Il paese di Forno di Massa era stato occupato dai partigiani. Come ha ammesso nei suoi interrogatori lo stesso Bertozzi, fu concordata fra truppe tedesche e della X Mas un rastrellamento che fu una vera e propria operazione bellica di notevole importanza. Gli italiani della X Mas erano in numero notevole, in numero ancor superiore i germanici, comandati da vari ufficiali. Comandava i marinai della Xª, fra i quali circa 35 addetti dell'ufficio I, il tenente Bertozzi, come egli ammette e come risulta anche da un documento rinvenuto, da lui compilato, di carattere ufficiale. All'alba del 13 giugno 1944 il paese, ove si trovavano accantonati fu da ogni parte circondato: dopo brevi scontri cessò la resistenza. I tedeschi e i militi della Xª entrarono in paese e con la forza, e sparatorie, in cui rimasero uccisi donne e bambini, fecero uscire la popolazione e partigiani nascosti nelle case. Li fecero radunare in piazza, dove il Bertozzi personalmente, (..........) da tedeschi, faceva separare gli uomini dalle donne, e gli anziani dai giovani, e questi ultimi, dopo sommario esame nella caserma dei carabinieri assegnava un gruppo da spedirsi in Germania oppure, ed erano probabilmente questi riconosciuti partigiani, al plotone di esecuzione. Per ordine del Bertozzi questi ultimi, a scaglioni di 7 - 8 persone, venivano affidati a soldati della Xª, i quali li conducevano a un posto lì vicino, in prossimità del torrente Frigido, ove venivano schierati di fronte a un plotone di esecuzione composto di tedeschi, e, abbattuti da scariche di mitra rotolavano fino in fondo al greto del torrente, ammucchiandosi i corpi l'uno sull'altro. Avvenne che qualcuno non rimanesse ucciso e allora si invitava chi fosse vivo a farsi vedere, con l'assicurazione che sarebbe rimasto salvo. Ma chi si muoveva era inesorabilmente colpito da altre scariche. Tre si salvarono, fingendo di essere morti e così poterono venire al dibattimento a raccontare la loro straordinaria avventura. Il Bertozzi, che nega qualsiasi (..........) nel fatto, all'infuori della partecipazione al rastrellamento, sarebbe però stato notato anche a presenziare alle fucilazioni. Dopo l'eccidio, fu dato fuoco a varie (salto di riga non fotocopiata) sarebbero periti, arsi vivi, alcuni partigiani feriti, che non si erano potuti trasportare fuori. Questi i fatti dai quali, genericamente, risultano stabiliti i numerosissimi omicidi volontari. omicidi volontari, va detto, perché nessuna scriminante può essere concessa a coloro, tedeschi e italiani, che contro le leggi di guerra hanno passato per le armi i prigionieri, che dovevano essere considerati belligeranti, e coloro che li avevano favoriti, e specialmente gli italiani che in tale modo, per favorire i disegni militari del tedesco invasore, contribuirono ad eliminare, togliendo loro la vita, gli appartenenti alle forze partigiane, costituenti le forze armate del governo legittimo, nei cui riguardi gli italiani della Mas si prestavano da traditori. non molti degli uccisi, come si disse, furono identificati: da dati ufficiali risulta che i fucilati furono non meno di 63. In ogni modo, di tutti costoro risulta stabilita la morte violenta nelle circostanze surriferite. Venendo ora ad esaminare la responsabilità del Bertozzi, la Corte rileva anzitutto che in atti esiste un documento, che il Bertozzi ha riconosciuto di aver compilato e spedito ai superiori, e che all'epoca della liberazione pervenne con molte carte della X Mas in mano del comando partigiano. Esso è costituito da copie del rapporto urgente a mano, a firma del tenente Bertozzi, sull'operazione in Forno del rastrellamento svolto in collaborazione con 150 camerati tedeschi, da parte di 35 uomini della X Mas dal sottoscritto (Bertozzi) comandate: "Ribelli fucilati 61. Ribelli uccisi in combattimento: oltre un centinaio. Favoreggiatori trasferiti in Germania al lavoro obbligatorio nr. 300. Case bruciate 20. In fuga nei monti: qualche centinaio dei 700 presenti nel paese. Nostri recuperi: un camion, una Fiat 1100, tredici biciclette, 16 q.li di farina, 20 moschetti e fucili da caccia, una calcolatrice. Nessuna perdita di uomini. Nessun ferito. Altissimo morale. Comportamento generale eccellente. Collaborazione nostra visibilmente apprezzata dai tedeschi." Il rapporto è stato steso quando il Bertozzi, non potendo prevedere il futuro, non cercava, come negli interrogatori giudiziali, di minimizzare la sua partecipazione all'attività collaboratrice coi tedeschi. Si potrebbe pensare a una amplificazione dell'avvenimento, a scopo di vanteria o per supervalorizzare il proprio operato, ma, purtroppo, per il buon nome degli italiani, si deve riconoscere che il rapporto, nella sua brevità, rispecchia esattamente la situazione di fatto, quale è confermata, nella sua terribile gravità, da numerosi testi; e che ci rappresenta, quindi, il Bertozzi come il massimo collaboratore dei tedeschi, anche nell'eliminazione di quei sessanta e più giovani partigiani, abbattuti dalle scariche di mitra, e i cui cadaveri, rotolati giù per la scarpata, si ammucchiarono l'uno sopra l'altro, nel greto del torrente Frigido. Le madri dei caduti hanno riferito a questa Corte che per voce unanime della popolazione il Bertozzi era considerato l'autore della strage: questa voce unanime, che di per sé non potrebbe costituire la prova completa della responsabilità del Bertozzi, acquista invece una forza probante eccezionale, quando sia messa in rapporto col documento spedito dal Bertozzi al comando: "Mi glorio, dice pressappoco, di aver diretto i miei soldati, in collaborazione coi tedeschi, nel rastrellamento. Il rastrellamento ha portato per conseguenza, oltre l'uccisione di 100 partigiani in combattimento, la fucilazione di altri 61 ribelli". Chi li ha uccisi o contribuito a farli uccidere? Il Bertozzi ha detto nell'interrogatorio di essersi limitato a operare il rastrellamento ma nel rapporto scritto dice che oltre i caduti in combattimento, altri 61 erano stati fucilati mentre i vincitori della poco gloriosa impresa non avevano avuto nessuna perdita. Si può, dunque, sempre secondo il rapporto del Bertozzi, escludere la diretta partecipazione di costui all'eccidio, del quale, in ogni caso, egli dovrebbe rispondere, come diretta conseguenza di un rastrellamento, e che inoltre, anche nell'ipotesi mancasse il nesso di causalità, varrebbe pur sempre a impedire che il reo avesse a fruire dell'amnistia di cui al D.P. 22/6/1946 nr. 4 ? Ma il concorso del Bertozzi nell'eccidio risulta, senza possibilità di dubbi, ai sensi degli art. 110 e 116 c.p.. Vi è un teste oculare, il quale, per la sua posizione sociale merita la massima attendibilità: il professore di scuola media di Milano prof. Cataldo Rinaldo, che in quei giorni dimorava a Forno, ove era sfollato con la moglie (verb. dibatt. f. 217). Il mattino del 13 giugno verso le 4 fu svegliato da scariche che partivano da tutte le parti, e che dimostravano come il paese fosse circondato: la sua casa divenne un fortino, perché i partigiani disarmati cercavano un rifugio qualsiasi, ed il Rinaldo aveva dato loro ricovero. Così cominciò una sparatoria contro la sua casa e il teste fu costretto a uscire con gli altri, e i soldati italiani condussero tutti in fondo al paese, ove furono divisi i giovani dai vecchi e dalle donne. Il prof. Rinaldo, avendo i documenti in regola, si presentò subito al ten. Bertozzi, il quale, rilevando che il Rinaldo era maggiore di complemento dell'esercito, lo mise subito tra i giovani. Fu condotto nella ex caserma dei carabinieri, ove un ufficiale tedesco voleva lasciarlo libero, ma il Bertozzi intervenne, indicandolo al tedesco come un maggiore e un organizzatore, e aggiunse che un po' di lavoro in Germania non gli avrebbe fatto male. E così fu messo tra i giovani che dovevano essere fucilati, insieme con un altro anziano, il quale era colpevole di essere stato fascista e di non aver aderito alla repubblica. Il vecchio professore, però, profittando del cambio della guardia, riuscì ad allontanarsi con la scusa di prendere un cordiale per l'altro anziano. Tornò a riunirsi con la moglie e verso le 20 furono incendiate le case, fra le quali la sua, ove si trovava un partigiano ferito, che probabilmente morì carbonizzato. Il prof. Rinaldo, che nel frattempo aveva avuto notizie dei due figli, entrambi rastrellati, di cui uno si era messo poi al sicuro e l'altro era stato inviato in Germania, si recò poi sulla spianata dove erano stati fucilati i patrioti in numero di 69 (egli afferma) mentre uno si era salvato. I corpi erano già accatastati. Fra essi si trovava un ferito, che disse di essere di un paese vicino a Cagliari e di chiamarsi Melis Efisio (non compare negli elenchi dei caduti di Forno ndr) e lo pregò di avvertire la famiglia, presentendo prossima la fine. Le esecuzioni erano incominciate verso le 16. I condannati venivano prelevati a gruppi di 7 o 8 da militari della X Mas e condotti al supplizio. Di ufficiali italiani il teste vide solo il Bertozzi che non aveva funzioni di interprete, perché parlava con un ufficiale tedesco in italiano, gesticolando per farsi intendere. Fu precisamente il Bertozzi a decidere sulla sorte del teste; come si disse sopra - aggiunse il teste, che da informazioni avute dal Parroco del luogo, nella caserma dei C.C., distrutta dall'incendio, dovevano essere rimasti dei feriti, perché poi furono rinvenuti dei resti umani carbonizzati

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