Era il 1969 quando a New Haven, la
rockstar Jim Morrison veniva arrestato per atti osceni durante un
concerto
della sua band, i Doors. Iniziava così la fine di un uomo
che, a detta di
molti, rappresenta l'ultimo vero ribelle.
Molte generazioni di giovanissimi tendono ad accostare alla figura del ribelle personalità che hanno fatto la storia, da Ernesto "Che" Guevara a Jim Morrison, da John Lennon a Bob Dylan. In realtà, l'alone di leggenda che permea tuttora queste figure non permette di farne un'analisi lucida e competente, analisi che possa portare a vedere tali figure per ciò che sono davvero: Che Guevara un bandito, Morrison una rockstar, Lennon e Dylan due pacifisti. Col tempo, le loro gesta sono state riportate da articoli di giornali, riviste, libri, biografie che hanno contribuito a far apparire un bandito come un simbolo di rivoluzione, una rockstar come un modello e due pacifisti come due profeti della pace. È fuori di dubbio che il contributo dato da questi (e altri) personaggi sia stato determinante nelle generazioni successive; in fondo, l'uomo ha sempre, istintivamente, avuto bisogno di crearsi dei modelli.
La figura del ribelle,
però, non
può morire con Morrison dato che il ribelle è
insito nell'uomo. C'è sempre
stato, c'è tuttora e sempre ci sarà;
può chiamarsi Alessandro Magno, Giovanna
d'Arco, Immanuel Kant, Napoleone, Vincent Van Gogh, Jim Morrison, Che
Guevara,
Bob Dylan o Osama Bin Laden. Può avere tutti i nomi che
l'immaginario
collettivo ritiene di assegnargli per identificare in esso il ribelle o
l'innovativo ma egli rimarrà sempre la figura che sconvolge
in maniera
devastante tutto ciò che tocca, dopo del quale nulla
può essere più come prima.
In questo senso nessuno – a mio parere – credo
possa essere stato più ribelle
di Gesù Cristo.
Anche qui, per poter vedere
l'uomo, bisogna spogliare la leggenda, tralasciare la figura del santo,
del
figlio di Dio, relativamente al quale le informazioni sono
scientificamente
incerte, per concentrarsi sulla figura del profeta, della figura umana
di cui
esistono documentazioni, della personalità che
più di tutte è stata in grado di
rivoluzionare un sistema.
Il ribelle è questo:
colui che
rivoluziona un sistema, o sembra essere in grado di farlo.
Può farlo in bene o
in male, ma ciò comunque avviene.
I nomi sopra citati, ovviamente, non sono che una minima parte della grande lista di ribelli che la storia dell'umanità conosce, famosi e non. Quello che bisogna sapere è che il ribelle c'è sempre stato, in forme e aspetti diversi, ma appartiene alla storia dell'uomo ed è lui che ha dato l'input per modificare una società, un sistema, ed ha introdotto un modus vivendi per portare poi all'evoluzione del sistema stesso.
Nel 1956 Ginsberg presentava il
suo "Howl" (Urlo), raccolta di poesie aventi caratteristiche del
tutto innovative. Nasceva in quegli anni la Beat Generation.
Era trascorso un anno da allora
quando Jack Kerouac dava alle stampe il suo capolavoro "On the Road".
Si parla tuttora di quel libro come della "bibbia della Beat
Generation". Ma cos'era davvero la beat generation? E perché
nasce negli
USA proprio negli anni 50?
Letteralmente, "beat" significa battuto, sconfitto e tutta la letteratura beat (perché in realtà si trattò principalmente di un movimento letterario con qualche riscontro musicale, ma dal punto di vista pratico, effettivo, solo sporadiche ripercussioni sociali) è permeata di questo sentimento di sconfitta; essa non è però una sconfitta rassegnata ma una sconfitta che tenta continuamente di arrivare ad un'utopia di un mondo migliore. Per capire al meglio la beat generation e il modo di operare dei suoi vari componenti, Ginsberg, Kerouac, Ferlinghetti, Corso, Burroughs, Cassidy, bisogna tuttavia inquadrare la situazione socio-politica del periodo.