Uno dei figli del prof. Rinaldo, Rinaldo Calogero, studente di medicina (verb. dibatt. f. 212) era staffetta partigiana, e prestava servizi sanitari. Fu pure catturato il mattino del 13/6/1944 in Forno e portato in caserma e interrogato dal Bertozzi, che decideva sulla sorte dei prigionieri, e che gli disse che il motto della X Mas era "accatastare i cadaveri per costituire così gli ostacoli". Egli doveva essere fucilato, ma poi fu deciso il suo invio in Germania, essendo studente di medicina. Il Bertozzi tornò qualche giorno dopo a Forno, e rivide la posizione personale dei prigionieri, e ne liberò due, cioè il figlio del federale di Massa e un altro perché idiota. Riferisce il teste altre circostanze, dalle quali risulta che Bertozzi, il 13 giugno esercitava poteri di vita e di morte, perché, avendo avuto da un prigioniero la confessione di essere partigiano, gli promise salva la vita se indicava quali fossero i suoi compagni. non avendo egli indicato fra i compagni il Rinaldo, questi fu passato dal gruppo dei fucilandi a quello dei deportandi. Era il Bertozzi ordinava ai suoi della X Mas di prelevare i fucilandi e condurli al luogo del supplizio. Il rag. Sergio Benetti di Massa, pure sfollato a Forno (lettura depos. vol. A f. 26), riferisce presso a poco nello stesso modo gli avvenimenti, la sorpresa, la sparatoria, il blocco della popolazione, la separazione delle donne dagli uomini, la divisione di questi tra anziani e giovani e l'invio di questi parte all'immediato supplizio e parte alla deportazione in Germania. Il teste ricorda che egli, coi giovani, fu condotto nella caserma dei C.C. e interrogato dal Bertozzi e da un ufficiale delle SS tedesche. Dopo l'interrogatorio una parte, a 7 o 8 per volta, venivano inviati alla fucilazione poche centinaia di metri più in là; altri assegnati alla deportazione in Germania, fra cui il Benetti, il quale, poi, durante il viaggio a Milano riuscì a fuggire. Vi erano dei partigiani feriti, i quali furono legati alle brande dei C.C: nella caserma e perirono quindi nel successivo incendio della stessa appiccato dai militi della X Mas, che si dimostrarono più feroci dei tedeschi. Secondo il teste furono 69 i fucilati e 15 o 16 gli arsi vivi, 51 i deportati. Una singolare conferma dell'esattezza del rapporto scritto dal Bertozzi ai superiori è data da Negri Ferdinando (verb. dibatt. f. 240) il quale trovandosi a lavorare del suo mestiere di muratore alla caserma della X Mas a La Spezia in quell'epoca, vide un giorno ritornare in caserma un camion con 17 marinai della Xª; il camion era carico di sacchi di farina, biciclette, fucili, e dai discorsi dei soldati comprese che costoro tornavano da una spedizione a Forno di Massa, dove, a detta loro, era stato compiuto un massacro. I 17 marinai erano alle dipendenze del Bertozzi, il quale era tornato non già col camion, ma con una sua macchina. Più volte il teste notò che il Bertozzi partiva a capo di reparti che si recavano a compiere rastrellamenti o altre simili imprese. E, sempre a conferma dell'importanza della partecipazione del Bertozzi al fatto, va ancora una volta ricordato quel cameriere civile della mensa ufficiali, Rovagna Mario (verb. dibatt. f. 212) che in quei giorni sentì il Bertozzi raccontare al ten. di vascello Gemelli e al Sten. Fiumara della X Mas le bravure dei tedeschi e degli italiani nel rastrellamento di Forno "Novantuno ne abbiamo ammazzati" esclamava il Bertozzi. Un comandante, il tenente Passero, si indignò per simile comportamento, e venne prima a parolacce e poi alle mani col Bertozzi. Quest'ultimo ammette l'incidente, negando però che la causa sia quella accennata dal teste. Dei saccheggi compiuti in quell'occasione e consacrati nel rapporto del Bertozzi dà conferma il dott. Ugurgeri Lorenzo, medico condotto di Ortola di Massa (lettura dep. vol. III f. 304), il quale ricorda di essere stato depredato di tutto, compresa la automobile e non già di averla consegnata spontaneamente al Bertozzi. L'operaio Fruzzetti Egidio di Forno (verb. dibatt. f. 294) fu arrestato e portato in piazza. Poté vedere che nella separazione tra anziani e giovani era rimasto tra i giovani il proprio figlio Giuseppe. Si rivolse allora (salto di riga non fotocopiata) "Dovresti essere orgoglioso che tuo figlio vada nella grande Germania." Il teste vide anche prelevare a gruppi di 7 - 8 i giovani, che erano avviati al luogo del supplizio. La donna Franzoni Fedora (lettura depos. A II 23-38) abitante a Forno nei pressi del cotonificio, la cui fabbrica era stata occupata dai partigiani fin dal 9 giugno 1944, fu svegliata prima dell'alba del 13 da grandi scariche. Una donna abitante nella sua casa rimase uccisa. Entrarono in casa dei tedeschi con un tenente italiano che ordinarono lo sgombro, perché si doveva far saltare il cotonificio allo scopo di annientare i partigiani colà asserragliati. Tedeschi e italiani fecero man bassa su quanto aveva la teste, anche in generi alimentari. Un suo nipote, Lori Giorgio, rimase ferito, e per le ferite morì tre giorni dopo all'ospedale di Massa, ove la donna poté sapere da lui, prima che spirasse, che era stato il tenente Bertozzi a mandarlo alla morte "Tu sei venuto a Forno - gli aveva detto il Bertozzi - per militare coi partigiani e devi pagare." Tonarelli Vincenzo, cavatore di marmi, di Forno di Massa (verb. dibatt. f. 292) che fu arrestato e internato in Germania, attesta che, quando fu condotto avanti al ten. Bertozzi, questi gli esaminò le mani e sentenziò "Ottimo per la Germania." Egli, dopo gli interrogatori, stabiliva il destino: o in Germania o a morte. Le esecuzioni avvennero in località nei pressi della Chiesa di S. Anna. Accanto al Bertozzi vi era un capitano tedesco. Il teste, poi, sentì il Bertozzi, mentre passava avanti a lui con un sergente, dire a quest'ultimo "Oggi 67 ne abbiamo fucilati." Tonarelli Ettore, altro giovane di Forno, rastrellato il 13/6/1944 e deportato in Germania (verb. dibatt. f. 293), fu interrogato nella caserma dei C.C: dal Bertozzi, il quale, man mano finiva gli interrogatori, diceva "In Germania" o "In camera di morte." Quelli destinati per la Germania li faceva mettere fuori della caserma; gli altri (i condannati a morte) li tratteneva nell'interno. Il teste, quindi, stando di fuori, poté vedere i disgraziati quando, legati, a gruppi di otto, venivano condotti fuori e avviati a un posto a circa 300 metri dal teste, ove erano fucilati. La caserma dei C.C: fu incendiata poi quello stesso giorno, le altre case il giorno successivo. Antonioli Gino (lettura dep. A II pag. 42), che era rimasto ferito nel combattimento, fu arrestato, portato alla caserma die C.C: e interrogato dal Bertozzi, il quale poi interrogò il maresciallo dei C.C. Siciliano Ciro, che era stato catturato insieme coi partigiani e che il Bertozzi destinò alla fucilazione. Al teste il Bertozzi stracciò il foglio di congedo assoluto che l'Antonioli gli aveva esibito. Il teste sentì un sergente dire al Bertozzi: "Abbiamo trenta fucilazioni questa sera" e il Bertozzi rispondere "Trenta sono pochi." L'Antonioli, che doveva essere fucilato, fu salvato da un tedesco, che lo fece uscire di nascosto dal Bertozzi e da quelli della X Mas. Ma il teste afferma che 17 suoi compagni che avevano mani e piedi legati, rimasero bruciati nella caserma. Al fornaio Porta Ruggero (lettura depos. A II p.41) arrestato, portato in piazza, e messo nel gruppo degli anziani il ten. Bertozzi disse che dovevano essere orgogliosi quelli che erano destinati al lavoro in Germania. Mosti Luigi (lettura depos. A II f. 20) faceva parte della X Mas e il 9/6/1944, essendosi portato a Forno a visitare la famiglia, in occasione di un viaggio a Livorno per servizio, fu catturato con un compagno dai partigiani, che lo presero in forza come autista. E così il 13/6/1944, essendo avvenuto l'accerchiamento, dovette arrendersi a un reparto italiano, che lo consegnò ad una squadra della X Mas. Interrogato più volte dal ten. Bertozzi, che voleva avere indicazioni sui partigiani, rimase sulle negative. Alle 17 dovette assistere da lontano alle fucilazioni. La sera stessa, per ordine del Bertozzi, dovette pilotare il camion fino a Viareggio, con la scorta di militi della Xª. La sera dopo fu messo in prigione e doveva essere fucilato, ma si salvò per l'intervento del suo capitano Dino Matteucci. Francis Angelo (lettura depos. scritta A f. 110) che all'epoca del fatto era (....................) per servizio a Viareggio, alla volta di Forno, ove trovò i tedeschi e un reparto della Xª comandato dal Bertozzi. Seppe da marinai alle dipendenze di costui che il Bertozzi aveva loro detto che i tedeschi gli avevano dato l'onore di fucilare le persone di forno, e li aveva invitati a sollecitare anch'essi tale onore. Ma poiché soltanto due o tre si mostrarono disposti a partecipare alle fucilazioni, così avvenne che quelli della Xª si erano limitati a scortare fino al posto del supplizio i prigionieri, i quali venivano poi abbattuti dai tedeschi. L'impiegato Sgadò Aldo, di Carrara (verb. dibatt. f.298) fu catturato sul monte Vergheto da tedeschi e italiani e condotto a Forno, nella caserma dei C.C:, ove, mentre i tedeschi propendevano per il suo internamento in Germania, il ten. Bertozzi si oppose dicendo: "Almeno la metà bisogna fucilarli." come udì il teste con le sue orecchie. E così i fucilandi a gruppi di 7 - 8 vennero prelevati da elementi della X Mas e condotti al luogo del supplizio, ove furono allineati lungo gli spalti, e fucilati da elementi delle S.S. Il teste, più volte colpito, cadde giù e rimase poi sepolto sotto il mucchio dei cadaveri delle vittime successive. Il teste asserisce che il Bertozzi era presente alle esecuzioni e disse che dovevano morire da italiani. Il teste, non essendo mortalmente ferito, riuscì poi a salvarsi e a mettersi al sicuro.