Verona

Ildechi

Indolfo

Farvaldo

Ervigo

Guntigi

Longobardi - Scudieri

Vermondo, scudiero di Desiderio

Anfrido, scudiero di Adelchi

Teudi, scudiero di Adelchi

Amri, scudiero di Guntigi

Svarto, soldato

Franchi

Carlo, re

Albino, legato

Conti Franchi

Rutlando

Arvino

Latini

Pietro, legato d'Adriano Papa

Martino, diacono di Ravenna

Duchi, scudieri, soldati longobardi; donzelle, suore del monastero di San Salvatore;
conti e vescovi franchi; un araldo.

 

 

 

ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Palazzo Reale in Verona.
Adelchi, Giselberto duca di Verona.

GISELBERTO

Costretto, o re, dell'oste intera io vengo
A nunziarti il voler: duchi e soldati
Chiedon la resa. A tutti è noto, e indarno
Celar si volle, che Pavia le porte
Al Franco aprì; che il vincitor s'affretta
Sopra Verona; e che pur troppo ei tragge
Captivo il re. Co' figli suoi Gerberga
Già incontro a Carlo uscì, dell'aspro sire
Più ancor fidando nel perdon, che in una
Impotente amistà. Verona attrita
Dal lungo assedio, di guerrier, di scorte
Scema, non forte assai contra il nemico
Che già la strinse, non potrà la foga
Dei sorvegnenti sostener; nè quelli
Che l'han difesa fino ad or, se pochi
Ne traggi, o re, vogliono al rischio starsi
Di pugna impari, e di spietato assalto.
Fin che del fare e del soffrir concesso
era un frutto sperar, fenno e soffriro
Quanto il dover, quanto l'onor chiedea,
Il diero: ai mali che non han più scopo
Chiedono il fine.





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ADELCHI

Esci: la mia risposta
Tra poco avrai.

(Giselberto parte)

 

SCENA SECONDA

[Adelchi solo]

ADELCHI

Va, vivi, invecchia in pace;
Resta un de' primi di tua gente: il merti:
Va, non temer; sarai vassallo: il tempo
È pe' tuoi pari. — Anche il comando udirsi
Intimar de' codardi, e di chi trema
Prender la legge! è troppo. Han risoluto!
Voglion, perché son vili! e minacciosi
Li fa il terror; né soffriran che a questo
Furor di codardia s'opponga alcuno,
Che resti un uom tra loro! — Oh cielo! Il padre
Negli artigli di Carlo! I giorni estremi
Uomo d'altrui vivrà, soggetto al cenno
Di quella man, che non avria voluto
Come amico serrar; mangiando il pane
Di chi l'offese, e l'ebbe a prezzo! E nulla
Via di cavarlo dalla fossa, ov'egli
Rugge tradito e solo, e chiama indarno
Chi salvarlo non può! nulla! — Caduta
Brescia, e il mio Baudo, il generoso, astretto
Anch'ei le porte a spalancar da quelli
Che non voglion morire. Oh più di tutti
Fortunata Ermengarda! Oh giorni! oh casa
Di Desiderio, ove d'invidia è degno
Chi d'affanno morì! — Di fuor costui,
Che arrogante s'avanza, e or or verrammi
Ad intimar che il suo trionfo io compia;
Qui la viltà che gli risponde, ed osa
Pressarmi; — è troppo in una volta! Almeno
Finor, perduta anche la speme, il loco
V'era all'opra; ogni giorno il suo domani,
Ed ogni stretta il suo partito avea.
Ed ora... ed or, se in sen de' vili un core
Io piantar non potei, potranno i vili
Togliere al forte, che da forte ei pera?
Tutti alfin non son vili: udrammi alcuno;
Più d'un compagno troverò, s'io grido:
Usciam costoro ad incontrar; mostriamo
Che non è ver che a tutto i Longobardi
Antepongon la vita; e... se non altro,
Morrem. — Che pensi? Nella tua rovina
Perché quei prodi strascinar? Se nulla
Ti resta a far quaggiù, non puoi tu solo
Morir? No puoi? Sento che l'alma in questo
Pensier riposa alfine: ei mi sorride,
Come l'amico che sul volto reca
Una lieta novella. Uscir di questa
Ignobil calca che mi preme; il riso
Non veder del nemico; e questo peso
D'ira, di dubbio e di pietà, gittarlo!
Tu, brando mio, che del destin altrui
Tante volte hai deciso, e tu, secura
Mano avvezza a trattarlo... e in un momento
Tutto è finito. — Tutto? Ah sciagurato!
Perché menti a te stesso? Il mormorio
Di questi vermi ti stordisce, il solo
Pensier di starti a un vincitor dinanzi
Vince ogni tua virtù; l'ansia di questa
Ora t'affrange, e fa gridarti: è troppo!
E affrontar Dio potresti? e dirgli: io vengo
Senza aspettar che tu mi chiami, il posto
Che m'assegnasti, era difficil troppo
E l'ho deserto! — Empio! fuggire? e intanto,
Per compagnia fino alla tomba, al padre
Lasciar questa memoria; il tuo supremo
Disperato sospir legargli! Al vento,
Empio pensier. — L'animo tuo ripiglia,
Adelchi; uom sii. Che cerchi? In questo istante
D'ogni travaglio il fin tu vuoi: non vedi,
Che in tuo poter non è? — T'offre un asilo
Il greco imperador. Sì, per sua bocca
Te l'offre Iddio: grato l'accetta: il solo
Saggio partito, il solo degno è questo.
Conserva al padre la sua speme: ei possa
Reduce almeno e vincitor sognarti
Infrangitor de' ceppi suoi, non tinto
Del sangue sparso disperando. — E sogno
Forse non fia: da più profondo abisso
Altri già sorse: non fa patti eterni
Con alcun la fortuna: il tempo toglie
E dà: gli amici, il successor li crea.
— Teudi!



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SCENA TERZA

Adelchi, Teudi.

TEUDI

Mio re.

 

ADELCHI

Restano amici ancora
Al re che cade?

 

TEUDI

Sì: color che amici
Eran d'Adelchi.

 

ADELCHI

E che partito han preso?

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TEUDI

L'aspettano da te.

 

ADELCHI

Dove son essi?

 

TEUDI

Qui nel palazzo tuo, lungi dai tristi
A cui sol tarda d'esser vinti appieno.



 

ADELCHI

Tristo, o Teudi, il valor disseminato
Tra la viltà! — Compagni alla mia fuga
Io questi prodi prenderò: null'altro
Far ne poss'io; nulla ei per me far ponno,
Che seguirmi a Bisanzio. Ah! se avvi alcuno
Cui venga in mente un più gentil consiglio,
Per pietà, me lo dia. — Da te, mio Teudi,
Un più coral servigio, un più fidato
Attendo ancor: resta per ora; al padre
Fa che di me questa novella arrivi:
Ch'io son fuggito, ma per lui, ch'io vivo
Per liberarlo un dì; che non disperi.
Vieni, e m'abbraccia: a dì più lieti. — Al duca
Di Verona dirai che non attenda
Ordini più da me. — Sulla tua fede
Riposo, o Teudi.


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TEUDI

Oh! la secondi il cielo.

(escono dalle parti opposte)

 

SCENA QUARTA

Tenda nel campo di Carlo sotto Verona.
Carlo, un Araldo, Arvino, Conti.

CARLO

Vanne, araldo, in Verona; e al duca, a tutti
I suoi guerrier questa parola esponi:
Re Carlo è qui: le porte aprite; egli entra
Grazioso signor; se no, più tarda
L'entrata fia, ma non men certa e i patti
Quali un solo li detta, e inacerbito.

(l'Araldo parte)

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ARVINO

Il vinto re chiede parlarti, o sire.

 

CARLO

Che vuol?

 

ARVINO

Nol disse; ma pietosa istanza
Egli ne fea.



 

CARLO

Venga.

(Arvino parte)

Vediam colui
Che destinata a un' altra fronte avea
La corona di Carlo.

(ai Conti)

Ite: alle mura
La custodia addoppiate; ad ogni sbocco
Si vegli in arme: e che nessun mi sfugga.



 

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SCENA QUINTA

Carlo, Desiderio.

CARLO

A che vieni, infelice? E che parola
Correr puote tra noi? Decisa il cielo
Ha la nostra contesa; e più non resta
Di che garrir. Triste querele e pianto
Sparger dinanzi al vincitor, disdice
A chi fu re, né a me con detti acerbi
L'odio antico appagar lice, né questo
Gaudio superbo che in mio cor s'eleva,
Ostentarti sul volto, onde sdegnato
Dio non si penta, e alla vittoria in mezzo
Non m'abbandoni ancor. Né, certo, un vano
Da me conforto di parole attendi.
Che ti direi? ciò che t'accora, è gioia
Per me; né lamentar posso un destino,
Ch'io non voglio mutar. Tal de mortale
È la sorte quaggiù: quando alle prese
Son due di lor, forza è che l'un piangendo
Esca del campo. Tu vivrai; null'altro
Dono ha Carlo per te.



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DESIDERIO

Re del mio regno,
Persecutor del sangue mio, qual dono
Ai re caduti sia la vita, il sai?
E pensi tu, ch'io vinto, io nella polve,
Di gioia anco una volta inebbriarmi
Non potrei? del velen che il cor m'affoga,
Il tuo trionfo amareggiar? parole
Dirti di cui ti sovverresti, e in parte
Vendicato morir? Ma in te del cielo
Io la vendetta adoro, e innanzi a cui
Dio m'inchinò, m'inchino: a supplicarti
Vengo; e m'udrai; ché degli afflitti il prego
E giudizio di sangue a chi lo sdegna.





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CARLO

Parla.

 

DESIDERIO

In difesa d'Adrian, tu il brando
Contro di me traesti?



 

CARLO

A che domandi
Quello che sai?

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DESIDERIO

Sappi tu ancor che solo
Io nemico gli fui, che Adelchi — e m'ode
Quel Dio che è presso ai travagliati — Adelchi
Al mio furor preghi, consigli, ed anche,
Quanto è concesso a pio figliuol, rampogne
Mai sempre oppose: indarno!





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CARLO

Ebben?

 

DESIDERIO

Compiuta
È la tua impresa: non ha più nemici
Il tuo Romano: intera, e tal che basti
Al cor più fiacco ed iracondo, ei gode
La sicurezza e la vendetta. A questo
Tu scendevi, e l'hai detto: allor tu stesso
Segnasti il termin dell'offesa. Ell'era
Causa di Dio, dicevi. È vinta; e nulla
Più ti domanda Iddio.





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CARLO

Tu legge imponi
Al vincitor?



 

DESIDERIO

Legge? Oh! ne' detti miei
Non ti fingere orgoglio, onde sdegnarli.
O Carlo, il ciel molto ti diè: ti vedi
Il nemico ai ginocchi, e dal suo labbro
Odi il prego sommesso e la lusinga;
Nel suolo ov'ei ti combattea, tu regni.
Ah! non voler di più: pensa che abborre
Gli smisurati desidèri il cielo.

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CARLO

Cessa

 

DESIDERIO

Ah! m'ascolta: un dì tu ancor potresti
Assaggiar la sventura, e d'un amico
Pensier che ti conforti, aver bisogno;
E allor gioconda ti verrebbe in mente
Di questo giorno la pietà. Rammenta
Che innanzi al trono dell'Eterno un giorno
Aspetterai tremando una risposta,
O di mercede o di rigor, com'io
Dal tuo labbro or l'aspetto. Ahi! già venduto
Il mio figlio t'è forse! Oh! se quell'alto
Spirto indomito, ardente, consumarsi
Deve in catene!... Ah no! pensa che reo
Di nulla egli è; difese il padre: or questo
Gli è tolto ancor. Che puoi temer? Per noi
Non c'è brando che fera: a te vassalli
Son quei che il furo a noi: da lor tradito
Tu non sarai: tutto è leale al forte.
Italia è tua; reggila in pace: un rege
Prigion ti basti; a stranio suol consenti
Che il figliuol mio



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CARLO

Non più: cosa mi chiedi
Tu! che da me non otterria Bertrada.



 

DESIDERIO

— Io ti pregava! io, che per certo a prova
Conoscerti dovea! Nega; sul tuo
Capo il tesor della vendetta addensa.
Ti fe' l'inganno vincitor; superbo
La vittoria ti faccia e dispietato.
Calca i prostati, e sali; a Dio rincresci...


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CARLO

Taci, tu che sei vinto. E che? pur ieri
La mia morte sognavi, e grazie or chiedi,
Qual converria, se, nella facil ora
Di colloquio ospital, lieto io sorgessi
Dalla tua mensa! E perché amica e pari
Non sonò la risposta al tuo desio,
Anco mi vieni a imperversar d'intorno
Come il mendico che un rifiuto ascolta!
Ma quel che a me tu preparav i— Adelchi
Era allor teco — non ne parli: or io
Ne parlerò. Da me fuggìa Gerberga,
Da me cognato, e seco i figli, i figli
Del mio fratel traea, di strida empiendo
Il suo passaggio, come augel che i nati
Trafuga all'ugna di sparvier. Mentito
Era il terror: vero soltanto il cruccio
Di non regnar; ma obbrobriosa intanto
Me una fama pingea quasi un immane
Vorator di fanciulli, un parricida.
Io soffriva, e tacea. Voi premurosi
La sconsigliata raccettaste, ed eco
Feste a quel suo garrito. Ospiti voi
De' nipoti di Carlo! Difensori
Voi del mio sangue, contro me! Tornata
Or finalmente è, se nol sai, Gerberga
A cui fuggir mai non doveva; a questo
Tutor tremendo i figli adduce, e fida
Le care vite a questa man. Ma voi,
Altro che vita, un più superbo dono
Destinavate a' miei nipoti. Al santo
Pastor chiedeste, e non fu inerme il prego,
Che sulle chiome de' fanciulli, al peso
Non pur dell'elmo avvezze, ei, da spergiuro,
L'olio versasse del Signor. Sceglieste
Un pugnal, l'affilaste, e al più diletto
Amico mio por lo voleste in pugno,
Perch'egli in cor me lo piantasse. E quando
Io, tra 'l Vèsero infido e la selvaggia
Elba, i nemici a debellar del cielo
Mi sarei travagliato, in Francia voi
Correre, insegna contro insegna, e crisma
Contro crisma levar, perfidi! e pormi
In un letto di spine, il più giocondo
De' vostri sogni era codesto. Al cielo
Parve altrimenti. Voi tempraste al mio
Labbro un calice amaro; ei v'è rimasto:
Votatelo. Di Dio tu mi favelli;
S'io nol temessi, il rio che tanto ardia
Pensi che in Francia il condurrei captivo?
Cogli or il fior che hai coltivato, e taci.
Insausta di ciance è la sventura;
Ma del par sofferente e infaticato
Non è l'offeso vincitor l'orecchio.

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SCENA SESTA

Carlo, Desiderio, Arvino.

ARVINO

Viva re Carlo! Al cenno tuo, dai valli
Calan le insegne: strepitando a terra
Van le sbarre nemiche; ai claustri aperti
Ognun s'affolla, ed all'omaggio accorre.



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DESIDERIO

Ahi dolente, che ascolto! e che mi resta
Ad ascoltar!

 

CARLO

Né si sottrasse alcuno?

 

ARVINO

Nessuno, o re: pochi il tentar, ma invano.
Sorpresi nella fuga, d'ogni parte
Cinti, pugnar fino all'estremo; e tutti
Restar sul campo, quale estinto, e quale
Ferito a morte.


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CARLO

E son?

 

ARVINO

Tale è presente
A cui troppo dorrà, se tutto io dico.

 

DESIDERIO

Nunzio di morte, tu l'hai detto.

 

CARLO

Adelchi
Dunque perì?

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DESIDERIO

(ad Arvino)

Parla, o crudele, al padre.



 

ARVINO

La luce ei vede, ma per poco, offeso
D'immendicabil colpo. Il padre ei chiede,
E te pur anche, o sire.




 

DESIDERIO

E questo ancora
Mi negherai?



 

CARLO

No, sventurato. — Arvino,
Fa ch'ei sia tratto a questa tenda; e digli
Che non ha più nemici.

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SCENA SETTIMA

Carlo, Desiderio.

DESIDERIO

Oh! come grave
Sei tu discesa sul mio capo antico
Mano di Dio! Qual mi ritorni il figlio!
Figlio, mia sola gloria, io qui mi struggo,
E tremo di vederti. Io del tuo corpo
Mirerò la ferita? io che dovea
Esser pianto da te! Misero! io solo
Ti trassi a ciò: cieco amator, per farti
Più bello il soglio, io ti scavai la tomba!
Se ancor, tra il canto de' guerrier, caduto
Fossi in un giorno di vittoria! o chiusi,
Tra il singulto de' tuoi, tra il riverente
Dolor de' fidi, sul real tuo letto,
Gli occhi io t'avessi..... ah! saria stato ancora
Ineffabil cordoglio! Ed or morrai
Non re, deserto, al tuo nemico in mano,
Senza lamenti che del padre, e sparsi
Innanzi ad uom che in ascoltarli esulta.




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CARLO

Veglio, t'inganna il tuo dolor. Pensoso,
Non esultante, d'un gagliardo il fato
Io contemplo, e d'un re. Nemico io fui
D'Adelchi; egli era il mio, né tal, che in questo
Novello seggio io riposar potessi,
Lui vivo, e fuor delle mie mani. Or egli
Stassi in quelle di Dio: quivi non giunge
La nimistà d'un pio.

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DESIDERIO

Dono funesto
La tua pietà, s'ella giammai non scende,
Che sui caduti senza speme in fondo
Se allor soltanto il braccio tuo rattieni,
Che più loco non trovi alle ferite.




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SCENA OTTAVA

Carlo, Desiderio, Adelchi ferito e portato.

DESIDERIO

Ahi, figlio!

 

ADELCHI

O padre, io ti rivedo! Appressa;
Tocca la mano del tuo figlio.



 

DESIDERIO

Orrendo
M'è il vederti così.

 

ADELCHI

Molti sul campo
Cadder così per la mia mano.



 

DESIDERIO

Ahi, dunque
Insanabile, o caro, è questa piaga?

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ADELCHI

Insanabile.

 

DESIDERIO

Ahi lasso! ahi guerra atroce!
Io crudel che la volli; io che t'uccido!



 

ADELCHI

Non tu, né questi, ma il Signor d'entrambi.

 

DESIDERIO

Oh desiato da quest'occhi, oh quanto
Lunge da te soffersi! Ed un pensiero
Fra tante anbasce ni reggea, la speme
Di narrartele un giorno, in una fida
Ora di pace.

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ADELCHI

Ora per me di pace,
Credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto
Te dal dolor quaggiù non lasci.


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DESIDERIO

Oh fronte
Balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio
Che spiravi terror!




 

ADELCHI

Cessa i lamenti
Cessa, o padre, per Dio! Non era questo
Il tempo di morir? Ma tu, che preso
Vivrai, vissuto nella reggia, ascolta.
Gran segreto è la vita, e nel comprende
Che l'ora estrema. Ti fu tolto un regno:
Deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa
Ora tu stesso appresserai, giocondi
Si schiereranno al tuo pensier dinanzi
Gli anni in cui re non sarai stato, in cui
Né una lagrima pur notata in cielo
Fia contra te, né il nome tuo saravvi
Con l'imprecar de' tribolati asceso.
Godi che re non sei, godi che chiusa
All'oprar t'è ogni via: loco a gentile
Ad innocente opra non v'è: non resta
Che far torto, o patirlo. Una feroce
Forza il mondo possiede, e fa nomarsi
Dritto; la man degli avi insanguinata
Seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno
Coltivata col sangue, e omai la terra
Altra messe non dà. Reggere iniqui
Dolce non è; tu l'hai provato: e fosse;
Non dee finir così? Questo felice
Cui la mia morte fa più fermo il soglio
Cui tutto arride, tutto plaude e serve,
Questo è un uom che morrà.



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DESIDERIO

Ma ch'io ti perdo,
Figlio, di ciò chi mi consola?

 

ADELCHI

Il Dio
Che di tutto consola.

(si volge a Carlo)

E tu, superbo
Nemico mio

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CARLO

Con questo nome, Adelchi
Più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe
Empia e villana è nimistà; né tale
Credilo, in cor cape di Carlo.





 

ADELCHI

E amico
Il mio parlar sarà, supplice, e schivo
D'ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo
Per cui ti prego, e la morente mano
Ripongo nella tua. Che tanta preda
Tu lasci in libertà questo io non chiedo
Ché vano, il veggo, il mio pregar saria,
Vano il pregar d'ogni mortale. Immoto
È il senno tuo; né a questo segno arriva
Il tuo perdon. Quel che negar non puoi
Senza esser crudo, io ti domando. Mite,
Quant'esser può, scevra d'insulto sia
La prigionia di questo antico, e quale
La imploreresti al padre tuo, se il cielo
Al dolor di lasciarlo in forza altrui
Ti destinava. Il venerabil capo
D'ogni oltraggio difendi: i forti contro
I caduti, son molti; e la crudele
Vista ei non deve sopportar d'alcuno
Che vassallo il tradì.

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CARLO

Porta all'avello
Questa lieta certezza: Adelchi, il cielo
Testimonio mi sia; la tua preghiera
È parola di Carlo.


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ADELCHI

Il tuo nemico
Prega per te, morendo.



 

SCENA NONA

Arvino, Carlo, Desiderio, Adelchi.

ARVINO

Impazienti,
Invitto re, chiedon guerrieri e duchi
D'essere ammessi.




 

ADELCHI

Carlo!

 

CARLO

Alcun non osi
Avvicinarsi a questa tenda. Adelchi
È signor qui. Solo d'Adelchi il padre
E il pio ministro del perdon divino
Han qui l'accesso.

(parte con Arvino)

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SCENA DECIMA

Desiderio, Adelchi.

DESIDERIO

Ahi, mio diletto!

 

ADELCHI

O padre
Fugge la luce da quest'occhi.



 

DESIDERIO

Adelchi,
No, non lasciarmi!

400

 

ADELCHI

O Re de' re tradito
Da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!...
Vengo alla pace tua: l'anima stanca
Accogli.





 

DESIDERIO

Ei t'ode: oh ciel! tu manchi! ed io...
In servitude a piangerti rimango.


405

 

FINE