LA POESIA DEL
PARINI E I PROBLEMI DELLA SOCIETA' DEL SUO TEMPO
DI GIUSEPPE
PETRONIO
Il Parini ha una chiara coscienza che la poesia in tanto è valida e nuova in quanto opera nella realtà del proprio tempo, facendosi interprete dei problemi che essa pone e collaborando all'opera di rinnovamento e di trasformazione della società. L'atteggiamento del Parini è però quello tipico del riformista, il cui ideale è l'instaurazione senza scosse di un ben composto e più giusto ordine sociale: in lui, infatti, è presente, accanto al sincero spirito egualitario, un gusto altrettanto vivo per la bellezza, che lo porta a vagheggiare gli aspetti più splendidi ed eleganti della pur condannata società aristocratica; e lo guida altresí sempre l'amore per la letteratura che gli detta le pagine più fini e preziose della sua opera.
[ La ] partecipazione agli ideali e alle lotte non solo della nuova cultura, ma della nuova società milanese, condusse il Parini ad uscire dagli schemi tradizionali della sua prima poetica per tentare una poesia nuova, arricchita dei fermenti del trionfante sensismo e anelante a un difficile complesso equilibrio tra modernità e tradizione, tra fini civili e autonomo fine poetico. È stato facile, certo, ritrovare nelle sue formulazioni teoriche («la calda fantasia / che sol felice è quando / l'utile unir può al vanto / di lusinghevol canto») le sopravvivenze di una tradizione secolare o gli addentellati con un moto di rinnovamento iniziatosi ai primi anni del secolo; ma è pur vero che ricondurre, come pure si è fatto, la concreta poesia del Parini al rinnovamento dell'Arcadia è errore gravissimo, che vieta di cogliere le novità di temi e di svolgimento, di ispirazione e di linguaggio, che caratterizzano quella poesia e le
danno un posto tutto suo nella lirica e nella cultura del tempo. Utile e dolce I sono certo gli elementi che il Parini si sforza di contemperare armonicamente; ma a dare consistenza e senso alla sua poesia è il fatto che utile questa volta non significa più un'astratta utilità morale, ma ha un contenuto preciso, storicamente determinato, che è, ancora una volta, lo spirito della società illuministica, quale si veniva configurando a Milano, sotto la spinta delle influenze europee e per impulso delle riforme teresiane.
Il Parini, perciò, non rinunzia alle istanze tradizionali di una poesia di tono alto, e tiene sempre il tacco del piede sinistro, secondo l'espressione famosa del Carducci, non tanto in Arcadia, quanto genericamente nella secolare tradizione letteraria italiana; ma nello stesso tempo, ubbidendo alla poetica sensistica, cioè alle esigenze più vive e moderne dei suoi tempi, aspira a crearsi una lingua che gli permetta di dire, con letteraria dignità, cose ed affetti quanto più moderni e realistici gli sia possibile esprimere. Non sempre, certo, riesce nell'intento, ed ora l'abito suo di letterato, il lungo tirocinio compiuto sotto le spoglie di Ripano Eupilino, gli prende la mano; ora, invece, la materia nuova e realistica gli si impone e vi pesa con una sua inelaborata grettezza; ma quando trova quell'equilibrio difficile, scrive odi o parti di odi che, per la pungente novità dell'impostazione, per la modernità viva dei temi e del loro svolgimento, per il sobrio e pur potente realismo del linguaggio, sono tra le sue cose più vive, e sono, in ogni modo, la prima alta prova della rinnovata poesia italiana.
In questi anni ideò un vasto poema che rappresentasse, satireggiandola, la vita della società nobiliare, e ne compose le prime due parti: il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765 ). Pubblicatele, credette di poter rapidamente comporre e pubblicare la terza, e cominciò ad attendervi.
L'ampiezza del poema e la forma stessa che il Parini gli dette - non racconto di una storia, ma descrizione minuta della giornata di un giovin signore, pittura, disse l'Alfieri, del «signoril costume» - fecero sì che in esso il Parini potesse spiegare ed esprimere tutto se stesso, rispecchiando come in nessun'altra sua opera tutta la società intorno a lui, con le sue varie e spesso violente contraddizioni.
La posizione del Parini dinanzi alle questioni vitali del suo tempo è, nel suo fondo, ben netta, anche se complessa e sfumata, e, nelle sue grandi linee, riflette con abbastanza precisione la nuova cultura lombarda. Banco di prova il modo di porsi di fronte all'illuminismo francese, di cui il Parini respinge le basi. filosofiche e i suoi fermentanti sviluppi verso un deciso sensismo, verso il materialismo, l'ateismo o un ragionato cosciente deismo, cosí come ne respinge lo spirito di divulgazione, e il gusto, ma più che il gusto, il senso dell'importanza della scienza. Pare respingerne cosí le punte avanzate e gli aspetti caduchi, ma in realtà egli lo svuota in questo modo dei suoi spiriti più vivaci e di quegli aspetti più moderni - culto della scienza, concetto «democratico» della filosofia e della cultura, valore della divulgazione scientifica - che lo facevano veramente una cultura rivoluzionaria, mentre, d'altra parte, la vecchia boria
nazionalistico-letteraria lo porta ad esaltare, di fronte a queste nuove «mode» straniere, la tradizione nazionale italiana.
Il suo atteggiamento perciò di fronte a Voltaire o a Rousseau, all'Enciclopedia ed alle sue dottrine, è sempre contraddittorio e contrastato, e se egli ne accetta toto corde alcuni aspetti o alcune tesi, ne respinge egualmente toto corde degli altri.
Ne accetta però, con sicurezza decisa, un aspetto, e su questo fonda la sua battaglia e il suo poema: la polemica egualitaria contro il diritto di nascita. Qui veramente, almeno nel Dialogo della nobiltà e nella prima stesura del Mattino e del Mezzogiorno, la posizione del Parini è netta, e la sua è non satira di costume, ma polemica storicizzata e concreta, che affonda le sue radici nella realtà politica e sociale del Settecento europeo, e combatte non in nome di un astratto moralismo cristiano o ad esaltazione di un generico arcadico «buon villan», ma contro una precisa classe nobiliare, quale si era venuta storicamente configurando, e per una nuova classe borghese quale concretamente esisteva. Per questo, se alcune volte cade nell'idillio arcadico (Mattino, v. 33 sgg.), il più delle volte descrive con intensa forza polemica e, individuando le cause della situazione attuale, colloca nello sfondo, con grande sapienza di contrasti; dietro il lusso aggraziato di quella società nobiliare, immagini crude di violenza e di pena: le conquiste sanguinose del
Messico e del Perú, il servo costretto all'elemosina, i poveri piagati affollantisi intorno al palazzo patrizio, lo sforzo di tutta una società operosa, «dannata» al lavoro, a permettere l'ozio di colui «che da tutti servito, a nullo serve».
Tuttavia, il Parini non è mai un rivoluzionario, sebbene un riformista, che aspetta l'eliminazione dei mali sociali da una illuminata opera di governo, e che sogna, attraverso quest'opera, una società di agricoltori e di artigiani, dignitosamente operosi, fra i quali sia posto per un'aristocrazia dell'intelletto e dello spirito, aperta a tutti i valori dell'arte, della scienza, del bello e dell'elegante. Perciò anche in questo momento della sua storia interiore, il Parini può dipingere con aderente raffinatezza tanti aspetti della vita patrizia, non tanto, come si è detto, perché la sua natura di artista gli forzi la mano, quanto piuttosto perché tutta la sua concezione della vita non nega e non esclude quegli aspetti, ma li vorrebbe, se mai, congiunti ad altri aspetti, al riconoscimento di altri valori: la sua posizione di fronte alla vita patrizia è, in realtà, meno
contraddittoria di quanto non paia, com'è, in questo periodo, assai più ferma di quanto non lasci pensare, a prima vista, il tono elegante, mondano, di cui così spesso si serve.
Rivoluzionario non era, naturalmente, nemmeno per ciò che concerne la poesia, ché anche nel Giorno mirava ad un equilibrio complesso che fondesse gli spiriti didattici e polemici dell'opera con una autonoma raffinata eleganza letteraria, e inserisse, per così dire, la polemica contemporanea e il realismo minuto in una tradizione di alta tensione espressiva, anticipando, in un certo senso, la poetica fissata più tardi dallo Chénier in un verso famoso: comporre versi antichi su pensieri moderni. Una dozzina di anni dopo, recensendo un altro poema didattico - la Coltivazione dei monti di Bartolomeo Lorenzi - scriveva chiaramente che in «un poema didattico gli argomenti sono un pretesto per la bella poesia, anzi che il fine assoluto di essa», sicché occorre spargere e distribuire nell'opera «momenti assai più numerosi, più estesi, più vari, di riposo poetico»: è la poetica, insomma, che detta le favole che intervengono qua e là a variare la materia didattica con riposi di pura poesia; o che induce a quell'elocuzione così elaboratamente pacata, in cui impeto polemico e compiacimento letterario, serietà delle cose da dire e gusto di dirle nel modo più elegante possibile, sdegno e sorriso, si compongono in un impasto squisitamente
personale. |