Storia

La situazione socio-politica mondiale dal 1950 al 1969





Introduzione
Il mondo bipolare
L'Europa e il piano Marshall
I paesi non allineati e la decolonizzazione del terzo mondo
Il caso dell'America latina
Il Cile di Allende, il Cile di Pinochet
Cuba, da Batista a Castro, alla crisi missilistica
L'Argentina di Peròn
Il caso dell'Asia
La Cina di Mao Tse Tung
La guerra di Corea
USA e URSS nei primi anni '60
Il Vietnam
Il mondo del '68



Nel 1946 il Giappone firmava la resa e l'America vinceva la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, veri vincitori non ce ne erano: era stato un conflitto assurdo, sanguinoso e feroce che aveva portato la morte di milioni di soldati e civili. Ma era stato un conflitto che aveva fatto conoscere all'uomo l'immensa capacità distruttiva che egli aveva: era stata la guerra dell'asse Roma-Berlino, del nazifascismo, delle deportazioni ebree, dei massacri nei campi di sterminio, dei gulag sovietici, degli estremismi, della pazzia, della bomba atomica.

Il mondo uscì dalla guerra come un pugile frastornato dai troppi colpi, ancora completamente inabile a ricominciare da capo ma con il dovere di ricostruire i danni subiti. Nel 1946, tra luglio ed ottobre, si tenne a Parigi la conferenza di pace che decideva la nuova sistemazione politica dell'Europa.

L'Europa orientale venne lasciata sotto il controllo delle truppe sovietiche che l'avevano liberata mentre la zona occidentale venne posta sotto l'influenza degli USA. la Germania rimase il nodo fondamentale del dibattito; la questione venne risolta con lo smembramento della nazione in due territori, la Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest) sotto l'influenza americana, e la Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est) sotto il controllo sovietico. La città di Berlino, all'interno della Repubblica Democratica aveva la zona occidentale appartenente alla Repubblica Federale.

 

Il mondo bipolare

Nell'immediato dopoguerra fu evidente che l'Europa, da oltre 5 secoli guida assoluta del destino del mondo, non avesse più le forze per continuare a svolgere il suo compito, visti i crolli della Germania e dell'Italia, i disgregamenti degli imperi coloniali britannici e francesi e le dittature fasciste in Spagna e in Portogallo (Franco nella prima, Salazar nel secondo).

Toccava dunque a USA e URSS il compito di guidare il destino del mondo.

Gli USA erano l'unica nazione uscita rafforzata dal conflitto, con due terzi delle riserve auree mondiali ed una moneta, il dollaro, considerata sicura quanto l'oro. Non avevano subito né invasioni né attacchi e le loro industrie avevano continuato a lavorare ininterrottamente durante tutto il conflitto. Inoltre, militarmente disponevano di una forza bellica imponente e di tecnologie avanzatissime (come la tristemente nota bomba atomica).

Gli URSS avevano accresciuto notevolmente il proprio prestigio dopo la guerra, grazie all'intervento della Armata Rossa, e molti guardavano al comunismo come una speranza realizzabile, una scelta politica positiva e giusta. Al confronto con gli USA, tuttavia, non potevano competere né in campo economico (il territorio russo era stato completamente devastato dalle orde naziste) né in campo militare (non disponevano ancora di armamenti atomici).

La frattura fra i due mondi riguardava anche il piano politico-economico: da un lato gli USA, con la loro esaltazione della democrazia parlamentare, con il sistema capitalista della libera formazione di domanda e offerta, con l'esaltazione della proprietà privata e del consumismo, dall'altro lato gli URSS e il sistema collettivista, in cui non esiste proprietà privata e tutto è incentrato nelle mani dello Stato, arbitro assoluto (e dittatore) che gestiva rapporti economici del tutto differenti.

L'Italia conosceva in quel periodo le foibe. Il termine indica le profonde cavità carsiche in cui gli iugoslavi gettavano vive le persone ritenute fasciste (ma non solo, vennero uccisi anche antifascisti e italiani in genere) come segno di vendetta delle atroci operazioni di Mussolini. Il fronte giuliano-iugoslavo fu un punto "caldo" dell'immediato dopoguerra.

La guerra fredda, tra USA e URSS fu dunque una serie di eventi che trasportarono il mondo in una tensione continua, un continuo terrore di un terzo conflitto che, viste le conclusioni del secondo, avrebbe portato conseguenze inimmaginabili. Essa veniva giustificata soprattutto da motivi diplomatico-militari. Gli USA diffidavano dell'URSS in quanto notavano nei suoi movimenti un atteggiamento aggressivo, visto l'espandersi politico in seguito alla fine della guerra, la forza militare dell'Armata Rossa, le vittorie politiche del comunismo di Mao Tse-Tung in Cina (1949) e il progressivo rafforzarsi dei partiti comunisti in Italia e Francia. Gli URSS, invece, non vedevano di buon occhio le azioni americane, accusati di aggressività e l'interpretazione sovietica delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki non prevedeva che esse fossero state utilizzate solo a scopi di accorciamento della guerra ma anche, e soprattutto, per "spaventare" l'URSS che si sentiva quindi giustificata a parlare di una convivenza fondata sull'affermazione della supremazia militare.

L'URSS ordinò ai suoi Stati satelliti la chiusura delle frontiere e di qualunque rapporto commerciale coi Paesi occidentali. I confini vennero chiusi e presidiati dall'esercito con filo spinato. Nasceva il "sipario di ferro" che divideva l'Europa in due blocchi contrapposti, il blocco occidentale che faceva capo agli USA e che diedero vita, nel 1949, alla NATO e il blocco comunista, facente capo all'URSS, che diede vita al Patto di Varsavia. Alla NATO aderirono tutti i Paesi occidentali, gli USA e il Canada. Del blocco non comunista solo una nazione non ne fece parte, la Jugoslavia di Tito.

USA e URSS continuarono a mantenere sempre mobilitati i loro rispettivi, potentissimi, eserciti continuando, intanto, nella ricerca di nuove tecnologie militari sempre più potenti (corsa agli armamenti).

Churchill utilizzò per la prima volta l'espressione "sipario di ferro" e Harry Truman, neo-presidente americano, eletto nel 1945 in seguito alla morte di Roosvelt, riutlizzò l'espressione per indicare la netta divisione fra "il mondo libero e il mondo totalitario". Iniziava così la guerra fredda, né vera guerra né vera pace, che fino alla morte di Stalin (1953) sarebbe stata l'unica forma di relazione tra USA e URSS.




 
L'Europa e il piano Marshall

Come già detto, gli USA erano l'unica nazione uscita rafforzata dalla guerra. Essa adottava il sistema capitalista che permetteva la spontanea formazione di domanda e la conseguente libera formazione di offerta. Al fine di commerciare, investire con Paesi esteri (e avere libero accesso alle loro materie prime) era necessario che tali Paesi fossero liberi da dogane e dazi. Gli USA individuarono nell'Europa il territorio ideale e si mosse affinché essa potesse ricostruirsi il più velocemente possibile.

A tal proposito venne varato il piano Marshall, dal nome del segretario generale americano che lo ideò. Tale piano era l'intento americano di rendere i Paesi europei partecipi nella politica estera americana. Gli ideali di tale piano erano l'aumento della produzione rispetto al 1938, la realizzazione della stabilità finanziaria interna, l'espansione delle esportazioni al fine di una riduzione del deficit commerciale che i Paesi avevano contratto. Aderirono a questo patto tutti i Paesi europei tranne quelli controllati dal blocco comunista. La logica conseguenza fu una ricostruzione accelerata ed un miglioramento netto dell'economia dei Paesi dilaniati dalla guerra (ne giovarono soprattutto Italia e Germania).

 


I Paesi non allineati e la decolonizzazione del terzo mondo


La guerra aveva fortemente indebolito i Paesi storicamente coloniali, soprattutto Inghilterra e Francia. La prima si rese immediatamente conto dell'impossibilità di mantenere con le proprie forze il controllo di territori così lontani e così abbandonò più o meno spontaneamente tali territori, concedendo l'indipendenza in cambio della garanzia di buoni rapporti commerciali.

Il governo francese, come altri come l'Olanda, si oppose sempre duramente all'indipendenza delle colonie e così si giunse alla lotta armata praticamente in tutti i territori. Fu così che ottennero l'indipendenza il Kenya (1963), lo Zaire (1960), il Libano e la Siria (1946), la Tunisia e il Marocco (1956), il Madagascar (1960). Per quanto riguarda l'Algeria, dal 1954 si ebbe una vera e propria guerra tra ribelli ed esercito francese.

La diversa via percorsa per ottenere l'indipendenza influenzò notevolmente la scelta politica che i nuovi Stati dovevano affrontare. I Paesi resi indipendenti dall'alto si improntarono verso un'alleanza con gli USA mentre i Paesi liberatisi mediante lotte armate scelsero l'URSS. I nuovi Stati, non essendo inseriti in nessuno dei due blocchi, vennero definiti comunemente come "Terzo Mondo". Essi, in una conferenza tenutasi a Bandung in Indonesia nel 1955, scelsero il "non-allineamento", una decisione politica che comprendeva 29 Stati afroasiatici che avevano optato per una condanna al colonialismo, alla discriminazione razziale e agli armamenti atomici. La formazione dei Paesi non-allineati giovò molto al processo di distensione fra le due superpotenze.

 

Il caso dell'America latina
 

Si è visto dunque come l'espressione "Terzo mondo" comprenda sia Paesi nati da un processo di decolonizzazione sia da Paesi accomunati da situazioni sociali, economiche e politiche uguali (arretratezza economica, continua instabilità politica, disparità di redito tra le varie classi, emigrazione dalle campagne verso le periferie, scarsa spinta industriale) sia, infine, Paesi aderenti al non-allineamento.
L'America latina può dunque essere inserita nel Terzo mondo solo considerando i fattori comuni a gran parte degli Stati di quella zona.
L'agricoltura dominava in tutti quei Paesi; solo Argentina e Brasile disponevano di un modesto settore industriale ma erano dilaniate da piaghe interne sociali rappresentate soprattutto da un sottoproletariato urbano trasferitosi dalle campagne nelle cosiddette favelas o bidonvilles estremamente povero. Una spinta industriale poteva provenire solo dallo Stato.

Gli Stati sudamericani, nell'immediato dopoguerra, erano teatro di un'endemica instabilità politica che continuamente minava la democrazia esistente. I colpi di Stato che nacquero furono numerosi e violentissimi. Alcuni di essi generarono dittature lunghissime, come nel caso della Repubblica dominicana della famiglia Trujillo, del Nicaragua della famiglia Somoza, del generale Stroessner in Paraguay. Altre volte i golpe hanno stroncato sul nascere ogni tentativo di rinnovamento socio-economico come per il governo Arbenz in Guatemala e per quello di Getulio Vargas in Brasile. Proprio in Brasile, liberatosi nel 54 del dittatore, si instaurò il governo legittimo del democratico Gulart rovesciato, nel 1964, dal generale Castel Branco, appoggiato direttamente dagli USA. Questa situazione fu purtroppo frequente. Infatti, le due superpotenze seguivano sempre con interesse la nascita di questi nuovi governi che risentivano comunque degli effetti della guerra fredda. La stabilità politica di quei Paesi venne dunque ulteriormente minata dalla lotta consumismo-comunismo. Fu proprio per questo che spesso gli USA dovettero intervenire militarmente come fecero nel 1965, quando i marines americani sbarcarono a Santo Domingo per rovesciare il governo radicale nazionalista di Juan Bosch (non solo in Sud america, si ricordi Vietnam e Corea, più o meno dello stesso periodo, fino ad arrivare ai moderni Afghanistan e Iraq).  Le influenze americane arrivarono anche in Cile e Cuba. Casi del tutto particolari sono rappresentati, dunque, dal Cile da Cuba, soprattutto, e anche dall'Argentina.



Il Cile di Allende, il Cile di Pinochet


Il Cile della prima metà del secolo vide un lungo alternarsi al potere di destra e sinistra. Negli anni Sessanta si era riusciti finalmente ad avere, con Eduardo Frei, una certa stabilità politica, fatta di riforme agrarie, sanitarie, scolastiche, sociali. Tali iniziative misero in crisi i privilegi delle classi d'èlite e ed erano malviste dalla sinistra oltranzista. Nelle elezioni del 1970 vinse così il marxista Salvador Allende con una coalizione formata da socialisti, comunisti ed estremisti. Allende introdusse riforme radicali nel campo dell'economia, avviando un processo di statalizzazione molte imprese. Il Paese precipitò nel caos. Inoltre, il tentativo di instaurare il socialismo e l'alleanza con la Cuba di Castro creò forti tensioni in politica estera con gli USA.

L'epilogo del tentativo di Allende fu il golpe del generale Pinochet, l'11 settembre del 1973. la versione ufficiale dette Allende per morto durante il golpe. Nei giorni successivi ben tremila persone vennero arrestate, torturate, uccise, fatte sparire e si instaurò una dittatura lunghissima (conclusasi solo nel 1989) ed estremamente sanguinosa.

Col tempo, si sono rafforzate le voci che davano la CIA direttamente coinvolta nel caso Allende, visto che gli Stati Uniti avevano lungamente esercitato pressioni sulle organizzazioni economiche internazionali affinché sospendessero il credito e, contemporaneamente, offrirono sostegno economico agli oppositori di Allende, sostentando l'intervento di Pinochet.



Cuba, da Batista, a Castro alla crisi missilistica

La posizione geografica di Cuba è estremamente importante, in quanto si posiziona in una zona, all'interno del Golfo del Messico, estremamente vicino ai confini americani. In quella zona, l'influenza americana era indiscussa da decenni, tanto da sfiorare la sovranità assoluta. Nel 1940, grazie al consenso popolare, il Paese fu sotto il controllo diretto del dittatore Fulgencio Batista, il quale fece di Cuba la principale nazione fornitrice di zucchero per gli Stati Uniti. Dopo sei anni di guerriglia, nel 1959, fu Fidel Castro, aiutato anche da rivoluzionari come Ernesto "Che" Guevara, a scalzarlo dal potere impostando un regime socialista, togliendo terreni ai latifondisti americani per ridistribuirli ai contadini e nazionalizzando le raffinerie americane. La reazione americana fu immediata e gli USA posero il boicottaggio sullo zucchero cubano al fine di rovinarne l'economia. Il 17 aprile 1961, gli americani favorirono un'invasione di soldati anticastristi nella tristemente nota Baia dei Porci. Il tentativo fallì immediatamente: in 72 ore, le truppe di Castro, aiutate dalla popolazione, fecero più di mille prigionieri.

Dopo la Baia dei Porci, i rapporti diplomatici tra Cuba e gli Stati Uniti divennero impossibili e Castro accettò la protezione dell'Unione Sovietica. Immediatamente (1962) l'URSS iniziò l'installazione di basi missilistiche all'interno del territorio cubano. La crisi che ne derivò generò la tensione più angosciante di tutta la guerra fredda. Gli Stati Uniti ordinarono un blocco navale intorno a Cuba, con l'ordine di aprire il fuoco sulle navi sovietiche che trasportavano missili. Nei tredici giorni che seguirono la proclamazione del blocco, il mondo visse nel terrore di uno scoppio di un conflitto nucleare. Il 27 ottobre le navi americane e sovietiche entrarono in stato d'allarme e mai si andò tanto vicino allo scoppio di una guerra. Se le navi sovietiche avessero forzato il blocco sarebbe stata la guerra. L'URSS, invece, optò per l'accettazione delle richieste degli USA. Il 28 ottobre 1962 le navi sovietiche invertirono la rotta e le rampe missilistiche furono smantellate in cambio della promessa che gli USA non avrebbero attaccato Castro.

Dopo la Crisi di Cuba, come è stata definita, i rapporti tra le due superpotenze iniziarono ad avviarsi verso la distensione.




L'Argentina di Peròn

L'Argentina, tra il 1946 e il 1955, vide saldamente al potere il colonnello Juan Domingo Peròn (1895-1974). Il suo potere fu instaurato su indirizzi abbastanza ibridi, tanto da non poter essere definito né dittatoriale né democratico. Erano evidenti certe reminiscenze fasciste (primato politico dei militari, solidarietà tra le classi) ma è anche vero che Peròn avviò un fruttuoso processo di industrializzazione in Argentina. In breve il PAese venne modernizzato e ottenne modesti successi nell'industria leggera.

Il suo potere era consolidato da un vasto consenso popolare, accresciuto dall'aumento dei benefici salariali e sociali per le classi operaie, dal fascino esercitato dalla sua persona e, soprattutto, dalla vasta popolarità della moglie Evita, morta prematuramente nel 1952.

Nel 1955, un colpo di Stato del generale Aramburu lo depose ed egli fuggì in esilio in Spagna. Il perònismo rimase, tuttavia, un movimento molto sentito nel Paese tanto che egli ritornò al potere nel 1973 dopo aver spiazzato gli avversari nella campagna elettorale. Il nuovo potere, con al fianco la seconda moglie Isabelita, fu solo un ultimo sussulto. Si concluse definitivamente nel 1974 con la sua morte.




Il caso dell'Asia

L'Asia del ventennio 1950/1970 è una delle aree più "calde" del mondo. È qui, infatti, che si assiste alla nascita della Repubblica Popolare Cinese, copia asiatica dell'URSS alla guerra di Corea e, soprattutto, alla guerra in Vietnam




La Cina di Mao-Tse-Tung

Alla fine della Seconda guerra mondiale la Cina era spaccata in due: da una parte c'erano i comunisti di Mao, con un esercito di 900000 uomini e appoggiati dai contadini e dalle classi rurali, blandamente appoggiati dall'URSS; dall'altro c'era i nazionalisti del Kuomintang di Chiang Kai shek, con un esercito di 3 milioni di uomini, appoggiato dagli affaristi, dai borghesi e dalle classi d'èlite arrichitesi sfruttando brutalmente il lavoro dei contadini. I due gruppi, prima uniti nella resistenza all'invasione giapponese in Manciuria, si trovarono avversarie quando le truppe del Kuomintang, nel 1946, attaccarono le roccaforti comuniste, sostentate anche dagli aiuti economici degli USA.

Nonostante la differenza enorme tra i due gruppi, la vittoria di Mao fu netta, in quanto sempre di più i cinesi iniziarono ad odiare i nazionalisti e i loro modi brutali. Tra il 1948 e il 1949 i successi furono innumerevoli, le grandi città vennero una ad una conquistate e Mao, il 1° ottobre 1949, proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, dopo aver esiliato Chiang Kai shek.

La nuova Cina adottò il modello sovietico che incentrava nelle mani del partito tutto il potere. Col passare del tempo, i comunisti annullarono ogni forma di libertà e statalizzarono tutte le imprese cinesi. Estorsero migliaia di ettari di terreno ai proprietari terrieri e li ridistribuirono ai contadini. Avviarono anche un modesto processo di industrializzazione. In breve, Mao, neo presidente della Repubblica Popolare Cinese, costruì intorno a sé lo stesso culto della personalità che Stalin aveva creato in URSS.




La guerra di Corea

La Corea, dopo la seconda guerra mondiale, venne divisa un due regioni, Corea del nord e Corea del Sud. Il confine tra i due Stati venne fissato lungo il 38° parallelo.

A nord si installò un regime comunista, simile a quello di Mao, guidato da Kim Il Sung. A sud, invece, si instaurò un regime simile a quello di Chiang Kai shek, corrotto e nazionalista, fortemente appoggiato dagli USA, guidato da Syngman Rhee. I contrasti tra i due contingenti divennero insostenibili, così il 25 giugno 1950 le truppe comuniste di Kim Il Sung invasero il 38° parallelo, avanzando fino a minacciare Seoul.

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU condannò l'intervento nordcoreano e creò un comando militare composto da esponenti dei Paesi membri (in realtà, era per la maggior parte composto da truppe statunitensi) sotto il comando del generale Mac Arthur. Le truppe americane invasero il 38° parallelo con l'obiettivo di risalire fino al fiume Yalu che divideva la Corea del Nord dalla Cina e annullare del tutto il potere di Kim Il Sung. Le cose non andarono in realtà come gli americani speravano. A sorpresa, le truppe cinesi passarono il fiume Yalu il 27 novembre del 1950 marciando contro gli americani.

Nel gennaio 1951 le truppe comuniste erano giunte alle porte di Seoul e Mac Arthur propose l'utilizzo della bomba atomica contro la Cina. Il presidente americano Truman si oppose e defenestrò Mac Arthur sostituendolo col generale Ridgeway. La situazione finì con lo stabilizzarsi e il 10 luglio 1951 iniziò la conferenza di pace a Kaesong. Dopo due anni si arrivò alla risoluzione finale che lasciò immutati i confini politici delle due Coree.




 USA e URSS nei primi anni '60

Per poter comprendere al meglio le motivazioni che portarono gli USA a intervenire nella crisi più grande dalla fine della Seconda guerra mondiale, quella in Vietnam, che trasformò le truppe americane da truppe invincibili delle guerre vittoriose in "masse drogate dall'oppio del Triangolo d'oro" (Fernanda Pivano), bisogna innanzitutto analizzare al meglio la situazione politica delle due superpotenze agli albori del nuovo decennio.

Agli inizi degli anni '60 il sistema politico internazionale, seppur tenendo conto del grosso numero di Stati venutisi a creare dal processo di decolonizzazione, faceva ancora capo alle due superpotenze indiscusse.

 Gli USA in particolare avevano conosciuto un notevole incremento economico, favorito anche dalle crisi della guerra fredda che aumentavano la produzione nell'ambito del cosiddetto "complesso militare-industriale".

Usciti dal periodo della caccia alle streghe, termine con cui si indicano le azioni di persecuzione nei confronti dei presunti comunisti, la politica interna statunitense di quegli anni fu incentrata soprattutto sulla risoluzione della questione razziale.

La forte immigrazione degli anni '50 aveva allargato enormemente le città americane i cui abitanti, però, dovevano ora imparare a convivere con diverse razze, soprattutto con i neri. All'inizio si ebbero forti scontri fra le varie comunità (si ricordano i ghetti e il Ku Klux Klan). Nel 1954, la corte suprema pose fine alla segregazione razziale nelle scuole. Il governo era sotto la presidenza di Eisenhower, il cui mandato terminava nel 1960. Dopo di lui salì al potere John Fitzgerald Kennedy, il primo presidente cattolico degli Stati Uniti. La presidenza Kennedy poté contare sull'appoggio dei sindacati, dei giovani e degli intellettuali. Egli indicò prioritarie le questioni razziali e economiche ("nuova frontiera"). Il terreno in cui, però, la sua gestione venne messa a dura prova era la politica estera: Kennedy si trovò ad affrontare lo sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili a Cuba, la costruzione del muro di Berlino (1961) e soprattutto l'avvio di un intervento militare in Vietnam.






Kruscev venne destituito improvvisamente nel 1964. Al suo posto fu formata una nuova direzione collegiale ma fu poi Breznev a concentrare tutto il potere nelle sue mani. Con Breznev ebbe inizio un nuovo processo di "glaciazione" che sembrò riportare il mondo al periodo oscuro dello stalinismo. Per i dissidenti furono ancora una volta previsti le prigionie nei gulag o gli esili. Breznev non si fece molti scrupoli ad esiliare intellettuali, scrittori e scienziati che lo osteggiavano, dando così inizio ad un nuovo capitolo della guerra fredda.



Il Vietnam

Il Vietnam occupa la regione più orientale del sud est asiatico. Fu una colonia francese per tutta la prima metà del XX secolo e solo nel 1945 riuscì ad ottenere l'indipendenza.
L'occupazione giapponese innescò una violenta resistenza nel nord del Vietnam, che si proclamò indipendente sotto il partito comunista Vietminh (Fronte d'indipendenza del Vietnam) capeggiato dal leader Ho Chi Minh. La Francia tuttavia non aveva alcuna intenzione di abbandonare il territorio. Il Vietnam si spaccò così in due regioni: a Nord, con capitale Hanoi, Ho Chi Minh, il 2 settembre 1945 dichiarava l'indipendenza del Vietnam del Nord; a sud, con capitale Saigon, si instaurò uno Stato interamente controllato dai francesi, appoggiati dagli USA. quando nel 1946 i francesi attaccarono il porto di Haiphong fu inevitabile il conflitto. Dal conflitto, tuttavia, i francesi ne uscirono pesantemente sconfitti e dovettero ritirarsi. L'armistizio venne firmato a Ginevra il 7 maggio 1954, lasciando la situazione com'era: a Nord Ho Chi Minh, a sud uno stato dittatoriale capeggiato da Ngo Dinh Diem, appoggiato dagli USA. il governo di Diem, tuttavia, era destinato a perire presto. Il golpe condotto nel 1965 dal generale Nguyen Van Thieu rovesciò il dittatore, instaurando un governo che ancora di più entrò in conflitto col Nord filocomunista e ancora di più veniva sostentato dagli USA.
Tra il 1966 e il 1971 gli USA riversarono sul Nord del Paese una quantità terrificante di bombe, trasportate dagli imponenti B-52. Nonostante questo dispiego enorme di forze, gli USA ebbero notevoli difficoltà a vincere le truppe nord vietnamite, comandate dal generale Giap. Dal Nord affluivano in continuazione forze militari che andassero ad appoggiare i Vietcong, l'organizzazione armata del SUd. Il terreno era accidentato, pieno di risaie, acquitrini e ricco di foreste e per le truppe americane fu difficilissimo vincere le veloci ed abili forze dei vietcong, nonostante la loro straripante potenza.
La guerra prese pieghe tragiche per gli USA quando i vietcong, il 31 gennaio 1968, decisero di passare ad una controffensiva lungo tutto il fronte; l'operazione permise alle truppe comuniste di occupare Saigon e Hue. Seppur con innumerevoli difficoltà, gli USA riuscirono a riprendere il controllo delle città perdute ma ormai si erano resi conto di essersi imbarcati in una guerra sbagliata, una guerra che ormai li aveva invischiati e da cui non riuscivano a venir fuori. La loro presenza, ormai, non era più sufficiente a sostentare il regime del Sud, ormai prossimo al tracollo.
Si pensò, dunque, a Washington, di una invasione diretta del Nord ma l'opinione pubblica mondiale era già profondamente turbata e contraria a quella assurda guerra che contava solo sconfitte e morti, senza alcuna vittoria. Inoltre, sul piano diplomatico, la Cina vedeva la guerra in Vietnam un ottimo banco di prova per una futura guerra al capitalismo e l'URSS aveva tutto l'interesse affinché i propri avversari fossero infangati in una questione che andava via via peggiorando mentre loro potevano ottenere vittorie in altri campi della politica mondiale.
Nel 1968, dunque, il presidente Johnson ordinò l'immediato arresto dei bombardamenti a Nord. era solo il primo passo verso una pace lunga e difficile che avverrà solo nel 1975, con la definitiva vittoria del Vietnam del Nord e la riunificazione delle due zone nella Repubblica socialista del Vietnam.



Il mondo del 1968

Il mondo conobbe, nella seconda metà degli anni '60, delle crisi che rischiarono spesso di degenerare, tra cui la più terribile era la guerra in Vietnam. Per la prima volta, il mondo veniva a contatto con degli "eventi globali" che sempre più riguardavano tutti gli strati della società e miliardi di persone. Gli eventi che andavano succedendo non potevano essere trascurati, né vissuti en passant; per la prima volta, ogni singolo evento rimbalzava da Stato a Stato, generando reazioni diverse, seminando diversi effetti e diverse conseguenze. Fu così per i movimenti studenteschi del 1968.
Ovviamente il 1968 è solo una data; gli eventi iniziarono già tempo prima.
Nel 1964, 5000 studenti occuparono il campus universitario di Berkeley, sede dell'Università della California; nel 1965 ci fu la prima vera manifestazione giovanile contro l'intervento americano in Vietnam, che iniziava a far registrare le prime conseguenze disastrose; il 1967 vide il colpo di stato in Grecia, la Morte di Che Guevara in Bolivia, simbolo della rivoluzione, le prime lotte e le prime occupazioni universitarie in Italia; ma è nel 1968 che si hanno le fasi più "calde": la controffensiva vietcong agli USA, l'attentato al leader dei giovani tedesco Rudi Dutschke, gli attentati a Martin Luther King e Bob Kennedy, i carri armati sovietici a Praga; a questi seguirono anche eventi di cultura e di costume: i Doors pubblicavano il loro primo album, sconvolgendo e scandalizzando l'opinione pubblica americana, Bob Dylan iniziava a mettere in ombra la fama incontrastata dei Beatles, usciva l'album Sympathy for the devil dei Rolling Stones, i velocisti neri Tommy Smith e John Carlos, oro e bronzo dei 200m alle olimpiadi, alzavano un pugno chiuso al cielo durante la cerimonia del podio, per denunciare le discriminazioni razziali nel loro Paese, gli Stati Uniti.
L'epicentro della rivolta è comunque da ricercare nel cuore dell'Europa, precisamente a Parigi. Il 2 maggio l'Università di Nanterre venne occupata dagli studenti. Il giorno dopo iniziarono i primi scontri con la polizia. Il 10 maggio fu la giornata più intensa in quanto, accanto agli studenti, scesero in campo anche gli operai. Circa 500000 erano i manifestanti e 9 milioni gli scioperanti; le strade del Quartiere Latino furono teatro di violenti scontri con la polizia, scontri che causarono anche i primi morti. Preoccupato poi dai suoi effetti, il movimento finì per rifluire su sé stesso in breve tempo. Il maggio francese, tuttavia, fu uno dei momenti più caldi della protesta sessantottina.
Per la prima volta, la rivolta non fu una rivolta di un ceto sociale ma di un'intera generazione, la generazione giovanile: i fratelli minori dei ragazzi cresciuti nel periodo letterario della beat-generation, del mondo che credeva nell'utopia della pace, ora scendevano in prima linea, con i loro simboli, incarnati nei vari Che Guevara, Jim Morrison, John Lennon, ecc, con le loro nuove mode come il cinema, la moda (nasceva la scandalosa "minigonna" in quegli anni). La giovinezza non era più un momento di passaggio verso un momento più maturo, ora la giovinezza era il momento biografico più alto, costituito dalla forza della spensieratezza e dall'unione nel contestare una borghesia falsamente moralistica e realmente ipocrita. Così si protestava a livello sociale contro il potere autoritario, a livello economico, contro il capitalismo e contro l'avanzare incontrastato del denaro come unico fine ed unico mezzo e a livello politico contro l'assurda guerra in Vietnam.
Il 21 agosto 1969 è una data storica per chi in quegli anni viveva la sua giovinezza. A Woodstock, a 100 Km da New York si apriva il più grande concerto della storia del rock: in tre giorni, senza interruzione, sfilarono sul palco tutte le grandi star della musica del momento, tutti I simboli del rock e della musica in genere, tutte le personalità che influenzarono e contribuirono affinché la rivolta giovanile andasse avanti: da Jimi Hendrix a Janis Joplin, da Joe Cocker a Tom Jones, da Santana ai Rolling Stones, da Bob Dylan ai Led Zeppelin. E il pubblico che li seguiva era un oceano di capelli lunghi ("capelloni"), alla maniera dei Beatles, moda tanto contestata quanto diffusa. Le star sul palco erano solo un pretesto per permettere a tanti giovani di poter parlare di politica, società in gruppi senza regole, in cui si iniziavano a consumare le prime droghe di gruppo, LSD e marijuana, come mezzi d'evasione dalla realtà.

Il cinema andava diffondendosi in quel periodo e oggi sono numerosi i film che raccontano quel periodo storico. Tra i più famosi, è da citare la serie dei Nam-movies, i film dedicati al Vietnam, tra cui è impossibile non ricordare la straordinaria interpretazione di Robert De Niro ne "Il Cacciatore" di Michael Cuncino. Assolutamente irrinunciabile è "Full Metal Jacket" del compianto Stanley Kubrick ma il pezzo pregiato della serie è sicuramente la magistrale regia di Francis Ford Coppola in "Apocalypse Now", nel cui cast si annoverano nomi come Marlon Brando e Robert Duvall, e in cui, alla trascinante The End dei Doors come colonna sonora, scorrono lente tutte le sequenze di un viaggio all'inferno.
D'altronde in tutti i Nam-movies è presente il tema "all'inferno e ritorno", per simboleggiare come quella guerra che sembrava vinta in partenza si rivelò un agghiacciante scenario di morte per migliaia di soldati americani atterriti dalla paura delle imboscate nella giungla e terrorizzati dalle terribili torture inflitte ai prigionieri dai vietcong.
Sulla crisi di Cuba è significativo il film "Thirteen Days" in cui si narra, giorno per giorno, la vicenda che per 13 albe tenne il mondo sul filo del rasoio di una terza guerra mondiale.
Sulla personalità di John Kennedy è importante ricordare "JFK" mentre sulla società americana degli anni '60 la biografia di Jim Morrison "The Doors" (regia di Oliver Stone) è sicuramente un ottimo esempio.

Ora, ritengo possa essere possibile tentare di rispondere alla domanda originaria: perché la beat-generation negli anni '50 e negli USA?
Prima che un movimento giunga alle masse, forse, è necessario che esso permei le sue idee negli ambienti intellettuali. Ecco perché la beat-generation ha preceduto il '68. Quest'ultimo non è che una lontana conseguenza del primo, il germoglio del seme piantato 10 anni prima da Kerouac e colleghi. Il mondo viveva in angoscia, con il terrore che da un momento all'altro qualcuno avrebbe ceduto alla tentazione di premere un tasto che avrebbe sterminato in un attimo migliaia di persone in qualunque punto del mondo. Professare la pace è possibile solo se si vive in guerra, come d'altronde si vive sempre. Ecco perché la beat-generation avviene negli anni '50, dando, inizialmente, solo magri rimbombi negli altri campi (Elvis Presley, il blues, ecc.) ma esplodendo dopo, quando la situazione è ancora più tesa. Non è un caso che nel '68 gli scritti di Kerouac e Ginsberg fossero d'obbligo tra i giovani, fossero il loro manifesto insieme al libro di Huxley, "The doors of perception" e alle poesie di William Blake.
D'altronde, come canterà in seguito quel grande genio di John Lennon in "Imagine", la sua canzone più famosa, considerata da tutti la migliore del secolo, "You may say I'm a dreamer but I'm not the only one" ("Tu puoi dire che io sono un sognatore ma non sono l'unico").