CRITICA LETTERARIA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 
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Aspetti del linguaggio di Santa Caterina da Siena
di G. GETTO



Dopo aver inquadrata l'ispirazione cateriniana nella cornice della letteratura mistica, il critico esamina alcuni aspetti del linguaggio della Santa, sottolineando in particolare il vigoroso processo di oggettivazione dell'espressione interiore, mediante il ricordo alla similitudine, alla metafora, all'allegoria.

Diremo subito che questo [il linguaggio cateriniano] si accosta, nel suo fondamentale atteggiarsi, a quel tipo caratteristico che si può ritrovare in quasi tutti gli scritti dei mistici. Perché se è vero che il linguaggio mistico in sé è una pura astrazione, e che nella realtà esiste solo il linguaggio di questo o di quel mistico, è però anche vero che esiste un atteggiamento espressivo comune a tutti i mistici, che costituisce come una trama storica che raccoglie in un'unica tradizione stilistica questi scríttori, pur restando poi ancor sempre diverso il modo con cui ognuno si inserisce in essa, e nuovo il contributo di ogni singola individualità. Anche un rapido esame della letteratura mistica permette subito di cogliere quello che è un aspetto costante dell'espressione religiosa, quel gusto cioè delle antitesi, delle metafore, dei termini superlativi, quell'amore del linguaggio figurato (come lo chiamavano i retori della vecchia scuola, distinguendo un parlar proprio da un parlar figurato), gusto che, per esser tipico della letteratura del seicento, è stato da alcuni chiamato barocco. La genesi di tale atteggiamento linguistico è evidente. Essa deve essere ricercata nella natura particolarissima dell'esperienza religiosa assolutamente nuova, intensa ed ineffabile. La corposità, la sensuosità, la stranezza espressiva sono in stretta relazione con la sfuggente realtà spirituale che essi vogliono chiarire e fissare.

Anche Santa Caterina rientra in questa tradizione. Anche per lei si è parlato di barocchismo. Espressione questa che va naturalmente presa in senso metaforico, poiché da un lato il suo linguaggio risente della letteratura religiosa medievale e dei testi biblici, dall'altro esso sorge per un bisogno intimo. Ora tutto starà nel capire come spontaneità e tradizione coesistano, e nel cogliere quindi, insieme alla sincerità dell'ispirazione, il tono particolare di essa.

Fra le caratteristiche essenziali del linguaggio mistico vi è quella che si potrebbe dire la « esteriorizzazione » della realtà interiore e spirituale. In esso gli elementi e le situazioni della vita dell'anima sono oggettivati in concrete entità fisiche mediante elementi desunti dal mondo fenomenico. Anche Santa Caterina, per esprimere la sua intima esperienza sfuggente ed intensa, ricorre al mondo esterno. Perciò i suoi modi espressivi vanno, in una crescente progressione; dalla semplice similitudine alla metafora e all'allegoria: le quali sono pur rivelatrici, nella loro qualità particolare, dell'animo della scrittrice che le usa. Con esse s'introducono nel linguaggio cateriniano in gran numero le più diverse immagini, ricavate sia dalla società umana sia dalla natura.

Un primo vasto gruppo di similitudini è derivato dal mondo umano. Esse sono tutte documento di quella larga simpatia della santa verso gli uomini, che costituisce una delle note più intime della sua personalità. Santa Caterina è lontanissima da quel sentimento ostile o almeno pessimistico di fronte alla società che si trova in altri mistici, e fortissimo ad esempio in Iacopone. Ella si sente legata da un saldo vincolo affettivo agli altri uomini, alle loro cose, alla loro vita, che osserva con cordiale interesse, senza distoglierne con disgusto lo sguardo. Così l'amore di Dio verso la sua creatura è illuminato da lei con questa similitudine: « Dio ha fatto a voi e ad ogni creatura come fa il padre che mette alcun tesoro in mano del figliuolo suo e per farlo grande e arricchito il manda fuora della città sua ».

E Gesú che espia su di sé le colpe degli uomini è da lei assomigliato alla balia:

«Egli ha fatto come fa la balia che nutrica il fanciullo che quando egli è infermo, piglia la medicina per lui perché il fanciullo è piccolo e debile, non potrebbe pigliare l'amaritudine perché non si nutrica altro che di latte».

Questa similitudine efficacissima appartiene in particolare, a quel gruppo di immagini materne, che ritornano assai di frequente, e che sono quasi una eco di quel sentimento della maternità secondo cui si atteggia essenzialmente la sua vita interiore. Bellissima però fra tutte queste immagini umane è quella introdotta per descrivere l'aspetto esterno e insieme la situazione psicologica di Tuldo, il giovane condannato a morte da lei convertito:

«Volsesi come fa la sposa quando è giunta all'uscio dello sposo suo e volge l'occhio e il capo addietro inchinando chi l' à accompagnata e con l'atto dimostra segni di ringraziamento».

È questo uno tra gli accenti più vivi e più delicatamente umani dell'opera di Santa Caterina e tale da illuminare quest'anima che, tutta raccolta nel mondo del «cognoscimento di sé», sa raccogliere a volte tutto un fremito di pulsante vita in una rapida e chiara sintesi degna quasi di un poeta.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it