CRITICA LETTERARIA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 
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Dino Compagni e Giovanni Villani
di F. DE SANCTIS



Il De Sanctis sottolinea della Cronica di Dino le «qualità essenziali» della sincerità, dell'energia morale, della meraviglia e del forte sentire che più colpiscono la sua critica nutrita di spiriti romantici. Nel confronto, infatti, il narrare più piano e disteso di Giovanni, Matteo e Filippo Villani appare al De Sanctis sbiadito, gretto e superficiale.

Accanto a questo mondo dello spirito e dell'immaginazione c'era il mondo reale, il mondo della carne o della vita terrena, come si dicea, che si potea maledire, ma non uccidere. Era la cronaca, memoria dì per dì de' fatti che succedevano, inanime come il dizionario, o come la lista delle spese. Quelli che ne scrivevano con qualche intenzione artistica, la dettavano in latino e la chiamavano storia.

Ma in Toscana il Malespini avea già dato l'esempio di scrivere la cronaca in volgare. E Dino Compagni seguí l'esempio, scrivendo in volgare i fatti di Firenze dal 1270 al 1312. Attore e spettatore, prende una viva partecipazione a quello che narra, e schizza con mano sicura immortali ritratti. Non è questa una cronaca, una semplice memoria di fatti: tutto si move, tutto è rappresentato e disegnato, costumi, passioni, luoghi, caratteri, intenzioni, e a tutto lo scrittore è presente, si mescola in tutto, esprime altamente le sue impressioni e i suoi giudizi. Cosí è uscita di sotto alla sua penna una storia indimenticabile.

Questa storia è una immane catastrofe, da lui preveduta e non potuta impedire. E non si accorge che di quella catastrofe cagione non ultima fu lui. O piuttosto ne ha un'oscura coscienza, quando con quel tale «senno di poi» dice: - Oh se avessi saputo! Ma chi poteva pensare? Ma Dino peccò per soverchia bontà d'animo; gli altri peccarono per malizia, e Dino li flagella a sangue. Era Bianco; ma più che Bianco, era onesto uomo e patriota. Gli pareva che que' Neri e que' Bianchi, quei Donati e quei Cerchi, non fossero divisi da altro che da gara d'uffici, e gli parca che partendo ugualmente gli uffici quelle discordie avessero a cessare. Gli parca pure che tutti amassero la città, come facea lui, e fossero pronti per la sua libertà e il suo decoro a fare il sacrificio de' loro odii e delle loro cupidigie. E gli parca che uomo di sangue regio non potesse mentire né spergiurare, e che nessuno potesse mancare alle promesse, quando fossero messe in carta. E anche questo gli parca, che gli amici stessero saldi intorno a lui e che ad un suo cenno tutti gli avessero ad ubbidire. Che cosa non parca al buon Dino? E con queste opinioni si mise al governo della repubblica. È la prima volta che si trova in presenza la morale de' libri e la morale del mondo. E la contraddizione balza fuori con tutta l'energia di una prima impressione. Il brav'uomo al contatto del mondo reale cade di disinganno in disinganno, e ciascuna volta rivela la sua ingenuità con un accento di maraviglia e d'indignazione. Immaginatevelo alle prese con Bonifazio VIII, Carlo di Valois e Corso Donati, ciò che di più astuto e violento era a quel tempo. L'energia del sentimento morale offeso è il secreto della sua eloquenza. Qui non ci è nessuna intenzione letteraria; la narrazione procede rapida, naturale, sino alla rozzezza. Vi è un materiale crudo e accumulato e mescolato, senza ordine o scelta o distribuzione; ignota è l'arte del subordinare e del graduare; mancano i passaggi e le giunture; il fatto è spesso strozzato; spesso il colorito è un po' risentito e teso: difetti di composizione gravi. Pure le qualità essenziali che rendono un libro immortale, stanno qui dentro, la sincerità dell'ispirazione, l'energía e la purità del sentimento morale, la compiuta personalità dello scrittore. e del tempo, la maraviglia, l'indignazione, il dolore, la passione del cronista, che comunica a tutto moto e vita.

In tempi meno torbidi, Giovanni Villani scrisse la sua Cronaca di Firenze sino al 1348, continuata dal fratello Matteo e dal nipote Filippo. Mira a dar memoria de' fatti, pigliandoli dove

li trova, e spesso copiando o compendiando i cronisti che lo precessero. Sono nudi fatti, raccolti con scrupolosa diligenza, anche i più minuti e familiari, della vita fiorentina, come le derrate, i drappi, le monete, i prestiti: materiale prezioso per la storia. Ma questa cruda realtà, scompagnata dalla vita interiore che la produce, è priva di colorito e di fisonomia e riesce monotona e sazievole.

La cronaca di Dino e le tre cronache de' Villani comprendono il secolo. La prima narra la caduta de' Bianchi, le altre raccontano il regno de' Neri. Tra' vinti erano Dino e Dante. Tra' vincitori erano i Villani. Questi raccontano con quieta indifferenza, come facessero un inventario. Quelli scrivono la storia col pugnale. Chi si appaga della superficie, legga i Villani. Ma chi vuol conoscere le passioni, i costumi, i caratteri, la vita interiore da cui escono i fatti, legga Dino.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it